lunedì 31 maggio 2010

La Sindone di Torino non è il Mandylion di Edessa

Post #1b di una serie.
Aggiunta sezione sul Codex Vossianus Q 69 (29-9-2010)


Come detto in un post precedente, i sostenitori dell'autenticità della Sindone di Torino si trovano davanti alla difficoltà di spiegare come il presunto lenzuolo funebre di Gesù sia arrivato dalla Palestina del I secolo alla Francia del XIV secolo, riempiendo un vasto salto spaziale di migliaia di chilometri ma anche un ancor più vasto salto temporale di mille e trecento anni. Come mostrato in quello stesso post, i sostenitori dell'autenticità della Sindone hanno cercato, nella lunga storia del Cristianesimo, indizi della conservazione della sindone di Gesù, per puntellare la loro ipotesi facendo affiorare la Sindone in qualche epoca. Purtroppo per loro, tutte le citazioni che hanno potuto presentare si sono dimostrate deboli e di interpretazione arbitraria.

Discorso a parte merita l'identificazione tra Sindone di Torino e Mandylion, sostenuta da alcuni sindonologi in tempi recenti. Il Mandylion era un telo che recava un'immagine del volto di Gesù ritenuta miracolosa; secondo la tradizione, Gesù si sarebbe asciugato il volto con un pezzo di stoffa e in questo modo vi sarebbe rimasta impressa la sua immagine. Sarebbe stato custodito ad Edessa (moderna Turchia), dove la sua presenza è accertata a partire dal 544, poi, nel 944, fu trasferito nella capitale bizantina, a Costantinopoli, dove rimase fino al saccheggio della città del 1204, avvenuto per mano dei crociati della Quarta crociata.

L'identificazione della Sindone di Torino col perduto Mandylion è resa impossibile, fondamentalmente, da un unico, semplice fatto: tutte le fonti scritte e tutte le riproduzioni del Mandylion concordano sul fatto che esso raffigurava Gesù vivo (mente la Sindone raffigura un uomo morto e con chiare macchie di sangue); con pochissime eccezioni, poi, tutte queste fonti affermano anche che si trattava di una riproduzione del solo volto di Gesù (mentre la Sindone raffigura l'intero corpo, sia davanti che di dietro).

Con questo in mente, ripercorriamo la storia del Mandylion.

Formazione della leggenda del Mandylion

Eusebio di Cesarea (263-339) narra nella sua Storia ecclesiastica (libro I, capitolo 13) che Gesù ricevette una lettera dal re di Edessa Abgar (Abgar V il Nero, sovrano di Edessa dal 13 al 50), il quale era ammalato incurabilmente e gli chiedeva di andare ad Edessa a guarirlo. Gesù scrisse una lettera ad Abgar (che Eusebio riproduce) in cui spiegava che non poteva andare a guarirlo, ma che gli avrebbe mandato uno dei suoi discepoli. Dopo la morte e risurrezione di Gesù, Giuda Tommaso inviò Taddeo dal re Abgar, che fu guarito dalla malattia che l'affliggeva. Eusebio non narra altro, non fa menzione di alcuna raffigurazione di Gesù; semplicemente collega Edessa a Gesù attraverso una lettera autografa di Gesù stesso.

Egeria, una ricca e influente donna spagnola, compì un viaggio in Oriente nei luoghi sacri della cristianità e dell'ebraismo, e nel 384 visitò Edessa, dove le fece da cicerone proprio il vescovo cittadino. Le sue memorie di viaggio si sono conservate, e attraverso di esse scopriamo che la leggenda di Abgar e Gesù si era già sviluppata cinquant'anni dopo Eusebio. Egeria riferisce infatti una storia narratale dal vescovo di Edessa (capitolo 19), secondo la quale Abgar utilizzò la lettera di Gesù per ottenere portenti che impedirono ai Persiani di conquistare la città, e che anche negli anni successivi la lettera aveva miracolosamente difeso la città dai nemici. Egeria narra anche che il vescovo di Edessa le fece avere una copia delle due lettere (quella di Abgar a Gesù e la risposta): ella nota come la lettera di Gesù ad Abgar donatale dal vescovo fosse più lunga della copia che Egeria aveva già in Spagna.

Sebbene neppure questa fonte citi alcuna immagine, si può vedere come la leggenda si stia evolvendo nel tempo (Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, a cura di Paolo Siniscalco, Città Nuova, 2000).

domenica 23 maggio 2010

Sindone: perché non credere (IV)

Col numero di aprile di MicroMega era in allegato una monografia sulla Sindone di Torino, intitolata L'inganno della Sindone. Questo è il quarto post con il quale sto recensisco gli articoli contenuti nella monografia (gli altri posts sono visualizzabili tramite l'etichetta «L'inganno della Sindone»).

Sindoni giudaiche contemporanee a Gesù
Antonio Lombatti
Vorrei riassumere il saggio di Antonio Lombatti partendo dalla fine. Dopo una panoramica sulle sindoni giudaiche dei primi secoli della nostra era, Lombatti scrive infatti:
Per concludere, come scrivono i maggiori archeologi israeliani che hanno scavato tombe del periodo romano in Palestina per oltre trent'anni – L. Rahmani, R. Hachlili, S. Gibson – chi ha creato la Sindone era una persona completamente ignorante degli usi e dei costumi funebri del giudaismo al tempo di Gesù.
Per sostenere questa conclusione, Lombatti indaga tra le pubblicazioni scientifiche sui ritrovamenti di tombe giudaiche risalenti al periodo tra il IV secolo a.C. e il I secolo d.C.; a partire da questi ritrovamenti (oltre cinquemila tombe analizzate), gli archeologi sono in grado di dirci molto sulle pratiche funerarie degli ebrei di duemila anni fa in Palestina.

Di particolare interesse sono ovviamente i dati sui corredi funebri: Lombatti riferisce di una sessantina di panni funebri, in vario stato di conservazione, e riassume le conclusioni che se ne possono trarre riguardo:
pluralità di teli diversi utilizzati – gran parte di essi era di lana – torcitura a S e corde per bloccare il movimento degli arti.
I tre punti comuni ai vari ritrovamenti sono significativi. Gli Ebrei di duemila anni fa seppellivano i morti legandoli con corde e avvolgendoli in più teli, di cui uno per il volto; i tessuti erano con fili a torcitura 'S', tipica della Palestina, ed erano relativamente semplici (rapporti trama-ordito 1:1 o 2:2), per lo più in lana, ma anche in lino e cotone.

