martedì 26 gennaio 2010

Vivere, e morire, con dignità

La scorsa estate lessi una storia toccante e, per me, densa di significato. Riguardava una coppia inglese, marito e moglie. Lui, Edward Downes, famoso direttore d'orchestra, era arrivato ad 85 anni di età, ma negli ultimi anni era divenuto quasi cieco e sordo, e faceva sempre più affidamento sull'assistenza della moglie. Lei, Joan Downes, 74 anni, una carriera da ballerina classica e coreografa, era restata affianco al marito per una vita, ma le era stato diagnosticato un cancro incurabile al fegato e al pancreas. Joan non voleva morire lottando contro il cancro, Edward non intendeva sopravvivere alla moglie. Volevano morire insieme, come insieme avevano vissuto per 54 anni di matrimonio, con dignità.

Edward e Joan Downes si sono recati in Svizzera dove, in una clinica specializzata, hanno bevuto una dose letale di sedativi e sono morti serenamente mano nella mano.

In una lettera indirizzata ai figli, Joan ha spiegato che non temeva la morte, che non avendo nessun credo religioso vedeva la morte semplicemente come una fine, come un interruttore che si spegne; aggiungeva inoltre di aver vissuto una vita felice e interessante.

Quello che io vedo in questo gesto sono due persone che hanno dei principi morali solidi e rispettabili, che nel pieno delle loro facoltà mentali scelgono il modo per loro migliore di porre fine alla propria vita, insieme e con dignità.

Io credo che scelte come queste, condivisibili o meno, vadano rispettate e accettate; non comprendo come una scelta come questa possa essere proibita in quanto ritenuta immorale. Eppure in Italia, e in molti altri paesi, il suicidio assistito è considerato un reato, e coloro che lo favoriscono sono considerati istigatori e puniti dalla legge.

La ragione di ciò è l'esistenza di una morale secondo la quale un essere umano non dispone totalmente della propria vita, e i cui effetti si vedono, appunto, nell'illegalità del suicidio assistito e dell'eutanasia, nell'impossibilità di rilasciare un testamento biologico vincolante per i medici, e in un ostracismo strisciante all'aborto.

Ma, mi chiedo, questa giurisprudenza corrisponde alla volontà del popolo italiano, o non sarà ancora una volta il risultato di pressioni "esterne" sulla classe politica italiana? Non sarà come nel caso del divorzio e dell'aborto, in cui il popolo ha concesso ai singoli il diritto di decidere per sé stessi,rovesciando il giudizio della sua classe politica? Io credo di si.

Direi che è giunto il momento di parlare di queste cose, in particolare per rovesciare l'impressione che tutti siano d'accordo con l'atteggiamento oscurantista e vessatorio di una classe politica che considera carta straccia le volontà di una persona. Direi che è giunto il momento, in questo come in altri casi, di rivendicare la dignità di cittadini e persone.

Questo scritto deve molto all'articolo di Ebonmuse intitolato "Dignity in Dying: An Atheist's View". Segnalo anche l'articolo "Italiani che emigrano in Svizzera. Per un suicidio assistito" dal blog di Panorama. L'immagine raffigura Edward e Joan Dowens nel 1991, ed è copyright dell'Evening Standard.

Aggiunta. Casualità ha voluto che poco dopo aver pubblicato il mio articolo, abbia letto quest'altro articolo di laRepubblica.it: "Ha aiutato la figlia malata a morire, assolta. Sentenza che fa discutere in Inghilterra". Nella stessa Gran Bretagna in cui ci si è interrogati sul suicidio assistito di Edward e Joan Downes, un'ex-infermiera è stata assolta dall'accusa di omicidio per aver aiutato la figlia, malata da 17 anni di una malattia incurabile, a togliersi la vita. Quello che mi ha colpito è che, dopo la sentenza, il giudice abbia rimproverato il pubblico ministero dicendo che la donna non doveva essere processata. Sono fiducioso del fatto che ci si muova nella direzione giusta; è venuto il tempo di alzare la testa anche qui in Italia.

domenica 24 gennaio 2010

La teodicea e i dodici poliziotti

Il terremoto di Haiti. Quello dell'Aquila. Lo tsunami di fine anno nel Sud-Est asiatico. Il terremoto di San Giuliano di Puglia, con un'intera generazione di bambini cancellata.

