mercoledì 10 agosto 2011

Dèi e serpenti - l'ateismo non è una fede né una religione

Più di un anno fa scrissi un articolo in cui confutavo la frequente affermazione dei credenti che anche l'ateismo è una fede/religione (l'articolo si intitolava opportunamente «L'ateismo non è una religione, né una fede»).

A tal proposito ho ritrovato un interessante articolo in cui si espone un apologo che sostiene lo stesso argomento. L'articolo è «Gods and snakes», di Mano Singham.

Supponete che alcune persone si trasferiscano in una casa e che, per una ragione qualunque, siano convinte che vi sia un serpente velenoso da qualche parte al suo interno, un serpente che sia riuscito in qualche modo a frustrare ogni tentativo di scoprirlo, trovarlo o rimuoverlo. Queste persone adotteranno coscientemente uno stile di vita che prenda in considerazione la probabile esistenza del serpente. Accenderanno le luci di una stanza prima di entrarvi, guarderanno in basso mentre camminano, apriranno credenze, comò, armadi e sgabuzzini cautamente e pronte a saltare indietro all'apparizione di un serpente, esamineranno scarpe e vestiti prima di indossarli, e così via. Cercheranno segni della presenza del serpente e staranno all'erta per rumori simili a quelli di un serpente. Dopo un po', questi comportamenti diventeranno quotidiani e messi in atto senza pensarci. Per di più, il comportamento di tutte le persone che credono che vi siano serpenti nelle loro case sarà alquanto simile.

Ora, prendete in considerazione qualcuno che non creda che vi sia alcun serpente velenoso nella casa. Tale persona si comporterà in maniera alquanto diversa da chi invece ci crede, non adottando alcuna precauzione presa da chi crede. Ma, a differenza di chi crede nell'esistenza del serpente, il cui comportamento è basato su tale credenza, il comportamento del non credente non sarà basato sulla sua non-credenza. Non agirà in base ad un piano cosciente fondato sull'assenza di serpenti. Non andrà in giro a infilare le mani nei cassetti dei calzini semplicemente perché non ne avrà alcun danno. Il non credente non dice a sé stesso «infilerò la mia mano nel cassetto dei calzini senza guardarci prima perché credo che non vi sia alcun serpente, lì» o «infilerò le scarpe senza prima controllarne l'interno perché credo che non vi siano serpenti». I serpenti, semplicemente, non hanno posto nella sua coscienza.

Così, mentre il comportamento di un credente nel serpente deriva da quella credenza, il comportamento di un non-credente non deriva da quella non-credenza, anche se il comportamento del non-credente sarà notevolmente diverso da quello del credente. L'assenza di credenza non impone un certo comportamento. Il risultato è che non vi sarà un modo comune di comportarsi per i non-credenti, a differenza del comportamento molto più uniforme dei credenti. Alcuni non-credenti potranno guardare per terra mente camminano, altri no. Non c'è modo di predirlo.
Meditazione.


L'immagine è «Aztec double-headed serpent», di Neil Henderson (CC by-2.0).

26 commenti:

  1. Chi crede fermamente in Dio probabilmente non ce la fa a rassegnarsi all'idea che qualcuno possa realmente non credere; da qui nascerebbe, quindi, la necessità di vedere nell'ateismo una posizione "contro", la quale, avendo nella negazione il motivo esclusivo del proprio essere, in qualche modo legittima l'opposto, cioè l'esistenza della divinità.

    Saluti

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  2. Con due cari saluti, uno a Marcoz ed uno al Censore, concordo anch'io, ma sulla terza proposizione del sillogismo, e cioè sul fatto che chi non crede ( 1^ premessa minore ) non puo' affermare con una sicurezza del cento per cento che Dio non esiste ( 2^ premessa maggiore ), così come chi crede non puo' dimostrare il contrario(conclusione).

