martedì 20 luglio 2010

Altre vittime dell'intolleranza religiosa

Altre vittime dell'intolleranza religiosa. Fino a quando dovremo accettare la violenza in nome di una religione?

Pakistan

Un mercante pachistano è informato da un suo dipendente che due fratelli cristiani stanno distribuendo nel mercato dei volantini contro Maometto. Il mercante va dalla polizia e denuncia i due fratelli in base alla legge sulla blasfemia. La polizia fa esaminare la scrittura sui volantini e scopre che non corrisponde a quella dei due fratelli. Quando si sparge la voce che i due fratelli saranno rilasciati, dei fanatici musulmani si radunano di fronte al tribunale. All'arrivo dei due fratelli e della polizia che li sorveglia, un uomo spara al primo fratello; il secondo si interpone per salvarlo ed è colpito anche lui; anche un poliziotto è ferito, mentre l'aggressore riesce a sfuggire.

I due fratelli sono morti perché qualcuno credeva avessero offeso Maometto. Si chiamavano
Rashid e Sajid Emmanuel.

Subito dopo i fatti, un gruppo di cristiani avrebbe (la notizia non è confermata) dato fuoco alle case di due famiglie musulmane. Altri duri scontri scoppiano tra cristiani e musulmani a seguito della diffusione di questa notizia.

Altre violenze causate dalla religione.

Maldive

Alle Maldive un controllore del traffico aereo di venticinque anni ha la malaugurata idea di rivelare agli amici che non è musulmano, ma ateo. L'idea è malaugurata, perché i cittadini maldiviani sono obbligati ad essere musulmani, e se trovati colpevoli di apostasia sono condannati a morte. Gli amici lo abbandonano, mentre alla sua ragazza è proibito di vederlo. Riceve minacce di morte e decide di cercare lavoro all'estero senza successo.

Lo invitano a ritrattare, ma lui rifiuta. Scrive in una sua lettera:
I maldiviani sono orgogliosi della loro omogeneità religiosa e sto imparando duramente che non c'è posto per maldiviani non-musulmani in questa società.

Non riesco a pretendere di essere ciò che non sono, in quanto sono un accorato sostenitore dei diritti umani. Ho paura per la mia vita qui, e non conosco nessuno in questo paese che possa aiutarmi.
Dopo aver inutilmente richiesto asilo politico nel Regno Unito, a causa delle pressioni e delle minacce ricevute, si è impiccato nella torre di controllo.

Un'altra vittima dell'intolleranza religiosa. Si chiamava
Ismail Mohamed Didi, ma aveva scelto come indirizzo di mail i.smilemohamed@gmail.com, "io sorrido"-Mohammed.

Questa la mail che aveva inviato il 25 giugno ad un'organizzazione umanitaria:

———- Forwarded message ———-
From: ismail mohamed
Date: 25 June 2010 09:30
Subject: a plea for help

Dear sir,

I’m a 25 year-old Maldivian living in Male’. I have been working as an Air Traffic Controller at Male’ International Airport for almost 7 years now.

I started becoming disenchanted with Islam around 5 years ago and am now an atheist. During my transformation, and even now, I am quite the idealist, and when i was confronted about two years back by a couple of my colleagues about my aversion from the daily practices of Islam, i somewhat foolishly admitted my stance on religion.

I had asked them to keep it a secret from the rest of our workforce at ATC, although i now realize i should have known better. It did not take long for everybody at work to find out and since then, i have faced constant harassment in my work environment.

An atheist is not a common feature at all among Maldivians and the word has spread like wildfire since then. It has now come to the point where everyone I know, including my family, have become aware of my lack of belief.

In a society that has always been proud of their religious homogeneity, you can imagine what i am being put through. I have been subjected to numerous consultations with religious scholars and even my closest friends are not allowed to see me.

My company has already begun investigating a complaint regarding me, collecting testimony from fellow workers about my apostasy.

Just 3 days ago, i received two anonymous phone calls threatening violence if i do not start openly practicing Islam.

I am at my wit’s end now. I have been trying for sometime to secure employment abroad, but have not yet succeeded.

The only other alternative i can think of is to flee the country to seek asylum elsewhere. I have already written an e-mail to your organization, and am anxiously waiting for a reply. I found your e-mail address on facebook. I am in dire need of assistance and know of no one inside the country who can guide me.

I would have already left the country if i was sure i could meet the required burden of proof in an asylum claim. I would like to know if you would be able to help me in anyway should i travel to the U.K to seek asylum and what my chances are of making a successful claim.