Sono eventi che impongono di fermarsi a riflettere del mondo che ci circonda. Sembra banale, ma siamo costretti a pensare che cosa ci facciamo in questo mondo, da dove viene il male.

Alcuni lo sanno già. Se "padre" Livio Franzaga aveva affermato che il terremoto dell'Aquila, avvenuto a ridosso della Pasqua cristiana, fu voluto da Dio per far partecipare le popolazioni abruzzesi alla "sofferenza della sua passione" e che in questo va letto "qualcosa di positivo", il "reverendo" Pat Roberson ha affermato che Dio ha inviato il terremoto per punire gli haitiani del patto col demonio stipulato per liberarsi dai colonialisti. Altri affermano che l'intervento di Dio consiste nel dare la possibilità alle "persone volenterose e buone di aiutare il prossimo", come a dire che se il buon Dio non avesse mandato un terremoto ad uccidere 500.000 persone e a distruggere la vita di una nazione intera, le associazioni benefiche non avrebbero avuto nulla da fare.

La teodicea, la giustificazione dell'esistenza del male in un mondo creato da un dio onnipotente e buono, è un problema noto da lungo tempo, ma che non è stato ancora risolto in maniera soddisfacente (basta vedere come ogni credente formuli una risposta differente).

A tal proposito vorrei segnalare un testo, in inglese, intitolato "The Tale of the Twelve Officers (2002)" e scritto da Mark I. Vuletic. Si tratta dell'esposizione di dodici argomenti della teodicea sotto forma narrativa: l'autore immagina che dodici ufficiali di polizia (Dio, l'essere onnipotente, onnisciente e buono) assistano senza intervenire allo stupro di una donna (l'evento negativo, il male nel mondo) e forniscano poi le dodici argomentazioni per il loro mancato intervento. Il racconto merita di essere letto per intero; ne traduco qui un breve estratto, quello in cui il secondo poliziotto spiega la ragione per la quale non è intervenuto a salvare la signora K.:
«Beh», disse il secondo poliziotto, «la mia motivazione è un po' differente. Stavo per puntare la mia pistola sull'assassino, quando ho pensato tra me e me, "Aspetta un attimo, non è questa un'opportunità perfetta per un passante disarmato per esercitare un po' di eroismo altruista, nel caso passasse da qui? Se intervenissi tutte le volte come stavo per fare ora, nessuno potrebbe mai esercitare questa virtù. Anzi, tutti diventerebbero probabilmente viziati ed egoisti, se prevenissi ogni stupro e assassinio". E così mi sono fatto indietro. E' un peccato che nessuno si sia fatto avanti per intervenire eroicamente, ma questo è il prezzo di un universo in cui la gente può dimostrare virtù e maturità. O preferiresti piuttosto che il mondo fosse tutto amore, pace e rose?»

L'immagine è un omaggio ad Epicuro, un pensatore che nell'Atene di ventitré secoli fa si chiedeva «Se Dio vuole prevenire il male e non può, allora non è onnipotente; se può prevenire il male e non vuole farlo, allora è cattivo; se può e vuole, allora da dove viene il male?».

Piccola annotazione: cliccando su uno dei collegamenti del post («dare la possibilità alle "persone volenterose e buone di aiutare il prossimo"») probabilmente si sarà riportati sul sito di questo blog o su quello del Vaticano. La ragione di questo strano comportamento è che l'autore del blog Seraphim, allergico a qualunque critica, verifica o confutazione della sua ideologia "cattolicista", ha inserito nella sua homepage un javascript che impedisce a coloro che giungono al suo sito dal mio di leggere i suoi articoli! Provo una grande tristezza per questo auto-proclamato "Soldato di Dio" cercatore di verità.

Luigi Tosti, la rimozione del crocefisso e l'obiezione di coscienza

Come forse molti sapranno, Luigi Tosti è (o meglio, era) un magistrato italiano divenuto famoso per essersi rifiutato di lavorare nelle aule giudiziarie in cui, per una legge di epoca fascista, sono affissi dei crocifissi. Tosti ritiene che in un'aula giudiziaria, in un tribunale dello Stato - che è laico, aconfessionale -, non ci dovrebbero essere simboli religiosi. Per questo motivo, con la coerenza di chi crede fermamente nei propri principi, ha accettato di affrontare un processo davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, a seguito del quale è stato condannato alla rimozione dall'ordine giudiziario.