Miracolo!

Decine di persone possono testimoniare di averlo visto passare da un lato all'altro della piscina.

La migliore spiegazione è che si tratti di un miracolo. Solo chi non ammette per pregiudizio spiegazioni soprannaturali può blaterale di «supporti in plexiglas».



Ripreso dal post «Jesus: Miracle Man or Trickster» di Common Sense Atheism.

giovedì 20 maggio 2010

Maometto, Facebook e arte

Disegnate tutti Maometto Day

Come forse qualcuno saprà, oggi 20 maggio 2010, è il primo "Everybody Draw Muhammad Day", in cui tutti sono invitati a disegnare un ritratto di Maometto.

Per quale motivo? Non per mostrarsi irrispettosi verso il sentimento religioso di qualcuno, ma per dire chiaramente che la libertà di espressione è molto importante, e che non siamo disposti a rinunciarvi in nome delle credenze di una particolare religione.

Credi che la tua religione ti vieti di raffigurare il tuo profeta? Sei liberissimo di non farlo.

Credi che questa limitazione valga per tutti? Beh, ti sbagli di grosso, la tua fede non comporta obblighi per me.

Credi di avere il diritto di usare violenza su chi non rispetta i dettami della tua religione? Sei solo un criminale e un intollerante.

Credi che non sia giusto obbligare gli altri a non raffigurare Maometto, ma pensi che sia giusto o più sicuro non farlo? Vuol dire che sei disposto a rinunciare alla tua libertà, ma forse non te ne rendi conto.

Tribunale pakistano chiude Facebook per immagini su Maometto

Se servisse una prova della necessità di questa giornata, ecco una notizia di Al Jazeera che cade a puntino: in Pakistan, il Movimento degli Avvocati Islamici ha chiesto e ottenuto da un tribunale la chiusura dell'accesso a Facebook da tutto il paese. La ragione?

Sul social network è comparsa una pagina di sostegno al "Everybody Draw Muhammad Day", e gli avvocati islamici l'hanno considerata blasfema. «La competizione ha ferito i sentimenti dei musulmani», ha affermato l'avvocato Chaudhry Zulfikar Ali.

Il governo aveva proposto di oscurare solo la pagina in questione, ma gli avvocati hanno insistito a oscurare tutto Facebook, e quindi tutto il sito è stato oscurato perché alcune persone non sono emotivamente mature a sufficienza da accettare l'idea che vi siano altre persone che non credono a ciò che credono loro.

Raffigurazione di Maometto

Dato che non sono bravo a disegnare, ho intenzione di partecipare inserendo un disegno di Maometto non mio. Il disegno raffigura al centro Maometto che regge la Pietra Nera:

L'autore è noto come Maestro delle Scene dalla Vita del Profeta, un miniatore attivo nel 1315.

La foto è di Gallo/Getty.

martedì 18 maggio 2010

La Sindone di Torino non è menzionata prima del XIV secolo

Post #1 di una serie.

Aggiornato al 7 giugno con l'aggiunta di ulteriori testimonianze.
Aggiornato al 1 giugno con l'aggiunta del Codice Pray.
Aggiornato al 28 maggio con l'aggiunta della Vita di santa Nino.


Anche i sindonologisti più fondamentalisti devono ammettere che non ci sono prove storiche decisive dell'esistenza della Sindone di Torino prima della metà del XIV secolo, quando comparve a Lirey, in Francia.

Cionondimeno, coloro che sostengono l'autenticità della Sindone hanno tentato di trovare indizi della sua esistenza nei tredici secoli precedenti, dato che questo lungo silenzio delle fonti sulla più importante reliquia della cristianità non può che metterli in imbarazzo.

Quello che segue è un riepilogo delle argomentazioni presentate, affiancate dalle relative contro-argomentazioni. Le fonti secondarie di queste notizie sono le pagine «Sindone di Torino» e «Storia della Sindone», da Wikipedia edizione italiana (*), «History of the Shroud of Turin», da Wikipedia edizione inglese (#), la pagina «I principali avvenimenti» dal sito Collegamento pro Sindone (@), e il sito The Definitive Shroud of Turin FAQ ($); dove possibile, sono state riportate anche le fonti primarie.

Fonti cristiane dei primi secoli

In questa sezione sono presentate le testimonianze relative ai primi secoli di storia cristiana che sono portate da alcuni sindonologi a testimonianza dell'esistenza della Sindone di Torino in epoca antica. L'identificazione tra Sindone di Torino e Mandylion, e dunque la storia della reliquia di Edessa, non è trattata qui.

Conservazione della sindone
«I sindonologi autenticisti ipotizzano che dopo la risurrezione di Gesù il lenzuolo sia stato conservato e venerato dalla primitiva comunità cristiana di Gerusalemme [Vedi ad esempio E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 75.].»(*)
A questo riguardo non credo che ci sia molto da dire oltre a quello che ha scritto Mauro Pesce, professore ordinario di Storia del Cristianesimo all'Università di Bologna, nel suo articolo «I vangeli e la Sindone», pubblicato nel numero monografico di MicroMega di aprile, L'inganno della Sindone. Di questo articolo ho parlato nel post «Sindone: perché non credere (II)», ma, riassumendo in due parole, l'analisi dei testi cristiani del primo cristianesimo mostra come i discepoli di Gesù non fossero interessati a conservare reliquie o altre testimonianze della vita terrena di Gesù, in quanto le consideravano inutili all'interno della loro concezione della fede.