    Riccardo

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  3. Gentile Riccardo, in questo caso le dimostrazioni o le confutazioni sull'esistenza di Dio sono poco rilevanti, a mio avviso.
    Nel mio commento, infatti, mi concentro sulla connessione psicologica (mi si passi la definizione) che si instaura tra credente e non credente. E la tesi è appunto che il credente incontra difficoltà ad accettare che un suo simile possa agire e pensare come se Dio non esistesse (e posso garantire che è proprio così, per quanto mi riguarda).

    Saluti

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  4. Ciao Marcoz, io più che incontrare difficoltà, provo stupore per il coraggio che ha un mio simile ad agire o pensare come se Dio non esistesse. E poi credo ci siano persone che non hanno mai creduto in Dio e non si pongono il problema ovvero si meravigliano a loro volta che ci siano persone che ancora credano in Dio ed altre che se lo impongono di non credere, perché istintivamente crederebbero. Ma forse sono di nuovo andato fuori tema. Correggimi se sbaglio.
    Riccardo

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  5. Quanto ho suggerito non ha la pretesa di volersi estendere obbligatoriamente a tutti i credenti, naturalmente.

    provo stupore
    Comprensibile.
    È diffuso anche lo stupore che coglie il non credente come osservi tu, soprattutto quando il credente è una persona intellettualmente dotata. Tuttavia, questo stupore non mi appartiene più, perché sono giunto alla conclusione che credere non sia una mera questione di intelligenza (ohibò, a volte lo è), e che la fede concerne principalmente la sfera dei sentimenti (quelli più profondi, spesso inconsci e, non di rado, irrazionali).

    per il coraggio
    Coraggio? No, no… Se un ateo riesce a vivere serenamente, nonostante la ferma convinzione che il suo destino è il nulla, nella migliore delle ipotesi si tratta di rassegnazione alla morte. Nella peggiore, di lucida follia.

    altre che se lo impongono di non credere, perché istintivamente crederebbero
    Non so, in realtà, come e se sia possibile farlo.
    Tutt'al più, come sono portato a giudicare io, ci può essere la consapevolezza che le nostre sensazioni o deduzioni sono condizionate (e viziate) da diversi fattori, che vanno dal cablaggio delle nostre reti neuronali all'intreccio culturale che assimiliamo.
    Insomma, l'istinto - che ci fa temere la presenza di una minaccia dietro a un cespuglio che si muove per il vento - non è quello che si definisce un buon partner dell'epistemologia.

    Buona serata

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  6. Ciao Marcoz, sei un osservatore acuto e sensibile e ti ringrazio dell'analisi che hai fatto del mio pensiero. Leggendoti mi vengono in mente casi di persone, che dotate di grandi capacità analitiche del pensiero hanno incontrato il Dio in cui non credevano e sono diventate dei campioni della fede e dell'amore divino. A volte mi domando se il perfetto credente non debba forse avere in sè due anime che si completino, quella del credente e quella del non credente, per dare il massimo di sè. Mi sarebbe tanto piaciuto avere un amico non credente, in cui specchiare la mia anima, perché avrei visto in quello specchio delle realtà e verità che mi sfuggono, che mi avrebbero fatto crescere, invece di restare ad un livello di fede mediocre, quello in cui ci vuole fare permanere la Chiesa cattolica, che ha paura dei campioni dello spirito.
    Ecco, tu per me sei un campione dello spirito, così come sei. Credi anche se non credi, hai fede anche se non ce l'hai, come se tu avessi due anime.
    Ma per te forse sto sragionando, ammetto che mi capita spesso, vedo nella lucida follia la miglior via d'uscita per essere completamente se stessi.
    Riccardo

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  7. Interessante, sotto il profilo psicologico, l'idea secondo cui lo stretto contatto con un ateo avrebbe innalzato il livello della fede. La potremmo paragonare all'effetto fionda utilizzato per scagliare nello spazio sonde più in fretta e a maggiori distanze.

    "tu per me sei un campione dello spirito"

    È risaputo che il credente è portato all'esagerazione.
    Mi vedo costretto a far notare che c'è differenza tra essere spirituali e prendere la vita con spirito.