Tosti non è un martire, uno che crede che morire per la fede gli garantirà il paradiso in una vita successiva. Tosti ritiene che la presenza del crocifisso violi la laicità dello Stato e vuole che questo principio sia confermato. E il suo impegno è stato, in parte, premiato, dato che la Cassazione ha affermato, nel 2009, che «la presenza del crocifisso è incompatibile con il principio supremo di laicità e con i principi di uguaglianza e di libertà religiosa».

Quello che mi ha colpito è che Tosti ha avuto il coraggio di portare avanti questa battaglia rischiando in proprio, senza alcuna protezione, ben sapendo che in caso di fallimento avrebbe pagato in prima persona.

Tosti ha ridato pieno e alto significato all'espressione "obiezione di coscienza".

L'"obiezione di coscienza" per antonomasia, quantomeno nella storia italiana, è quella contro il servizio militare. Come narrato nell'apposita pagina dell'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, ci sono state persone che hanno pagato in prima persona la loro scelta di rifiutare di imbracciare le armi per motivi di coscienza: persone come Remigio Caminetti (1916), Vittorio Giosuè Paschetto e Aldo Fornerone (1939), Pietro Pinna (nel 1948), Giuseppe Gozzini (1952) e Fabrizio Fabbrini (1965) hanno pagato in prima persona la coerenza con i propri principi con il carcere. Solo grazie al loro esempio, e al lavoro di molti, la sensibilità pubblica sull'argomento poté mutare e, nel 1972, fu riconosciuta l'obiezione di coscienza al servizio di leva. (Ci sarebbe da notare come, ancora una volta, quando il potere coercitivo dello Stato fu stato messo in discussione, le prime a dargli manforte furono le alte gerarchie ecclesiastiche, in primis papa Pio XII che nel 1955 dichiarò "un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutar di prestare i servizi e adempiere i doveri fissati per legge". Si tratterebbe però dell'equivalente del proverbiale esercizio di tiro al bersaglio contro la Croce Rossa.)

In tempi più recenti la nobile idea dell'"obiezione di coscienza" è stata svilita dall'abuso che se ne è fatto: ogni qual volta lo Stato promulga una legge che non piace alle gerarchie ecclesiastiche, queste pretendono che sia riconosciuta l'"obiezione di coscienza" dei cattolici, spesso sabotando l'efficacia dei provvedimenti. Sto facendo riferimento a quelle norme sulla somministrazione della "pillola del giorno dopo", un medicinale approvato dall'agenzia del farmaco ma non dalle "Sacre Scritture" cristiane.

Certo, un medico cattolico può essere fermamente anti-abortista, ma allora deve portare alle dovute conseguenze il proprio pensiero e non lavorare in una struttura pubblica, facendo ricadere sugli utenti del servizio le conseguenze delle sue opinioni. Se ritieni che prescrivere la pillola del giorno dopo vada contro la tua coscienza, allora apriti uno studio privato e lascia il posto nell'ospedale pubblico, in modo che chi vi si reca per chiederne la prescrizione non si senta opporre un rifiuto. Se un intero ospedale cattolico pratica l'obiezione di coscienza nei confronti dell'interruzione volontaria della gravidanza, gli va ritirata la convenzione con lo Stato, dato che non fornisce un servizio completo.

Magari l'impegno e il sacrificio di Tosti andranno sprecati, o forse prima o poi i politicanti attuali saranno dimenticati e il rispetto della laicità dello Stato pienamente attuato. In ogni caso, al giudice Tosti non può che andare il sentito e caloroso ringraziamento di quanti credono in un mondo migliore, o quantomeno in un'Italia veramente laica.