Thank you for your consideration
Ismail Mohamed Didi

La notizia dell'uccisione di Rashid e Sajid Emmanuel e la foto del cadavere di uno dei fratelli provengono dall'articolo «Faisalabad, seppelliti i fratelli uccisi. Giustizia e Pace: abolire la legge sulla blasfemia», di AsiaNews.it. La notizia della morte di Ismail Mohamed Didi e la sua foto sono riprese da «Hanged air traffic controller sought asylum for fear of religious persecution», di Minivan News.

lunedì 19 luglio 2010

Perdita della fede: un evento indesiderabile?

Perdere la fede può essere un evento tormentoso e terribile.

All'improvviso ci rendiamo conto che il nostro mondo va in pezzi, e ci sentiamo impotenti di fronte a questa tragedia. I punti di riferimento della nostra vita, quelli con i quali siamo cresciuti e su cui si basa la nostra visione della vita, su cui regoliamo la nostra bussola morale, con i quali ci difendiamo dal pensiero della morte e della fine, scompaiono all'improvviso, lasciandoci "nudi" di fronte al mondo. Talvolta ci diamo anche la colpa di questa perdita: Dio ha smesso di parlarci, di farsi sentire, perché noi abbiamo smesso di ascoltarlo.

Quando perdiamo la fede, la reazione che abbiamo è tentare con tutte le nostre forze di recuperarla. Possiamo far finta di ignorare questa perdita, cercare conforto e aiuto in altre persone, oppure andare avanti tormentandoci, cercando di porci in atteggiamento "umile", di prostrarci e mortificare la nostra "superbia" che ci impedisce di ascoltare la chiamata di Dio.

Non si tratta di un momento semplice da superare. Alcuni sono sfortunati, e continuano per anni a tormentarsi (accadde anche a Madre Teresa di Calcutta). Alcuni sono fortunati, e dopo poco recuperano la propria fede e la propria serenità. Altri, però, sono ancora più fortunati e lasciano serenamente andare la fede, aprendosi a nuove strade.

Il punto cruciale, infatti, è che siamo "programmati" per credere. Naturalmente "programmati" non va inteso in senso letterale: siamo in grado di non credere, e molti, infatti, non credono; ma il presupporre l'esistenza di qualcosa di superiore, di una entità intelligente e potente che con la propria esistenza dia una spiegazione all'apparente arbitrarietà della natura, è un tratto che abbiamo ereditato geneticamente e culturalmente.

Di fronte a fenomeni inspiegabili o incomprensibili, infatti, vi è la tendenza negli esseri umani ad attribuirli all'opera di entità trascendenti. Dalle divinità ai folletti, dagli spiriti dei defunti ai fantasmi, il folclore di tutto il mondo è pieno di personificazioni che "spiegano" eventi altrimenti inspiegabili: dai fenomeni atmosferici a visioni, dalle pestilenze alle possessioni, esiste tutto un mondo di creature trascendenti che permettono all'essere umano di ottenere risposte tranquillizzanti, di non affrontare a viso aperto l'esistenza di una natura indifferente ai suoi bisogni.

Quando ci rendiamo conto di ciò, quando capiamo quali sono i meccanismi che portano a creare questa sovrastruttura culturale che prende il nome di religione o superstizione o folclore, allora possiamo finalmente capire come liberarci da questo fardello, da queste invenzioni.

Certo, trovarsi senza il conforto del pensiero di un Dio "personale", cioè che si occupi personalmente del nostro destino, è una situazione di ansia. Ma vale la pena anestetizzarci con la fede in cambio di una falsa serenità? Non è meglio affrontare la realtà senza intralci di credenze fasulle?

Solo liberandoci della fede in credenze illusorie possiamo infatti dedicarci alla ricerca di un nostro modo di vivere questa vita, l'unica che abbiamo e dunque un tesoro prezioso.

Perdere la fede può essere un evento tormentoso e terribile. Ma può essere anche l'inizio di una nuova vita.

La foto è «Swallowing the Ruins», di Struck in Custom (licenza: Creative Commons cc-by-nc-sa 2.0).

sabato 10 luglio 2010

In cosa crede chi crede?

Recentemente ci sono stati diversi lutti nella mia famiglia. Ho perso una zia a causa di un tumore, e il fratello di mia nonna dopo una lunga malattia. Mi sono rimaste due esperienze impresse nella mente, a riguardo di questi due eventi.