    Poi, se, per aver fede, si può intendere "in cosa confido", è presto detto: ai fini di un'esistenza terrena accettabile, principalmente confido in una serie di eventi casuali positivi (trad.: fortuna, culo) e in seconda battuta, nella mia capacità (con tutti i limiti del caso) di fronteggiare le avversità.
    Solo semplice e cauto ottimismo (in salsa scettica).

    Sragionare non lo vedo questo gran problema, finché non ci si ritrova a tormentare quotidianamente il prossimo (o se stessi) e a piazzare bombe in luoghi pubblici. E, in giuste dosi, può portare a idee veramente originali.

    Saluti

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  8. Ciao Marcoz, ti ringrazio ancora, ma vorrei tu fossi più esplicito riguardo all'ultima frase del tuo commento, quando parli di "tormentare quotidianamente" e di " giuste dosi ".
    Ti spiego : in passato postavo commenti su un blog che mi piaceva, finchè l'alimentatore mi fece capire che non ero gradito, se non avessi imparato a dosare la porzione dei miei commenti, che era ormai diventata quotidiana. Egli arrivò addirittura ad inserire la moderazione dei commenti, solo per contrastare i miei " assalti ".
    Fu lui, preso ormai dalla disperazione, a consigliarmi di crearmi un blog, perché disse che avrei trovato proprio lì lo spazio a me necessario, per
    sbizzarrirmi senza rubarlo a lui e portarlo alla pazzia. Disse che gli ero simpatico ma che non potevo vomitargli addosso tutto di me e che avrebbe apprezzato i miei commenti, solo se postati cum grano salis. Alla fine riuscii a mollare piano piano la presa, con sua immensa gioia, fino ad allontanarmene del tutto, non prima di averlo ringraziato per avermi educato, dato che mi aveva anche detto che se avessi continuato a tempestarlo di commenti, sarei stato maleducato.
    Tutto questo me lo disse con estrema cortesia.
    Ecco, vorrei sapere da te altrettanto cortesemente se tu mi hai lanciato, attraverso le tue suddette frasi, un velato simile rimprovero, perchè se così fosse, memore dell'esperienza pregressa, saprò come comportarmi per non importunare più di tanto.
    Con affetto chiedo scusa per il mio difetto e se proprio non mi mandi giù, ti prometto di non farlo più.
    Riccardo

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  9. "Ecco, vorrei sapere da te altrettanto cortesemente se tu mi hai lanciato(…)"

    A parte il fatto che, semmai, sarebbe il padrone di casa, ad aver il diritto di lamentarsi (anche del sottoscritto, tra l'altro), no, non mi riferivo assolutamente a questo.
    Pensavo alla vita "reale", in cui sragionare o, come amano dire i matematici, partire per la tangente (ma in forme decisamente più acute di quelle che, a tuo avviso, sarebbero "sragionamenti"), può diventare patologia e rappresentare un ostacolo alla socialità e al benessere psicologico.
    Per ora, io vedo solo il desiderio, espresso in modo accettabile, di comunicare le proprie sensazioni.

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  10. Caro Marcoz, perdonami il" caro ", ma te lo meriti, perché sei molto buono con me e sono contento di essere accettato come credente in un sito assertivamente ateo. E' che ho fatto un errore di valutazione, quando ti ho chiesto se mi trovavi importuno ed inopportuno.
    Pur avendo altrove assistito al botta e risposta fra te Marcoz ed il Censore, ho erroneamente pensato che Marcoz ed il Censore fossero la stessa persona che a volte si sdoppia, assumendo sia il volto di Marcoz che quello altrettanto cortese del Censore.
    Sono stato portato a crederlo per il fatto che tu, Marcoz, spesso giochi d'anticipo sul Censore e dopo la tua risposta, ad esempio ai miei commenti, non giunge la replica di quello che tu chiami il padrone di casa.
    La differenza che trovo fra te Marcoz ed il Censore potrei definirla così : il Censore mi sembra più l'analista, tu Marcoz mi sembri più lo psicanalista.
    Comunque insieme interagite come foste due facce della stessa medaglia, ambedue d'oro.
    Riccardo