Vangelo degli Ebrei
Nel II secolo il Vangelo degli Ebrei, uno scritto apocrifo diffuso tra i giudeo-cristiani in Palestina e andato perduto, accenna fugacemente alla sindone: «Il Signore, dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, apparve a Giacomo» (citato da Girolamo, Uomini illustri cap. 2 lat.). L'anonimo "servo del sacerdote" potrebbe essere identificato con l'evangelista Giovanni,[Sulla base di un'interpretazione un po' stiracchiata di Gv 18, 15, così Gino Zaninotto in Il grande libro della Sindone, 2000, p. 35.] oppure Malco,[Il "servo del sommo sacerdote" è citato in occasione dell'arresto di Gesù Gv 18, 10 e paralleli. Ipotesi riportata con prudenza da Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 450.], oppure Pietro ipotizzando una corruzione del testo latino[Così Charles Harold Dodd che ipotizza la corruzione del prototermine latino petro (Pietro) in puero (ragazzo, servo), corruzione presente anche nel Codex Bobbiensis in Mc 16, 7. Un successivo copista avrebbe poi modificato puero in servo sacerdotiis (P. Baima Bollone e P.P. Benedetto, Alla ricerca dell'Uomo della Sindone, cit.).].(*)
Il testo del Vangelo degli Ebrei riferisce del gesto di Gesù risorto, che consegna il sudario al servo del sacerdote (Dominus autem cum dedisset sindonem servo Sacerdotiis, ivit ad Jacobum, et apparuit ei). Il passo riportato da Girolamo non menziona alcuna immagine impressa sul telo, né fa intendere che esso fosse destinato alla comunità cristiana o oggetto di particolare devozione; Girolamo stesso, che pure riporta il brano, non mostra di conoscere la sindone di cui starebbe parlando.

Vangelo di Nicodemo
Il Vangelo di Nicodemo, datato al II secolo, nelle varie redazioni pervenute, accenna alla sindone e al sudario che sono dette presenti nel sepolcro dopo la risurrezione[Recensione greca A, 15,6-7 tr. it.; papiro copto di Torino 12,3;6-7 tr. it.; recensione latina 15,7-8 tr. it.]. Non viene aggiunto nulla di nuovo rispetto al resoconto dei vangeli sulla sindone evangelica e non si accenna ad un'immagine impressa.(*)
Qui è lo stesso autore dell'articolo che conferma come la testimonianza del Vangelo di Nicodemo riprenda le informazioni contenute nei vangeli canonici a proposito delle bende usate per avvolgere Gesù; anche qui, non si fa menzione di alcuna immagine impressa sul sudario, cosa difficilmente spiegabile se l'evangelista fosse stato a conoscenza dell'immagine sindonica.

Inno della Perla

L'Inno della Perla è un poema epico in lingua siriaca, risalente probabilmente alla seconda metà del II secondo secolo, che fu incluso attorno al III secolo negli Atti di Tommaso, un'opera gnostica che descrive il viaggio e il martirio dell'apostolo Tommaso in India. Alcuni sostenitori dell'autenticità della Sindone di Torino affermano che il seguente brano sia un riferimento al telo sindonico conservato in Piemonte:
Improvvisamente, vidi la mia immagine sulla mia veste come in uno specchio
Me stesso e me stesso attraverso me stesso [oppure me stesso guardando all'infuori e all'interno]
Come diviso, eppure una sola sembianza
Due immagini: ma una sola sembianza del Re [dei Re, in alcune traduzioni] ($)
Secondo alcuni sindonologi,
Se osservate una fotografia della sindone vedrete due immagini complete di un uomo, una in cui l'immagine guarda in fuori e una in dentro. In termini più moderni le chiamiamo immagine anteriore e immagine posteriore, o ventrale e frontale. Esse sono, in effetti, come in uno specchio in quanto sono complete e apparentemente perpendicolari alla superficie. Quelle parole, «come diviso, eppure una sola sembianza», risuonano con le due immagini separate che si incontrano alla sommità della testa. ($)
Il problema di questa interpretazione è che è basata su di una traduzione ambigua, che lascia intendere ciò che non sta scritto nel testo.

Anzitutto, l'Inno della Perla narra di un principe, inviato in Egitto da suoi regali genitori a rubare una perla ad un drago; giunto a destinazione, il principe dimentica il suo compito e la sua identità, e solo dopo aver ricevuto una lettera dai genitori egli ruba la perla e torna a casa (Bart D. Ehrman, Lost scriptures: books that did not make it into the New Testament, Oxford University Press US, 2003, ISBN 0195141822, p. 324). Colui che parla, dunque, non è Gesù, ma il principe, ed egli fa riferimento alla propria veste di seta, non ad un sudario funebre. Ogni relazione tra Sindone e Inno della Perla è dunque solo nella mente di chi legge.

Una traduzione accademica del testo rende più chiara la distanza tra Inno della Perla e Sindone (Ehrman, op. cit., p. 326); si sta parlando della veste di seta del principe, che ha dimenticato il suo rango:
76 Ma, quando vidi improvvisamente la mia veste riflessa come in uno specchio
77 Vi percepii anche tutto me stesso
E attraverso di essa conobbi e vidi me stesso
78 Poiché sebbene avemmo origine dall'uno e medesimo eravamo parzialmente divisi
Eppure nuovamente eravamo uno, con un'unica forma.
Vita di santa Nino