La prima è l'abbraccio tra mia madre e mia zia, sedute sul letto. Eravamo lì per consolare mia zia, ma lei era pienamente cosciente che non vi era più nulla da fare, se non attendere la fine. Si sono strette, piangendo, senza riuscire a dire niente.

La seconda esperienza è stata quella di dover consolare mia nonna per la perdita di suo fratello. Piegata in due dal dolore, sembrava non sentirmi vicino a lei. Allora ho cercato di dirle qualcosa, e quello che sono riuscito ad articolare è stato un "almeno ora è in paradiso e non soffre più", ma senza ottenere alcun effetto.

Credere e credere di credere

Queste due memorie mi sono tornate alla mente leggendo l'articolo «Do Christians REALLY Believe? (part 2)» ("I cristiani credono DAVVERO?") di Common Sense Atheism, che apre con una frase del cabarettista statunitense Doug Stanhope: «se credi davvero che la morte porti alla beatitudine eterna, perché indossi la cintura di sicurezza?».

Già. Se credi che questa vita non sia tutto quello che abbiamo, che non tutto finisca con questa esistenza, perché temi la tua morte e cerchi in tutti i modi di rimandarla? Non dovresti essere contento di addormentarti in questo mondo e risvegliarti nell'altro? Se credi davvero che dopo la morte c'è il paradiso, la beatitudine eterna per tutti i buoni, perché piangi la morte dei tuoi cari? Non dovresti anticipare il momento della vostra riunione eterna, nella pace e nella beatitudine?

L'articolo cita un brano di Adèle Mercier, professoressa di Filosofia della Mente alla Queens' University, intitolato «Religious Belief and Self-Deception» ("Credo religioso e auto-inganno"), tratto dal libro 50 Voices of Disbelief. Mercier distingue tra due livelli del credere, il credere tout-court, di primo livello, e il credere di credere, di secondo livello. Mercier elenca quattro possibili relazioni tra credere e credere di credere.

(a) Si può credere in qualcosa e credere di credere in quella cosa. Questo è il caso più semplice. Io credo che la Terra giri intorno al Sole, e credo di credere nell'eliocentrismo.

(b) Si può credere in qualcosa senza credere di credere in quella cosa. Se chiedessero a qualcuno (riporto l'esempio di Mercier) se vi sono più pesci nel Pacifico che uccelli nelle Galapagos, questa persona risponderebbe che crede che vi siano più pesci che uccelli. Questa credenza non è nata nel momento in cui è stata posta la domanda, dato che la domanda non suggerisce la risposta né fornisce informazioni che la persona non abbia già, dunque la credenza esisteva prima della domanda. Ma questa persona probabilmente non aveva mai pensato a questo fatto, dunque non credeva di credere che vi siano più pesci fino a quando la domanda non è stata posta.

(c) E' anche possibile credere in qualcosa credendo al contempo di non credervi. L'esempio portato da Mercier è quello della Pravda, il quotidiano statale sovietico: i sovietici stessi sapevano che non era affidabile, e affermavano di non credere in quanto esso pubblicava. Ma leggevano quello che vi era scritto, e alla lunga dimenticavano la fonte dell'informazione, e quindi credevano alle notizie della Pravda sebbene credessero di non credervi.

(d) Infine, è possibile credere di credere in qualcosa, ma non credervi. Un esempio è quello dei bambini e di Babbo Natale. Una ricerca ha rivelato che i bambini non credono realmente in Babbo Natale, ma che, dato che i loro genitori si aspettano che lo facciano, credono fermamente di credere in Babbo Natale. In altre parole, sebbene non credano (primo livello) nell'esistenza del portatore di doni, diranno sempre di credervi, anche senza mentire, perché è quello che credono (secondo livello).

Questa ultima combinazione è quella rilevante per il nostro caso, in quanto Mercier afferma che:
la maggior parte della gente non crede realmente alle affermazioni religiose cui sostiene di credere.
In altre parole, davvero molte persone credono di credere che una vita retta e la fede in talune affermazioni religiose garantirà loro la beatitudine eterna, ma molte (non tutte, certo) di quelle persone non credono realmente in questa beatitudine eterna. E la dimostrazione più chiara di questo è proprio nelle reazioni che hanno di fronte alla morte, propria o dei loro cari, cui si reagisce come se fosse la fine e non solo un passaggio da una breve e poco importante esperienza ad una eterna ed appagante vita nell'aldilà.