Segnalo il blog di Luigi Tosti: http://tostiluigi.blogspot.com/

giovedì 7 gennaio 2010

Divini concepimenti e umano scetticismo

Il concepimento di Alessandro Magno, raccontato da Plutarco (Vite parallele, Alessandro, 94,3-6):
Allora, la notte precedente a quella in cui fu consumato il matrimonio, la sposa sognò che vi fu lo scoppio di un tuono e che un fulmine cadde sul suo grembo, e che in tal modo si accese un grande fuoco, che divenne fiamme che viaggiavano tutto intorno, e poi si spense. In un secondo momento, poi, dopo il matrimonio, Filippo sognò di mettere un sigillo sul grembo di sua moglie; e l'immagine del sigillo, come gli sembrò, era la figura di un leone. Gli altri veggenti, ora, furono spinti dalla visione a sospettare che Filippo dovesse controllare da vicino i suoi rapporti matrimoniali; ma Aristandro di Telmesso disse che la donna era incinta, poiché nessun sigillo si mette su ciò che è vuoto, e incinta di un figlio la cui natura sarebbe stata coraggiosa e leonina. Inoltre, un serpente fu visto una volta disteso al fianco di Olimpia mentre lei dormiva, e ci viene detto che questo, più di ogni altra cosa, raffreddò l'ardore delle attenzioni di Filippo a sua moglie, in modo che egli non andò più spesso a dormire al suo fianco, o perché temeva che alcune magie e incantesimi potessero essere praticati su di lui da lei, o perché si era ridotto, per gli amplessi di lei, alla convinzione che essa era la compagna di un essere superiore.
Il concepimento di Gaio Ottavio Turino, come narrato da Svetonio (Vite dei dodici Cesari, Il divino Augusto, 94):
Nei libri delle «Avventure divine» di Asclepiade di Mende leggo questo racconto. Atia, recatasi a mezzanotte ad una cerimonia solenne in onore di Apollo, fece collocare nel tempio la sua lettiga e mentre le altre donne ritornavano a casa, si addormentò; tutto ad un tratto un serpente strisciò fino a lei e subito dopo se ne andò; quando si svegliò Atia si purificò come se uscisse dalle braccia di suo marito. E da quel momento portò sul corpo una macchia in forma di serpente che non poté più far sparire, tanto che dovette rinunciare per sempre ai bagni pubblici. Augusto nacque nove mesi dopo e per questo fu considerato figlio di Apollo.
Il concepimento di Gesù secondo il racconto tramandato dal Vangelo secondo Luca (1,25-36):
26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. 28 L'angelo, entrato da lei, disse: «Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te». 29 Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. 32 Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. 33 Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine». 34 Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?» 35 L'angelo le rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. 36 Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile; 37 poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace». 38 Maria disse: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola». E l'angelo la lasciò.
Questi sono racconti della nascita di tre figure importanti, tre personaggi storici, certamente ammirati da coloro che ne narrarono i concepimenti soprannaturali. Sono tre brani scritti nell'antichità, che dimostrano come allora fosse normale pensare che una persona molto illustre avesse un concepimento divino o comunque soprannaturale.

Eppure ci sono moltissime persone che, poste davanti a questi tre brani, si comportano in modo particolare: leggono i primi due con un distaccato scetticismo, comprendendo immediatamente che si tratta di racconti fantasiosi, magari pie invenzioni di persone in buona fede, ma cionondimeno fantasie, favole; poi leggono i terzo e immediatamente mettono da parte lo scetticismo, e credono che si tratti di un evento storico, veramente accaduto.

Anzi, questa sospensione dello scetticismo è vista come una virtù, come una meritevole prova di fede.

La mia opinione è differente: io credo che la vera virtù sia, al contrario, quella di sottoporre al vaglio del dubbio i fondamenti della nostra morale, della nostra visione del mondo, o, quanto meno, di essere disposti a farlo con onestà. Credo che lo scetticismo, inteso in senso positivo come predisposizione ad analizzare e verificare quanto sappiamo o quanto ci viene detto, sia una qualità umana, peculiare e caratterizzante uno stato superiore dello spirito umano. Insomma, che di fronte a presunti concepimenti "divini", l'antidoto sia un sano e "umano" scetticismo.

L'immagine è l'Annunciazione di El Greco.