La Vita di santa Nino è un'opera del IV secolo che racconta la vita di Nino, missionaria cristiana in Georgia. Nell'opera è contenuto un brano che narra:
E trovarono il lino, all'ingresso della tomba di Cristo, dove Pilato e sua moglie vennero. E quando lo trovarono, la moglie di Pilato chiese il lino, e se ne andò velocemente a casa sua nel Ponto e divenne un credente in Cristo.
Secondo alcuni sindonologi, questa sarebbe una testimonianza della conservazione della sindone nel IV secolo. I problemi di questa affermazione sono:
  1. che il telo citato non reca alcuna immagine impressa, dunque non può essere la Sindone;
  2. che la storia è tarda, come indicato dalla raffigurazione di Pilato e di sua moglie come sostenitori dei cristiani, e persino cristiani essi stessi, almeno per quanto riguarda la moglie di Pilato;
  3. che secondo questa fonte la Sindone sarebbe stata nel Ponto, cioè nella Turchia settentrionale, e dunque sarebbe uno sviluppo legato alla predicazione georgiana di Nino;
  4. questo brano della Vita di santa Nino è presente in solo uno dei manoscritti dell'opera, datato al IX o X secolo, ed è dunque un'aggiunta tarda (Margery Wardrop, Life of Saint Nino, Gorgias Press LLC, 2006, ISBN 1593334710, p. 3).
Vangelo di Gamaliele
Il Vangelo di Gamaliele riporta gli eventi della risurrezione nominando 16 volte le "bende" di Gesù. È difficile ricostruire storia e datazione del testo: si è conservato indirettamente tramite un manoscritto etiope del V-VI secolo contenente l'omelia Lamentazione di Maria di un certo Heryaqos, vescovo di Al-Bahnasa (alto Egitto), la quale riporta ampie citazioni dell'apocrifo.[Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 777.] Nel testo Pilato si recò al sepolcro dopo la risurrezione, "prese le bende mortuarie, le abbracciò e, per la grande gioia, scoppiò in lacrime quasi che avvolgessero Gesù". Grazie alle bende un soldato recupera miracolosamente la vista e il "buon ladrone" viene risuscitato. Divengono oggetto di culto: "tutto il popolo, quelli della regione di Samaria e i pagani volevano vederle". In questo caso, al di là della improbabile storicità dei resoconti dell'apocrifo, il testo è storicamente importante in quanto testimonia l'esistenza di bende funebri di Gesù e il culto ad esse attribuito. Non vi è accenno ad un'immagine impressa sulle bende.(*)
Tralasciando altre considerazioni, si può affermare che, al di là di ogni ragionevole dubbio, il Vangelo di Gamaliele non parli della Sindone di Torino: si parla di «bende», e non di un singolo «telo», né si accenna in alcun modo all'esistenza di una immagine impressa su di esso.

Omelie di Cirillo di Gerusalemme

Riguardo alle omelie di Cirillo, vescovo di Gerusalemme, Wikipedia scrive:
Si fa menzione della Sindone anche in due distinte omelie del IV secolo di Cirillo di Gerusalemme. Nella Catechesi quattordicesima si legge: «Molti sono i testimoni della risurrezione... la roccia del sepolcro... gli angeli di Dio... Pietro, Giovanni e Tommaso, insieme agli altri Apostoli, dei quali alcuni accorsero al sepolcro; i lini della sepoltura, coi quali fu prima avvolto, che giacenti dopo la risurrezione... le fasce sepolcrali e il sudario che lasciò risorgendo... i soldati...» (14, 22). Nella Catechesi ventesima: «Vera la morte di Cristo, vera la separazione della sua anima dal suo corpo, vera anche la sepoltura del suo santo corpo avvolto in un candido lenzuolo». (20, 7). Le catechesi si riferiscono quindi alla sindone evangelica e non forniscono criteri utili circa la storicità della Sindone di Torino. Neanche qui vi è accenno ad un'immagine impressa sui tessuti. (*)
Come scritto, Cirillo, vescovo di Gerusalemme dal 347 al 387, non parla di immagini impresse sui lini né sul lenzuolo, e non sembra a conoscenza della conservazione di una tale reliquia.

Epifanio di Salamina

Cercando tra la mole di prove indiziarie a favore dell'esistenza della Sindone di Torino prima del XIV secolo, si possono trovare perle come pure fondi di bottiglia. Alla seconda categoria appartiene questa citazione:
Ad Anablatha, vicino Gerusalemme, sulla via verso Bethel, Epifanio di Salamina strappa un "velo" della dimensione adatta per uso funebre, sul quale si vede, dai contorni incerti, un'immagine umana intera. (@)
Purtroppo, questa citazione è ampiamente fuorviante. La storia vera è la seguente: Epifanio, vescovo di Salamina di Cipro dal 367 al 403, racconta di essere giunto ad Anablatha, dove, in una chiesa, trovò una tenda, colorata e dipinta, raffigurante Cristo o un santo. Poiché questa raffigurazione di un essere umano gli pareva contraria alle Scritture, strappò il telo e lo diede ai custodi, dicendo loro di avvolgervi il cadavere di un povero per seppellirlo. I fedeli del posto gli chiesero di mandare loro un nuovo tendaggio.

Come si vede, si trattava di un tendaggio, colorato e dipinto, che fu distrutto da Epifanio, e che i fedeli del luogo non tenevano in particolare considerazione. Nessun collegamento con la Sindone di Torino, allora perché citarlo?

Rito mozarabico
Nel rito mozarabico, in un passo che si ritiene risalire al VI secolo, si afferma che Pietro e Giovanni videro le "impronte" del Risorto sui lini[Daniel R. Porter, The Mozarabic Rite, a Clue to the Shroud of Turin? (2004)]. (*)
Il testo del rito mozarabico è fatto risalire alla illatio (l'equivalente della Praefatio nel rito romano) di un giorno del tempo di Pasqua.

Mi ci è voluto un po', ma ho trovato il testo: si tratta della inlatio del sabato dopo Pasqua. Il testo recita (Missale mixtum secundum regulam Beati Isidori dictum Mozarabes, Volume 1, Alexander Lesley, Sumptibus V. Monaldini, 1755 p. 216, 91—94):
Ad monumentum Petrus cum Johanne concurrit : recentiaque in linteaminibus defuncti : & resurgentis vestigia cernit.
che può essere tradotto come:
Pietro corre con Giovanni alla tomba, e vede nelle pezze di lino le vestigia recenti del morto e risorto.
Il fulcro della questione è la traduzione di vestigia (la parola latina, non quella italiana), che vuol dire «impronta, orma, vestigio, passo, pianta del piede», ma anche, in senso lato, «segno di una presenza, traccia, ricordo». Ma quale di queste due traduzioni è quella opportuna? È utile ricordare che la illatio non è un'omelia, ma un riassunto di brani dei vangeli, e cercare di risalire al brano cui fa riferimento questa illatio.

Nel Vangelo secondo Giovanni (20:3-8), Pietro e un apostolo anonimo identificato tradizionalmente con Giovanni corrono alla tomba di Gesù; Pietro entra e vede le bende a terra e i sudario piegato in un angolo; "Giovanni" entra, «e vide, e credette».

Se questo è il brano cui l'illatio fa riferimento, e non ce ne sono altri che parlino di Pietro e Giovanni che corrono alla tomba, la traduzione della parola latina vestigia è proprio l'italiano "vestigia", che significa «segno indicatore, indizio, traccia».