Credenze non credute

Mercier sostiene che la maggior parte dei credenti non conosca profondamente ciò in cui afferma di credere e, per di più, sia riluttante ad analizzare il contenuto della loro fede.

Su questo non posso che essere d'accordo. In molti casi (e mi riferisco ai cristiani perché sono i credenti con i quali ho i maggiori rapporti) la conoscenza della propria fede si riduce alla preparazione per i sacramenti (cresima e matrimonio in particolare) e alle omelie settimanali, quando non solo al catechismo impartito da bambini. Questioni importanti di teologia non sfiorano mai le menti dei fedeli "comuni", i quali, d'altro canto, non sono neppure interessati ad affrontarle (altrimenti dovrebbe esserci la fila alla catechesi per adulti).

Mercier afferma:
C'è una buona ragione se molta gente rifiuta di esaminare i dettagli delle proposizioni religiose che professa. Diciamocelo, molte credenze religiose di primo livello sono sciocche: che Gesù sia nato da una vergine fecondata da uno spirito santo; che Maometto abbia spaccato la Luna in due; che il male sia la conseguenza di cui Dio ci ha caricato per garantirci la libertà. Tali credenze sono implausibili come Atena che spunta completamente vestita dalla testa di Zeus, la Terra sostenuta da una tartaruga, gli dei che pretendono che delle vergini siano gettati dalle rupi o i cristiani dati in pasto ai leoni. E la maggior parte delle persone lo sa: sono proprio quelli che credono quelli che schernirebbero arrogantemente gli altri.

[...] La religione consiste essenzialmente in credere che le proprie credenze siano giuste, non nell'avere le credenze giuste. Se le credenze religiose di primo ordine avessero un contenuto, questo contenuto potrebbe essere confrontato con la verità. E' proprio perché queste credenze mancano di contenuto che uno può continuare a credere di crederci malgrado tutte le prove. Ma il prezzo per avere credenze di secondo ordine riguardo inesistenti credenze di primo ordine è l'auto-inganno.
In cosa si deve credere per credere?

Per completare il discorso di Mercier, credo sia utile un post dal blog di Loftus. John W. Loftus è un ex-pastore protestante e apologeta, ora divenuto ateo. Laureato in Filosofia, in Teologia e in Filosofia della Religione, ha scritto il libro Why I Became an Atheist e cura il blog Debunking Christianity.

Loftus ha scritto il post «Reality Check: What Must Be the Case if Christianity is True?» (liberamente traducibile con "Verosimiglianza: cosa dev'essere accaduto affinché il cristianesimo sia vero?"), in cui raccoglie trenta tesi sulle quali i cristiani concordano e che sono altamente improbabili.

Alla luce dell'argomentazione di Mercier, c'è da chiedersi se un cristiano crede (primo livello) o semplicemente crede di credere (secondo livello) in queste tesi. Eccone alcune:
3) Esiste un Dio perfettamente buono e onnipotente, che ha creato un universo perfettamente buono per il desiderio/la necessità di glorificare sé stesso premiando col paradiso i pochi esseri umani che sono stati fortunati a credere essendo nati nel posto e all'epoca giusti, e che condannerà all'inferno quelli che non credono.

4) Che il più elevato essere creato, noto come Satana o il Diavolo, ha condotto una ribellione angelica contro un Dio onnipotente onnisciente onni-benevolente onnipresente, e pensava di vincere - cosa che rende Satana fatto di pura malvagità e più stupido di una scatola di pietre.
Queste sono solo un paio di tesi che i cristiani credono di credere (suggerisco di andare a leggere le altre sul sito di Loftus). Ma vi credono davvero, o sono come i bambini di fronte alla storia di Babbo Natale?

La prima foto si intitola «77.365 why are you scared to dream of God, when it's salvation that you want?», ed è opera di ashley rose. La seconda è «belief», di Blue Gum. La terza si intitola «colors of belief» ed è opera di sreeji.. La quarta foto, «Encouragement», è opera di h.koppdelaney.

mercoledì 7 luglio 2010

«Quale prova ti convincerebbe dell'esistenza di un dio?»

Jerry Coyne, professore del Dipartimento di ecologia ed evoluzione all'Università di Chicago e autore del libro Why Evolution is True, ha pubblicato nel suo blog un articolo intitolato «What evidence would convince you that a god exists?» («Quale prova ti convincerebbe dell'esistenza di un dio?»), che tratta delle prove che convincerebbero un ateo dell'esistenza di un dio, a confronto con quelle che convincerebbero un credente della sua inesistenza.