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  11. Caro Censore, è scomparso il commento che ho postato qualche minuto fa.
    Se ho detto qualcosa di errato, chiedo scusa, ma vorrei dare a Marcoz l'opportunità di rispondermi anche in questo caso, dato che tu non lo vuoi fare.
    Puoi cortesemente inserire di nuovo il mio commento? Accetto qualsiasi replica.
    Altrimenti mi vedo costretto a non frequentare più questo blog.
    Grazie Riccardo

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  12. Grazie Censore di avermi riaccreditato. Potrà nascere una vera amicizia virtuale fra me ed il tuo blog. Non oso dire fra me e te e Marcoz, perchè non so se mi volete come amico. so di essere provocatorio a volte, e quando vengo censurato, vengo assalito da sensi di colpa. D'altra parte se ho sbagliato nella mia valutazione ed ho creduto di riconoscere nel Censore ed in Marcoz la medesima persona, contavo nel vostro perdono, qualora mi aveste accusato di avervi giudicato capaci di agire "in mala fede". Ma pensandoci bene, anche il fatto di potersi sdoppiare in due persone, l'avrei trovato originale e non cosa disdicevole, perché non è detto che il Censore debba sempre intervenire nella discussione con i lettori in qualità di Censore.
    Quello che ha attirato la mia attenzione nel blog sono le " contraddizioni evangeliche ", a cui vorrei saper dare delle risposte ma non sono un esegeta biblico anche se ho studiato tre anni teologia alla università gregoriana. Le provocazioni sono intriganti e potrei sottoporle a qualche esegeta. Vorrei conoscere da Marcoz il suo pensiero riguardo allo sdoppiamento Censore - Marcoz da me erroneamente ipotizzato. Ovviamente nulla a che vedere con dottor Jekyll e Mr Hyde. Sarebbe una trovata originale secondo Marcoz o solo una mia pretestuosa insinuazione ?
    Riccardo

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  13. La "multipersonalità" sul web non è un fenomeno raro e, per svariati motivi, può succedere che il sospetto ci colga.
    Fossi stato io ad averlo, penso che l'avrei presto scartato, perché ritengo sia molto difficile trovare una persona capace di scrivere come IlCensore e, allo stesso tempo, di abbassarsi alla mia prosa e alla mia sintassi.

    Comunque, per dissipare qualsiasi dubbio residuo riguardo al fatto che IlCensore e io siamo due individui distinti (e anche per ridimensionare un po' le positive caratteristiche con cui sono stato benevolmente dipinto), metto il link al mio blog. Lì ci sono alcuni indizi che possono mettere in discussione il giudizio sul sottoscritto.

    Saluti

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  14. Bell'esempio quello del serpente, mi piace.

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  15. e qui si vede la chiara funzione di controllo della religione sulle masse, l'unica funzione che ha la religione a mio avviso. come volevasi dimostrare... Max

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  16. Concordo sul fatto che l'ateismo non sia una religione. Vi sono sì atei che vivono la loro condizione come una religione, considerando l'ateismo come un dogma, ma ovviamente questi sono solo una parte.
    Sul fatto della fede però non sono d'accordo. Nessuno ha visto Dio. Sia il credente che l'ateo si pongono naturalmente delle domande esistenziali (la storia che il credente non ha mai dubbi e non si pone mai domande non è vera, se non per alcuni fanatici) e giungono a darsi risposte diverse. Entrambi trovano ragionevole la soluzione cui giungono, ma obiettivamente nessuno dei due "sa" quale sia la verità. Entrambi "credono" o che Dio esista, o che non esista. L'ateo crede che Dio non esista. Dunque l'ateismo non è una religione, ma si basa, così come la fede, sulla soggettività della persona, sulle sue riflessioni e sui suoi sentimenti.