Stefano II
Papa Stefano II (752-757) scrive che la figura del volto e dell'intero corpo di Gesù è stata "divinamente trasferita" sul lenzuolo[Richard B. Sorensen, Summary of Challenges to the Authenticity of the Shroud of Turin (2007)]. (*)
Questa fonte è fatta risalire ad una scoperta dello scrittore Ian Wilson, pubblicata nel suo libro del 1991 Holy Faces, Secret Places: An Amazing Quest for the Face of Jesus (p. 152). Non sono riuscito a trovare alcuna citazione di questo documento, ma c'è una interessante coincidenza che mi causa un dubbio su questa citazione.

Nel 752 fu eletto Papa un certo Stefano, che però morì prima di essere consacrato. Questo Papa eletto ma non consacrato scombina la numerazione dei Papi di nome Stefano, in quanto talvolta è considerato come Stefano II e talaltra no. Lo stesso giorno della sua morte fu eletto Papa Stefano (Orsini), che regnò fino al 757, e che è quindi noto come Papa Stefano II o III. Stefano III o IV regnò invece dal 768 al 772.

Wilson attribuisce a Stefano II/III l'affermazione che l'immagine di Gesù si sarebbe trasferita al suo sudario. Ma Stefano III/IV è famoso per aver fatto riferimento, durante il Sinodo laterano del 769, al telo inviato, secondo la leggenda, da Gesù al re edesseno Abgar, sul quale era presente l'immagine del volto di Gesù stesso (Daniel C. Scavone, "Acheiropoietos Jesus Images in Constantinople: the Documentary Evidence***"). Sembra improbabile che Stefano II/III conoscesse il telo della Sindone di Torino e il suo successore no. Possibile che Wilson si sia confuso?

Arculfo
Nell'opera De locis sanctis, scritta dal monaco Adamnano nel 698, è descritto il pellegrinaggio del monaco e vescovo Arculfo compiuto a Gerusalemme attorno al 670. Il pellegrino descrive il ritrovamento del sudario di Cristo ("quello che era stato posto sul suo capo nel sepolcro") e il culto ad esso attribuito (1, 10). Secondo il racconto di Arculfo, il sudario era stato prelevato dal sepolcro di Gesù da un anonimo giudeo ed era stato tramandato come patrimonio di famiglia. Tre anni prima (circa 667) era sorta una disputa sul possesso del sudario. Il re dei saraceni Navias (cioè Mu'awiya ibn Abi Sufyan) aveva chiamato i due gruppi di contendenti e buttato il lino in un fuoco, ma questo era rimasto sospeso sulle fiamme volando poi di fronte a un pretendente. Il lino era custodito in uno scrigno e venerato dal popolo, Arculfo stesso l'aveva baciato. Misurava "quasi otto piedi in lunghezza", cioè circa 2,3 metri. Arculfo non accenna a un'immagine impressa.[J. Francez, Un pseudo linceul du Christ, Paris 1935] (*)
Il sudario venerato da Arculfo non è la Sindone di Torino: oltre a sbagliarsi nella dimensione del telo, Arculfo, che pure aveva baciato la reliquia, non menziona l'esistenza di un'immagine impressa.

Braulione
Nel VII secolo Braulione, vescovo di Saragozza, nella lettera 42 all'abate Tajo, cita i lini e il sudario evangelico, ipotizzando che questo sia stato conservato dagli apostoli[PL vol. 80, col. 0689A-B: Sed et illo tempore notuerunt fieri multa quae non habentur conscripta, sicut de linteaminibus, et sudario quo corpus Domini est involutum, legitur quia fuerit repertum, et non legitur quia fuerit conservatum: nam non puto neglectum esse ut futuris temporibus inde reliquiae ab apostolis non reservarentur, et caetera talia. Traduzione italiana: "Ma in quel tempo accaddero molte cose le quali non sono state scritte (nei vangeli), come i lini e il sudario nel quale fu avvolto il corpo del Signore, del quale si legge che è stato trovato ma non si legge che fu conservato: non penso che sia stato trascurato, in modo tale che gli apostoli non lo abbiano conservato per i tempi futuri, e altre cose simili."]. (*)
Anche in questo caso, la fonte non accenna ad una immagine impressa. Inoltre Braulione afferma di pensare che il sudario non possa essere stato conservato dagli apostoli, ma non sembra sapere che il sudario sia giunto ai suoi tempi.

Codice Pray

Si osservi l'immagine a destra. Nella scena superiore è raffigurato il lavaggio del cadavere di Gesù, deposto su di un piano coperto da un telo. Nel registro inferiore è raffigurata la scena delle tre donne che si recano al sepolcro e trovano un angelo che svela la tomba vuota e indica il sudario. Prima di continuare a leggere, descrivete il sudario come è rappresentato nelle due scene, quanto è lungo, se contiene immagini o disegni o altri segni, se possiede frange o cuciture evidenti, eccetera.

L'immagine è una miniatura del Codice Pray, datato tra il 1192 e il 1195 e conservato alla Biblioteca Nazionale di Budapest. Si tratta del più antico manoscritto in lingua ungherese conservatosi. Ma come è collegato alla Sindone di Torino?

Secondo i sindonologi,[Wilson, Ian, The Evidence of the Shroud, Guild Publishing: London, 1986, p. 114] si tratterebbe di una raffigurazione della Sindone di Torino: vi sarebbero raffigurati segni di bruciatura a forma di 'L' vicino ad un lato e la trama a spina di pesce, caratteristiche del telo sindonico torinese. A parte l'assenza del tratto più clamoroso della Sindone di Torino, l'immagine di Gesù morto, e l'incompatibilità della lunghezza del telo con la possibilità di contenere l'immagine fronte-retro di un essere umano, ci vuole uno sforzo notevole di fantasia per vedere i questa immagine tutto ciò che i sindonologi vorrebbero metterci.

Altre testimonianze

Vi sono altre testimonianze che sono collegate dai sindonologi al telo sindonico di Torino; quelle di seguito sono tratte da «Acheiropoietos Jesus Images in Constantinople: the Documentary Evidence***», di Daniel C. Scavone.