Coyne inizia sottolineando due differenze tra l'atteggiamento della scienza e quello della religione di fronte alle prove che possono mettere in discussione le rispettive posizioni.

La prima è che i fedeli sono "isolati" dalle prove a sfavore della loro religione, in modo che non vi entrino mai a contatto. A tal proposito non posso che sottolineare come la non-storicità di molti libri della Bibbia ebraica/Antico Testamento non sia una verità diffusa al di fuori della cerchia degli esperti del settore, come pure la loro derivazione da testi e tematiche diffuse tra le civiltà del Vicino Oriente; allo stesso modo, ai fedeli non sono spiegate le contraddizioni tra le narrazioni evangeliche, né quelle narrative né quelle teologiche.

La seconda è che i fedeli tendono comunque a non prendere in considerazione le prove contro la loro fede. Coyne è un biologo, e dunque fa l'esempio dell'evoluzione, una teoria scientifica supportata da tonnellate di prove e da nessuna confutazione, ma rifiutata dal 60% degli statunitensi perché ritenuta incompatibile con il racconto biblico (e in Italia la situazione non è poi migliore).

Coyne riassume la differenza nell'approccio tra scienza e religione:
La religione non è un mezzo per conoscere perché non possiede un metodo per riconoscere ciò che è falso. E senza questo metodo, non si può capire di avere ragione. È per questo che la scienza permette di far avanzare la conoscenza del mondo, mentre la religione è ancora impantanata nella teologia medioevale.
Naturalmente la capacità di cambiare idea non deve essere pretesa solo dai credenti, ma deve essere dimostrata anche dai non credenti.

Coyne presenta alcune possibili confutazioni dell'ateismo. Darwin affermò che sarebbe stato disposto a credere alla creazione delle specie, invece che alla loro evoluzione, se avesse visto discendere un angelo dal cielo che portasse testimonianza a favore del creazionismo. Altri scrittori atei parlano profezie accurate o di rivelazione di verità scientifiche ora ignote all'interno dei testi sacri, come pure aumento della qualità della vita per i fedeli di una particolare congregazione non spiegabile altrimenti, eccetera.

Per quanto mi riguarda, riconosco che sarebbe per me difficile formulare una prova che mi convinca dell'esistenza di Dio, ma semplicemente perché le qualità che normalmente si associano a questa entità sono difficilmente verificabili. In altre parole, è impossibile per un osservatore che abbia una conoscenza limitata distinguere tra un'entità onnisciente e un'altra con conoscenza enormemente vasta ma non infinita, oppure tra un'entità onnipotente e una solo enormemente potente. Ma se il requisito fosse allentato, e invece di dover trovare una prova che dimostri l'esistenza di Dio ne dovessi trovare una la suggerisca fortemente, credo che le mie scelte sarebbero:
  • che le preghiere dei fedeli di una certa fede fossero accolte e quelle dei fedeli di tutte le altre no (e sto parlando di richieste davvero miracolose, come la ricrescita completa di arti amputati);
  • che i fedeli di una fede fossero protetti dal male e godessero dei frutti del bene;
  • che le persone di successo fossero quelle che seguono i dettami di una certa fede e che quelle delle altre fedi non avessero successo;
  • che i testi sacri di una fede contenessero conoscenze scientifiche avanzate e ignote al tempo della loro rivelazione, oltre a profezie chiare e consistentemente verificate.
Queste sono le mie prove; e le vostre?

martedì 6 luglio 2010

La Sindone di Torino, alla sua comparsa, fu riconosciuta falsa dalle autorità ecclesiastiche

Articolo numero 2 di una serie.

Malgrado i sindonologi abbiano tentato di associare la Sindone di Torino a epoche anteriori al XIV secolo, fallendo malamente, il telo sindonico torinese fa la sua comparsa sulla ribalta della Storia solo negli anni 1350.

In un anno non meglio precisato (la data esatta oscilla tra il 1353 e il 1357), il signore Goffredo di Charny dona ai canonici della chiesa di Lirey (in Francia, nella regione della Sciampagna-Ardenna) la Sindone di Torino, senza spiegare come ne sia entrato in possesso, e fonda una collegiata per custodirla.

I canonici di Lirey favoriscono la nascita di un afflusso di pellegrini presso la presunta reliquia, ma Enrico di Poitiers, vescovo di Turey, proibisce il culto dell'immagine, che scompare di fatto per diversi anni.