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    1. No, Azariel, esiste una differenza tra il "credere per fede" e il "non credere per assenza di prove". La prima scelta può essere legittime, ma non è affatto razionale.

      L'ateismo può essere scelto su basi irrazionali, ovviamente, ma è una posizione che può essere difesa usando la ragione; ciò non avviene per la fede.

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    2. In realtà esistono giustificazioni razionali per la fede.
      Devo ammettere tuttavia che tutti i possibili sillogismi/logiche/prove ontologiche non sono secondo me sufficienti per decretare l'esistenza o l'inesistenza di Dio. Casomai queste "prove" o "non prove" sono utili per avallare quella che è già la convinzione intima della persona.
      Sono d'accordo che l'ateo crede che Dio non esista per assenza di prove, ma alla fin fine sempre di un credere si tratta, poiché certezze non ne ha nessuno, né i credenti né i non credenti.

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    3. Partiamo dal presupposto che quando parliamo di "prova" o "giustificazione razionale per la fede" intendiamo prove logiche (o fisiche, ma questo è un altro discorso) che dimostrino l'esistenza di Dio. Sotto tale ipotesi, mi pare che lei concordi con me nel dire che tali prove non esistono.

      Se poi andiamo a vedere l'uso che si fa di queste presunte "prove", cioè il rafforzamento di convinzioni pregresse, questo non può far altro che ribadire quanto detto precedentemente: che chi crede lo fa per fede e non per le prove che ha.

      Quanto alla posizione dell'ateo, il discorso è uguale per la proverbiale teiera di Russell: non ci sono prove o ragioni per credere che esista, dunque è razionale credere che non esista. E la prego di notare che la parola fondamentale della conclusione precedente non è "credere" ma "razionale".

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    4. "Prove" (sia logiche che scientifiche) definitive secondo me non ci sono, perché Dio non è qualcosa che appartiene al mondo fisico, quindi secondo me cercarne prove non ha molto senso. E non ha senso neppure cercare prove di inesistenza.
      Non ho mai detto che non si creda "per fede". Quello che sostengo è che anche l'ateo "crede" che Dio non esista. Egli può pensare che sia razionale che Dio non esista, ma si tratta comunque di una sua convinzione personale.

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    5. Dimenticavo una cosa: la teiera di Russell fa apparire razionale l'inesistenza di Dio, altre prove logiche fanno apparire invece logica la Sua esistenza. Il che significa che questa "razionalità" si basa in realtà sulle convinzioni personali, sia dell'ateo che del credente.

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  17. Se Dio non fa parte del mondo fisico, se non ha senso cercane prove di esistenza "fisiche", allora è un Dio che vive negli "intermundia" e di cui non dovremmo supporre alcun intervento nel mondo fisico. L'esistenza di un tale Dio è indecidibile, ma allo stesso tempo irrilevante.

    Quando parlo di Dio parlo del Dio supposto dalle religioni moderne, le quali sostengono tutte che Dio intervenga nel mondo. Di un tale Dio si possono cercare le tracce e, in assenza di indizi, assumerne razionalmente l'inesistenza.

    La teiera di Russell non ha lo scopo di far apparire razionale l'inesistenza di Dio; serve a dimostrare in che modo è possibile considerare razionalmente l'inesistenza di qualcosa di cui non possiamo escludere l'esistenza ma della quale, al contempo, non abbiamo alcuna prova.

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  18. Non sono d'accordo. Dio è esterno al mondo nel senso che non risiede in esso. Dio "è" al di fuori dello spazio e del tempo. Ma ciò non toglie che possa intervenire nel mondo. Le tracce ci possono essere, ma bisogna vedere se tutti le interpetano come tali.

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    1. Il luogo di residenza è irrilevante. Se interagisce col mondo fisico deve rispettare le leggi della fisica, e le tracce di tale intervento devono fare altrettanto.

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