Nel 958, l'imperatore Costantino VII scrive una lettera in cui elenca le reliquie della Passione: tra queste cita «i sacri lini» (σπάργαvα) e la «sindon che Dio indossò». Non si parla di immagini miracolose poste su quest'ultima.

Risale al 1095 una lettera in cui l'imperatore Alessio I Comneno scrive al conte Roberto delle Fiandre, dicendo che preferirebbe che Costantinopoli fosse conquistata dagli occidentali piuttosto che dai musulmani. La ragione per questo strano invito sarebbe l'elevato numero di reliquie presenti nella città, incluse le bende di lino trovate nel sepolcro dopo la risurrezione di Gesù. Non si parla di immagini sul telo, inoltre l'autenticità della lettera è dubbia.

Nel 1150 un pellegrino inglese a Costantinopoli parla di un contenitore in oro che contiene un telo sul quale è impressa l'immagine del volto di Gesù (il Mandylion) e un sudario, «posto sulla sua testa». Non si tratta quindi della Sindone di Torino.

Sette anni dopo, il pellegrino islandese Nicholas Soemundarson parla delle reliquie della Passione conservate nel palazzo imperiale di Costantinopoli; tra esse vi sono «fasciae con sudarium e sangue di Cristo». Nessuna immagine, dunque. Ancora una testimonianza sul tesoro di reliquie costantinopolitane: questa volta è datata al 1171, quando l'arcivescovo Gugliemo di Tiro vede la sindone di Gesù, senza alcuna immagine; nel 1200, Antonio di Novgorod parla di un «linteum raffigurante il volto di Cristo», dunque non una figura intera.

Nel 1201 Nicola Mesarite, guardiano dei tesori della Cappella del Faro nel Palazzo del Bucoleone testimonia dell'esistenza delle «le sindones funebri di Cristo: esse sono di lino. Sono di materiale economico e facile da trovare, e resistono alla distruzione in quanto avvolsero il corpo incircoscritto, fragrante di mirra e nudo dopo la Passione». Anche in questo caso, non si parla di immagini, anzi, si menzionano più teli avvolti.

Nel 1203 o 1204, uno dei crociati che conquistarono Costantinopoli nella Quarta crociata, Roberto di Clary, riporta questa testimonianza:
Esiste un'altra delle chiese, che chiamano Mia Signora Santa Maria di Blachernae, dove era conservata la sydoines in cui Nostro Signore fu avvolto, che era sollevata ogni venerdì, in modo che le fattezze di Nostro Signore fossero in piena vista.
Questa è la migliore freccia nell'arco dei sindonologi. Anche se bisogna sottolineare che Roberto non afferma di aver visto la sindone, né che essa portasse impressa l'immagine del corpo di Gesù.

Al 1205 risalirebbe, se i dubbi sulla sua autenticità fossero infondati, una lettera di Teodoro Angelo, nipote dell'imperatore Isacco II Angelo, indirizzata a papa Innocenzo III. Teodoro lamenta del furto del «lino in cui Nostro Signore Gesù Cristo fu avvolto dopo la sua morte e prima della risurrezione» da parte dei cavalieri Franchi. Anche in questo caso non si fa menzione di immagini.

Nel 1207, Nichola di Otranto, abate del monastero di Casole, testimonia l'esistenza a Palazzo della spargana di Gesù; normalmente con spargana si intende la fascia con la quale in passato si avvolgevano stretti i bambini, ma anche se qui Nicola stesse parlando della Sindone, cosa non indiscutibile, sarebbe strano il fatto che non menzioni il portento dell'immagine di Gesù.

Nel 1241 l'ultimo sovrano dell'Impero latino, Baldovino II, inviò a re Luigi IX di Francia alcune reliquie in pegno per un prestito. Secondo la Bolla promulgata da Baldovino nel 1247, tra queste reliquie vi erano il Mandylion e «una parte del sudarium (pars sudarii) in cui fu avvolto il corpo di Cristo nella tomba». Oltre a non menzionare alcuna immagine sul sudario, fatto ormai ricorrente nelle fonti, qui si afferma anche che al sudario fu asportata una porzione.

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Spirito Santo


Da xkcd.

lunedì 17 maggio 2010

Prove della falsità della Sindone di Torino

Un blogger cattolicista ha recentemente affermato riguardo alla Sindone di Torino: "Da parte mia ritengo che ci siano una sufficiente messe di prove indiziarie in altro senso per ritenere che nell'esame del C14 qualcosa sia andato storto. Perchè quale altra prova abbiamo che sia un falso, se non quella?"

Ho perciò pensato di elencare le prove della non-autenticità della Sindone di Torino. Nella maggior parte dei casi, si tratta di prove indiziarie, ma prese tutte assieme depongono nettamente a sfavore dell'autenticità della Sindone di Torino:
  1. non si fa menzione della Sindone prima del XIV secolo (e no, la Sindone di Torino non è il Mandylion di Edessa);
  2. le autorità ecclesiastiche dell'epoca la dichiararono un falso;
  3. la Sindone è incompatibile con le vere sindoni ebraiche del I secolo ritrovate dagli archeologi (mentre è compatibile con un telo medioevale del XIV secolo);
  4. la crocifissione presupposta dall'immagine sindonica è incompatibile con la crocifissione romana come ricostruita dagli storici e dagli archeologi;
  5. vi sono errori prospettici ed anatomici della figura umana presente sul telo, come incongruenze anatomiche;
  6. non vi è presenza di sangue sul telo, mentre sono presenti tracce di coloranti;
  7. la datazione col metodo del carbonio-14 fa risalire il telo alla prima metà del XIV secolo circa.
Direi che, se corrispondenti al vero, queste prove dovrebbero convincere ogni persona intellettualmente onesta a riconoscere la non autenticità della Sindone di Torino.
Lo schema di queste prove è ripreso dall'articolo «Perché la Sindone è un falso», di Luigi Garlaschelli, in L'inganno della Sindone, numero monografico di MicroMega dell'aprile 2010.

sabato 15 maggio 2010

Ancora sulla libertà di espressione

Come molti sapranno, il disegnatore svedese Lars Vilks, autore di un disegno raffigurante Maometto come un rondellhund, è stato assalito durante una lezione universitaria sulla libertà di parola da islamici "offesi" dal suo disegno. Solo l'intervento della polizia, che scorta Vilks da quando ha ricevuto minacce di morte e da quando è stato sventato un gruppo di terroristi che intendeva ucciderlo, ha impedito che questo episodio di violenza terminasse peggio.