Nel 1389, Giovanna di Vergy, vedova di Goffredo, si sposa con Aimone di Ginevra, zio del papa (oggi considerato antipapa) Clemente VII. Assieme al figlio Goffredo II, Giovanna decide di esporre nuovamente la reliquia, confidando nella parentela del marito per scavalcare Pietro d'Arcis, vescovo di Turey, e ottenere l'autorizzazione direttamente dal Papa. L'autorizzazione è concessa, e l'esposizione celebrata con il conio di speciali medaglioni (uno dei quali conservato al Museo Cluny di Parigi).

Pietro d'Arcis si oppone e, dopo non aver avuto nessuna risposta da re Carlo II, scrive un memorandum a papa Clemente, in cui fa riferimento all'indagine del suo predecessore Enrico e rivela che, secondo la confessione di colui che aveva fabbricato il telo, il decano della collegiata di Lirey aveva commissionato un telo dipinto abilmente, ottenuto tramite una tecnica particolare, mosso da fini venali.

Il 23 luglio del 1389, Clemente VII interviene con una lettera destinata a Goffredo II, autorizzando l'esposizione della presunta reliquia a patto che sia chiaramente detto che non si tratta del sudario di Gesù, ma di un dipinto («pictura seu tabula»). Questa disposizione è confermata da una bolla datata 6 gennaio 1390, ma emendata da una bolla successiva dello stesso anno, datata 30 maggio: in questa seconda bolla Clemente accoglie la posizione degli Charny, e dispone che la presunta reliquia sia pubblicamente dichiarata di fattura non umana («figura seu rapresentatio») e concede indulgenze ai pellegrini. A Pietro d'Arcis è fatto divieto di contestare ulteriormente l'autenticità della sindone, pena la scomunica.

I sindonologi hanno tentato invano di contestare invano l'autenticità dei manoscritti contenenti due copie della memoria di Pietro d'Arcy; successivamente sono passati a mettere in dubbio i motivi che mossero d'Arcy, affermando che fosse invidioso del flusso di denaro che finiva nelle casse della collegiata di Lirey invece che in quelle della cattedrale. Ma come dice Nickell,
Se le affermazioni di d'Arcy riguardo alla confessione del falsario fossero state false, i custodi della sindone avrebbero potuto contestarle, mentre essi mantennero quello che sembra un silenzio colpevole. Si ricordi che d'Arcy si era detto «disposto a fornire tutte le informazioni sufficienti a rimuovere ogni dubbio concernente i fatti dichiarati». Così l'affermazione del vescovo resta valida. Esiste ancora il rapporto del balivo di Troyes, datato 1389, che afferma che la sindone era un dipinto. E papa Clemente giunse alla conclusione che si trattasse di un dipinto o di una raffigurazione.
Poi ragioni terrene, molto terrene, portarono la Chiesa a sostenere tacitamente ma attivamente il culto di questa reliquia. Ma questa è un'altra storia: quando comparve, la Sindone di Torino fu considerata un falso dalle autorità religiose.

Fonti: Vittorio Pesce Delfino, E l'uomo creò la Sindone, Edizioni Dedalo, 2000, ISBN 8822062337, pp. 204-205; Richard B. Sorensen, «Summary of Challenges to the Autenticity of the Shroud of Turin», 2007; Joe Nickell, Relics of the Christ, University Press of Kentucky, 2007, ISBN 0813124255, pp. 125-129.

domenica 4 luglio 2010

Le ragioni contro il crocifisso nelle aule

Ancora una volta, la questione dei crocifissi nelle aule scolastiche torna di interesse pubblico. È infatti iniziata la discussione sul ricorso dell'Italia e di altri paesi europei (Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Russia e San Marino, Monaco e Romania, Serbia, Moldavia, Ucraina e Albania) contro la sentenza della Corte Europea che riconosceva nei crocifissi nelle scuole dei simboli religiosi.

Prendo ad esempio un post di Fabrizio, intitolato “Crocefissi per le allodole 4 (Lenin)", in quanto riassume le argomentazioni dei cristianisti sull'argomento, esponendole però con una pacatezza che manca in molti sostenitori del crocifisso scolastico.

Fabrizio inizia riportando il sostegno al crocifisso da parte di un ateo marxista indiano, Lenin Raghuvanshi, il quale ha affermato che “Gesù Cristo ha portato la pace, la riconciliazione, la non violenza e la giustizia in questo mondo. È importante che i bambini studino questa personalità storica", e che “le visioni etiche che sono alla base di una cultura non possono essere separate da quella cultura senza distruggerla. I diritti umani e la democrazia non esistono in un vuoto, in uno spazio valoriale neutro. Negare l’identità, la cultura e la storia di una società è una violazione della laicità e dei diritti umani".