Aggiornamento. Evidentemente qualcuno legge i miei post, dato che spuntano risposte come questa. Lungi da me elevarla ad archetipo delle posizioni cristiane in materia, ma devo dire che mi colpisce per la sua ingenuità. In pratica vi si dice che l'annunciazione a Maria contenuta nel Vangelo secondo Luca non sarebbe un mito in quanto è differente dai miti greci, in quanto non vi si narra l'unione carnale tra Maria e lo Dio, e perché l'autore, "Luca", descrive l'evento con delicatezza; a questi si aggiungono il consenso di Maria e "la mole filosofica e teologica dell'Annunciazione" sviluppata in seguito dalla Chiesa cattolica nell'arco di duemila anni.

Credo che l'obiezione sollevata sia facilmente rigettabile. Lo stile narrativo differente, la diversa sensibilità dell'autore, gli elementi peculiari del racconto non lo rendono più veritiero, e questo fa parte della nostra esperienza quotidiana. A tutti può essere capitato di aver letto un libro o aver visto un film fatti tanto bene da sembrare narrazioni di fatti accaduti, eppure siamo in grado, alla fine della lettura o della visione, di chiudere il libro e tornare alla realtà quotidiana, senza portarci dietro il dubbio che quello che abbiamo letto o visto sia vero.

Questo, però, non è vero in taluni casi, vale a dire quando la narrazione è di tipo religioso. In questi casi siamo in grado di sospendere l'incredulità ben oltre la chiusura del libro, di credere al suo contenuto, per quanto inverosimile e romanzesco che sia, e di accettarne le conseguenze nella nostra vita. Naturalmente a patto che il libro che abbiamo letto sia quello della nostra religione, perché siamo in grado di inibire lo stesso meccanismo di fronte ai racconti mitologici di altre religioni.

venerdì 1 gennaio 2010

La fede condizione necessaria e/o sufficiente per riconoscere l'altro?

Benedetto XVI è considerato da taluni un ottimo teologo e filosofo. Non mi sento in grado di giudicarne le capacità teologiche o filosofiche, ma diverse sue affermazioni non mi sembrano resistere al vaglio del buon senso e della logica, e ciò mi pare un indizio che va in direzione opposta alle giaculatorie dei suoi incensatori.

Naturalmente mi pare comprensibile che il "Sommo Pontefice" della Chiesa cattolica difenda le posizioni dei credenti, ma allo stesso tempo sostengo che anche un credente debba mettere in dubbio affermazioni traballanti come la seguente, pronunciata durante l'omelia del primo gennaio 2010:
solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano. La nostra percezione del mondo e, in particolare, dei nostri simili, dipende essenzialmente dalla presenza in noi dello Spirito di Dio.
Per semplificare, riduco la ricchezza semantica di questa affermazione alla più stringata "se e solo se si crede in Dio, allora si riconosce nell'altro un essere umano come sé stessi". Per "credere in Dio" si può intendere una varietà di posizioni differenti, da una più ampia credenza in una entità immanente, al politeismo, al monoteismo, al cristianesimo, al cattolicesimo. Per "riconoscere nell'altro un essere umano come sé stessi" mi rifaccio al riconoscimento a chi è differente da me - per sesso, etnia, religione, credo politico o morale e condizione sociale - gli stessi diritti fondamentali che riconosco a me stesso e a quelli che considero miei simili.

La prima domanda è: "la fede in Dio è condizione sufficiente per riconoscere nell'altro un essere umano nel pieno dei suoi diritti?" Se la risposta fosse sì, potrei elencare tutti i casi in cui nel passato e ancora oggi si riconoscono o meno i diritti umani all'altro e scoprire che tutte le volte che c'è fede in Dio, c'è anche riconoscimento dell'altro. Per poter dire no, basterebbe trovare almeno un caso in cui l'avere fede in Dio non si accompagni con il riconoscimento dell'altro (sto analizzando il caso se la condizione sia sufficiente). Non credo sia così difficile capire che la fede in Dio si è spesso accompagnata con l'intento di sottomissione e di annullamento del diverso. Nel mondo antico, la sconfitta della città nemica era vista come sottomissione delle divinità che la proteggevano a quelle della città vittoriosa, e questa sottomissione giustificava la sottomissione (e la schiavitù) degli sconfitti ai vincitori. Sia la Bibbia ebraica che il Corano giustificano la sottomissione e la distruzione di coloro che non credono nell'"unico vero Dio" proprio sulla base di una diversità religiosa. Infine, anche a chi ha una conoscenza minima della storia occidentale non può sfuggire come i cristiani abbiano sottomesso, ucciso e discriminato, proprio sulla base della loro fede, pagani, ebrei, musulmani, donne ed "eretici". Credo dunque che si possa affermare che la fede in Dio non è condizione sufficiente per riconoscere nell'altro un essere umano nel pieno dei suoi diritti.