Si tratta di un ennesimo episodio in cui dei musulmani affermano di essere stati offesi da una raffigurazione del loro profeta e in cui reagiscono con la violenza.

Un ennesimo episodio in cui una norma religiosa (quella della non raffigurazione del profeta dell'Islam, che non è neppure condivisa da tutti i musulmani) è imposta con la violenza anche a chi non è un fedele dell'Islam.

Ho già scritto a proposito di queste violenze, e posso confermare che quello che mi dà maggiormente fastidio è la disponibilità di molti non-musulmani di privarsi della propria libertà in nome del presunto "rispetto" per il sentimento religioso dei credenti.

La critica avanzata contro coloro che disegnano vignette di Maometto è riassumibile in questo post:
Alcuni cercano di demonizzare i musulmani con le vignette per dimostrare la propria "libertà di espressione". Cosa pensate di ottenere offendendo i musulmani? Credete che demonizzando i musulmani avrà un impatto sull'estremismo e la supremazia religiosi? Quali menti pensate che il disprezzo cambierà? Quali cuori credete che la mancanza di rispetto raggiungerà?
Il problema di questa posizione è che non comprende il cuore della questione. Ovviamente sarebbe meglio se esistesse una possibilità di conservare la libertà di espressione senza che nessuno si sentisse offeso. Ma questo non è possibile, dato che il cuore della questione è che qualcuno afferma di essere offeso proprio dalla libertà di espressione altrui.

Da una parte c'è chi afferma che ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, quale che esso sia. Dall'altra parte c'è chi afferma che le proprie credenze religiose sono più importanti della libertà di espressione.

Bisogna decidere da quale parte stare. Non è possibile tentennare, in questa battaglia.

Aggiornamento
Due ragazzi svedesi di origine kosovara hanno dato fuoco alla casa di Vilks.

giovedì 13 maggio 2010

Vangelo segreto di Marco: un aggiornamento della situazione

La storia del Vangelo segreto di Marco è simile a quella di un giallo.

Nel 1958, lo studioso Morton Smith trovò, alla fine di un'edizione seicentesca delle lettere di Ignazio di Antiochia, un'inedita lettera attribuita al vescovo e teologo del II secolo Clemente di Alessandria. Nella lettera, Clemente parlava di una seconda edizione del Vangelo secondo Marco, scritta dallo stesso evangelista e contenente insegnamenti di Gesù riservati solo alla cerchia più ristretta degli apostoli.

Il manoscritto, conservato nella biblioteca del monastero di Mar Saba, andò perduto, e di esso rimangono solo le foto scattate da Smith. Fino alla sua morte, pochi studiosi hanno messo in dubbio apertamente l'autenticità della lettera di Clemente, nota come Lettera a Teodoro, sostenuta da Smith in due suoi studi, uno indirizzato al lettore di formazione accademica e uno dedicato ad un pubblico più ampio.

Dopo la morte di Smith, avvenuta nel 1991, diversi ricercatori hanno chiaramente affermato che la lettera è un falso fabbricato da Smith stesso, mentre altri ne sostengono l'autenticità.

Sul blog Ζήτησις, Frances ha pubblicato un interessante riassunto delle ultime pubblicazioni sull'argomento: «Lo Status quaestionis e nuove prospettive sul Vangelo segreto di Marco».

Aggiornamento. Ringrazio domenico per avermi segnalato un'imprecisione: oltre alle foto in bianco e nero di Smith, esistono anche altre foto a colori della lettera di Clemente, pubblicate una decina di anni fa.

mercoledì 12 maggio 2010

I want my money back!

Vi piace Vittorio Messori? Impazzite per Rino Cammilleri? Volete diventare, come loro, maestri di apologetica?

Bene, il Timone, la «rivista di apologetica elementare» in cui scrivono entrambi i vostri beniamini, organizza una imperdibile serie di lezioni per voi, intitolata «L'evoluzionismo oggi: domande, dubbi, incertezze» e tenuta niente poco di meno che da Marco Respinti!

Per chi, come me, si è chiesto «chi è Marco Respinti?», ecco una foto e alcune illuminanti risposte.

Identikit di un conservatore creazionista

Respinti è un giornalista che collabora con le testate «Libero, il Tempo, Il Foglio, Cronache di Liberal, l'Occidentale, Tempi, Cristianità, Il Timone, Radici Cristiane e Voglio Vivere», un membro di vari gruppi conservatori americani e internazionali, tra cui uno dal nome roboante di World Congress of Families (dove ovviamente per "famiglie" si intendono quelle "naturali" fondate "dal Creatore") e uno, il The Leadership Institute, che lo ha anche premiato per «la dedizione alla causa conservatrice, la professionalità e l’influenza esercitata a livello internazionale».

Con un curriculum così, è chiaro che di "domande, dubbi e incertezze" ve ne saranno poche, nel corso; Respinti, in fin dei conti, è autore di una prefazione ad un libro di William Dembski, sostenitore del movimento creazionista e pseudo-scientifico del "Disegno intelligente", che secondo i suoi sostenitori dovrebbe essere alternativo alla teoria scientifica dell'evoluzione naturale, e l'autore del libro Processo a Darwin. Un'inchiesta a tutto campo sul darwinismo, per smascherare incongruenze, falsità e luoghi comuni.

Respinti e la matematica (apologetica)

Ma non è del Disegno intelligente che voglio parlare, bensì del livello delle argomentazioni di Respinti. Voglio dire, se devo pagare 80 euro per un corso di otto ore in apologetica, mi posso aspettare argomentazioni di un certo spessore, no? Che genere di argomentazioni potrebbe attendersi, allora, chi segue questo corso?