Naturalmente Lenin ha ragione, la figura di Gesù è culturalmente e storicamente importante, e i valori etici di una società, come quella occidentale, non esistono nel vuoto, ma derivano dalla storia e dalla cultura di quella società. Quello che Lenin non sembra prendere in considerazione sono due cose.

La prima è che il crocifisso nelle aule non sta lì a rappresentare un retaggio culturale, ma una precisa scelta religiosa. Non si tratta, cioè, del riconoscimento del contributo del cristianesimo alla cultura occidentale, ma dell'adesione della collettività ad una ben precisa religione. E' noto che il crocifisso sia stato introdotto nelle aule scolastiche (e più in generale negli uffici pubblici) perché esso era la religione di Stato del Regno d'Italia. Si trovava a fianco con gli altri simboli di quello stato, col ritratto del Re e, durante il Ventennio, con quello di Mussolini. In quel contesto, il crocifisso era opportuno, anzi, necessario, in quanto lo Stato italiano (savoiardo) era uno stato confessionale. Con la caduta del Fascismo, il ritratto di Mussolini fu rimosso; con l'avvento della Repubblica, il ritratto del Re scomparve; con il riconoscimento di eguali diritti a tutte le confessioni, anche il crocifisso sarebbe dovuto scomparire.

Posto che il crocifisso non è nelle aule per motivi culturali ma confessionali, che dire della sua valenza, appunto culturale? Anche sotto questo punto di vista, Lenin (e tutti i cristianisti) sbaglia, in quanto la cultura occidentale si è formata grazie al contributo di diverse civiltà - greco-romana, germanica, araba, slava - e di diverse visioni del mondo - umanesimo, cristianesimo, ebraismo, illuminismo, positivismo. Esporre un solo simbolo, il crocifisso, equivale a scegliere una sola civiltà, un solo punto di vista, tra tutti quelli fondanti la cultura e la società occidentale. E questo è inaccettabile.

L'altra argomentazione avanzata da Fabrizio, e da altri cristianisti, è quella che la croce fa parte dei simboli di diverse nazioni europee, essendo inclusa nelle bandiere dei Paesi scandinavi (la croce scandinava, appunto), ma anche di altre nazioni, come il Regno Unito, l'Ungheria, eccetera; inoltre la mezzaluna fa parte della bandiera turca e la stella di David di quella israeliana. Perché non si chiede la rimozione di questi simboli dalle bandiere?

La risposta sta nel diverso significato di quei simboli. Le croci nelle bandiere, di origine cristiana, sono oggi simboli di quelle nazioni, di quelle collettività. In altre parole, la croce blu della Finlandia sta lì a rappresentare la Finlandia, non la fede cristiana. Non sarà un caso se i Paesi scandinavi sono quelli meno religiosi, eppure nessuno abbia proposto di modificare le bandiere.

Una controprova: quando Fabrizio vede il simbolo della Repubblica Italiana, con il ramo d'ulivo alla base, pensa forse alla dea Minerva, di cui era il simbolo? No, perché posto in quel punto, l'ulivo ha altri significati, ha perso quello che aveva inizialmente (simbolo pagano, appunto) e ne ha acquisiti altri. Lo stesso vale per le croci, le stelle di David e le mezzelune nelle bandiere.

Fabrizio si lamenta anche per il modo in cui il crocifisso sarebbe rimosso: con una sentenza della Corte Europea invece che con una consultazione democratica. In altre parole, per lui sarebbe il Parlamento a dover abrogare la legge, rispecchiando la volontà popolare, non la Corte Europea.

Il problema di questa posizione è che ignora che una legge a riguardo esiste già. Si tratta della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, un trattato internazionale, firmato anche dall'Italia, che tutela i diritti dell'uomo. La Corte Europea è appunto l'organo competente a decidere sulla compatibilità tra le leggi nazionali degli Stati firmatari e il contenuto della Convenzione. Se il Parlamento italiano volesse mantenere i crocifissi nelle scuole, posto che il ricorso venga respinto, l'Italia dovrebbe ritirare la firma da quella Convenzione e, verosimilmente, dal Consiglio d'Europa (incidentalmente, non è un caso che lo Stato della Città del Vaticano non abbia sottoscritto la Convenzione).