La seconda domanda è: "la fede in Dio è condizione necessaria per riconoscere nell'altro un essere umano nel pieno dei suoi diritti?" Se la risposta fosse sì, potrei elencare tutti i casi in cui nel passato e ancora oggi si riconoscono o meno i diritti umani all'altro e scoprire che tutte le volte che c'è riconoscimento dell'altro, c'è anche fede in Dio. Per poter dire no, basterebbe trovare almeno un caso in cui il riconoscimento dell'altro non si accompagni con l'avere fede in Dio (sto analizzando il caso se la condizione sia necessaria). Dunque la domanda ha la risposta opposta a quella della domanda "esistono o sono esistite persone che hanno riconosciuto l'altro senza avere fede in Dio"? Mi pare lampante che sia così. Basti pensare ad Epicuro, che non era certo un fedele, e che pure credeva nell'egalitarismo umanitario, tanto da essere il primo ad ammettere donne e schiavi alla sua scuola. Dall'antichità ad oggi questo pensiero si è dipanato come un fiume lento, che oggi ha la forma di movimenti come l'Umanismo. Credo dunque che si possa affermare che la fede in Dio non è condizione necessaria per riconoscere nell'altro un essere umano nel pieno dei suoi diritti.

Al di là, dunque dei meriti filosofico-logici di Benedetto XVI, quello che mi preme sottolineare è che la donna e l'uomo di oggi non hanno bisogno ricorrere al sentimento religioso, eredità di un passato lontano ed oscuro, per riconoscere i diritti di tutti gli esseri umani, per conoscere e perseguire il bene, nel mondo di oggi.

La segnalazione del messaggio del Papa è stata pubblicata nel post "Il papa: gli atei sono incapaci di cogliere l’umanità del prossimo" del sito della UAAR. Il simbolo dell'omino felice ("Happy Human") rappresenta l'Unione Internazionale Etico-Umanistica (IHEU).

Buon anno!

Buon anno!

Il primo post del 2010 serve a fare gli auguri ai lettori del blog e ad iniziare l'anno con una buona notizia, un indizio dell'aumentare del numero di non credenti, quanto meno negli Stati Uniti.

Ebonmuse ha pubblicato un post intitolato "Happy Holidays! Atheism Is Growing!", in cui presenta i risultati dell'ultimo sondaggio Gallup sulle religioni e sull'atteggiamento religioso negli Stati Uniti, dal quale risulta un aumento dei non credenti (ora saliti al 13%) e un parallelo aumento di coloro che ritengono la religione inadeguata ad affrontare il mondo moderno (29%).

Del post di Ebonmuse mi piace la conclusione, una sorta di programma del movimento ateo, che riporto qui di seguito.
Dobbiamo trasmettere un messaggio forte e chiaro, che la fede in Dio non è necessaria per ciò in cui gli esseri umani hanno interesse - che i non credenti possono giustificare la morale con la ragione e la coscienza, e costruire una comunità secolare senza riferimenti alla fede. [...] Dobbiamo continuare a sostenere che la fede religiosa è una superstizione arcaica, che contiene molte regole immorali, e che non ha soluzioni per i problemi etici che l'umanità affronta oggi. Che i teologi e i mistici continuino a trovare da ridire e a lamentarsi del fatto che gli atei mancano di rispetto, che non accettiamo la magnificenza dei "vestiti nuovi dell'imperatore". Non abbiamo bisogno del loro permesso, e comunque non sono loro i destinatari del nostro discorso. La continua crescita dell'ateismo in tutto il mondo è tutto l'incoraggiamento di cui abbiamo bisogno per far sentire la nostra voce.