Infine, Fabrizio afferma che “chi ha messo su questa ben orchestrata vicenda, in realtà vuole togliere di mezzo il diritto dei cristiani ad essere presenti come tali nello spazio pubblico". Io non la vedo in questo modo, perché la rimozione dei crocifissi dalle aule va contro il predominio cristiano nella vita pubblica, non contro la sua presenza. Nessuno ti vieta di professarti cristiano, ma non devi imporre a me che non lo sono l'esposizione dei tuoi simboli nel nostro spazio comune.

sabato 3 luglio 2010

Qumran: and the winner is...

Chi segue il mio blog ricorderà probabilmente il mio post in cui smontavo la frottola del presunto manoscritto del Vangelo secondo Marco risalente al I secolo.

Per chi non lo ricordasse, sui siti cristianisti si era diffusa la notizia che un esperimento dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare stesse per confermare la storicità dei vangeli attraverso uno studio dei Manoscritti del Mar Morto, testi ebraici ritrovati a Qumran, nei pressi del Mar Morto appunto, tra i quali pochi isolati studiosi individuano un frammento del Vangelo secondo Marco.

Bene, a distanza di poco tempo è stato reso pubblico il risultato dell'esperimento dell'INFN, che ha stabilito che i Manoscritti di Qumran furono scritti... a Qumran!

E allora? Sappiamo che quei manoscritti non furono compilati altrove, ma scritti dalla comunità di Qumran stessa (comunità che probabilmente non era composta da Esseni), dunque da una setta ebraica fiorente a cavallo dell'inizio della nostra era, ma questo non conferisce più veridicità ai testi cristiani.

giovedì 1 luglio 2010

Sulla necessità di usare buone argomentazioni

E' difficile trovare argomentazioni serie e sostenibili a favore della visione teistica del mondo. Spesso e volentieri si incontrano argomentazioni chiaramente false, che fanno affidamento, per lo più, sull'incapacità di comprendere la complessità, sul richiamo all'umiltà, sull'autorevolezza delle fonti (quelle a favore del teismo, ovviamente) e cose simili.

Non si tratta di un problema recente: si ripete allo stesso modo non solo da decenni, ma addirittura da secoli. Sul blog Common Sense Atheism è comparso un articolo («Lessons from Ancient Indian Atheism») in cui è riportato un dialogo tra un credente e un non credente risalente all'India di ventisei secoli fa.

Il brano è davvero molto interessante, in quanto il saggio credente (il testo è stato ovviamente tramandato dai teisti), Kassapa, propone molte delle solite argomentazioni teiste: chiede al suo interlocutore, Payasi, le prove della sua incredulità, formula delle ipotesi, di cui ovviamente non fornisce dimostrazione, per smontare le argomentazioni di Payasi, minaccia il suo interlocutore di rovina se continuerà a mettere in dubbio le argomentazioni teiste, e così via. Nulla di nuovo sotto il sole.

Quello che però mi preme di dire è che neppure Payasi ci fa un figurone (anche se va considerato il fatto che le sue parole sono state conservate dalla persone a lui avverse). Le sue argomentazioni sono deboli e dimostrano una certa ingenuità, e inoltre non si accorge, né tanto meno evidenzia, delle pecche del ragionamento di Kassapa.

Neppure questo aspetto, va chiarito, è tanto mutato nei secoli. Anche oggi che il movimento dei cosiddetti "Nuovi atei" (Dawkins e Hitchens, per fare due nomi) si è guadagnato il merito di mettere in evidenza gli errori e le debolezze del pensiero teistico, gli atei continuano a commettere a fornire argomentazioni deboli a loro volta. Ad esempio, sia Dawkins che Hitchens, nei loro popolari libri L'illusione di Dio e Dio non è grande, presentano alcune argomentazioni fallaci, mentre altre volte non confutano le posizioni teistiche che dicono di voler confutare.

Certo, nelle discussioni argomentazioni più "alla mano" possono essere utili, per non dover ricorrere ad esposizioni pesanti e poco accattivanti, ma se si scrive un libro, sarebbe opportuno curare la validità delle argomentazioni che contengono. A tal proposito segnalo un libro in lingua inglese che dovrebbe essere sia leggibile che rigoroso: The Christian Delusion: Why Faith Fails, curato da John Loftus; se qualcuno volesse farmi un regalo, questo libro sarebbe molto gradito.

Insomma, la morale della favola è che in una discussione tra teisti e anti-teisti la verità può stare solo da una parte, mentre l'errore da entrambe.