Respinti è autore di un articolo pubblicato su Il Timone e intitolato «Gesù e la matematica»; titolo intrigante, almeno per me. E che dice Respinti in questo articolo? Riporta un calcolo fatto da Peter Stoner, già direttore del Dipartimento di Matematica e di Astronomia del Pasadena City College in California, il quale calcolò la probabilità che un uomo realizzasse casualmente le profezie dell'Antico Testamento. Secondo Stoner, e Respinti, «il realizzarsi casuale anche di sole otto profezie ammonta a una probabilità di 1 su 100.000.000.000.000.000 ovvero 1 su 10 in potenza 17».

Ora, lasciamo perdere il fatto che il calcolo di Stoner, un creazionista come Dembski, è stato ridicolizzato dai revisori dei suoi libri di apologetica; mi interessa quello che Respinti afferma di seguito:
Nei Vangeli però Gesù ha realizzato ben 48 profezie, almeno 48 profezie.

La probabilità che dunque Gesù sia stato un semplice uomo i cui gesti siano per caso coincisi con quanto il Messia avrebbe dovuto realizzare a norma di Scritture Sacre è infinitesimale, forse persino meno. A rigore allora di statistica e di matematica, Gesù era Dio.
In altre parole, Respinti prende i vangeli, opera di cristiani che credevano nella divinità di Gesù, vi legge che Gesù realizzò le profezie dell'Antico Testamento, e ne deduce che Gesù era Dio. Anzi, che «a rigore di statistica e di matematica, Gesù era Dio».

Purtroppo per lui, Respinti si è però rivolto alle discipline sbagliate: non sono la statistica e la matematica che devono essere tirate in ballo, ma la critica biblica, la quale spiega che furono gli autori evangelici a prendere le profezie dell'Antico Testamento e ad adattarle a Gesù per dimostrare che egli era il Messia.

E a confutare la sua ipotesi, che basterebbe il rasoio di Occam a recidere, è uno dei padri della Chiesa, Papia di Ierapoli, vissuto tra I e II secolo. Papia narra infatti che l'autore del Vangelo secondo Matteo, dove vi sono il maggior numero di profezie soddisfatte, prese gli "oracoli" (le profezie dell'Antico Testamento) «e ciascuno li interpretò come poté».

Dunque, a rigor di logica e di esegesi biblica, questa argomentazione di Respinti è fasulla. Se le argomentazioni del corso di apologetica sono dello stesso livello, Respinti dovrebbe preoccuparsi dell'eventualità che i suoi allievi gli chiedano il rimborso dei costi.

Ricerca del Gesù storico: Gesù l'eroe

Vorrei continuare la mia panoramica sulle differenti ricostruzioni del Gesù storico da parte della moderna esegesi biblica. Nel post precedente trattavo del Gesù "Salvatore"; in questo vorrei introdurre schematicamente il Gesù "Eroe" di Gregory Riley.

Gregory J. Riley è professore di Nuovo Testamento e cristianesimo delle origini alla Claremont School of Theology in California. Riley sostiene che vi fossero diverse correnti nel cristianesimo delle origini, accomunate dalla fede in Cristo, e in particolare dal ruolo svolto da Cristo per i fedeli: quello di un eroe, nel senso ellenistico del termine. Prima di approfondire questa affermazione devo precisare che, sebbene Riley sia il più preminente sostenitore di questo punto di vista, l'interpretazione della figura evangelica di Gesù come di un eroe ellenistico risale alla seconda metà degli anni Settanta, ed ha preso sostanza a partire dagli anni Novanta del secolo scorso.

L'eroe ellenistico era un semidio, nato da dei ed esseri umani, o quantomeno collocato ad un livello intermedio tra gli dei immortali e i mortali. L'eroe ellenistico era giusto, dotato di capacità peculiari, e non era affetto dalla degenerazione del mondo (sul quale avrebbe dovuto regnare nell'ultima età, l'Età degli eroi, il dio Crono, sovrano dell'aldilà). Al contempo era un essere umano, e come tale combatteva, soffriva e moriva. L'eroe ellenistico aveva come avversari sia divinità che sovrani terreni, ed era sottoposto a prove che ne testavano la fibra morale. Normalmente l'eroe moriva da giovane, ma era reso immortale dagli dei e assumeva il ruolo di protettore degli esseri umani: assurgeva quindi a modello per il suo coraggio e per le sue imprese.

Per Riley il Gesù dei cristianesimi delle origini presenta i tratti di questo eroe ellenistico. Come l'eroe era in grado di compiere imprese epiche, Gesù è descritto come operatore di miracoli e guarigioni. Il destino di Gesù è collegato a quello di tutta l'umanità e il suo carattere è messo alla prova, come nell'episodio del giardino dei Getsemani; muore giovane per mano di sovrani terreni, ma la sua vittoria sul male ha conseguenze ultraterrene. Inoltre, così come l'eroe spesso scende nell'Ade per salvare una persona amata, così Gesù si sacrifica per scendere nel regno della morte, sconfiggerla e salvare in questo modo tutti gli esseri umani.

Come si vede, più che descrivere il Gesù storico, Riley spiega il modo in cui lo dipinsero i suoi seguaci, in particolare quelli che come Paolo di Tarso non lo conobbero di persona: lo incasellarono all'interno di una categoria di pensiero, quella dell'eroe, che era tipica del mondo greco-romano.

Le opere principali di Riley sono: Resurrection Reconsidered: Thomas and John in Controversy (1995), in cui studia i rapporti tra le comunità che elaborarono il Vangelo secondo Tommaso e quello secondo Giovanni; One Jesus, Many Christs: How Jesus Inspired Not One True Christianity, but Many (1997), in cui presenta la sua ricostruzione del Gesù "eroe"; The River of God: A New History of Christian Origins (2001), sulle origini del cristianesimo. Nessuno dei suoi libri è tradotto in italiano.

Questo post è ispirato alla pagina «Historical Jesus Theories», del sito Early Christian Writings, di Peter Kirby. Altre fonti: Jennifer K. Berenson Maclean, «Jesus as Cult Hero in the Fourth Gospel», in Ellen Bradshaw Aitken e Jennifer K. Berenson Maclean, Philostratus's Heroikos: religion and cultural identity in the third century C.E., Brill, 2005; Mary J. Streufert, «Maternal Sacrifice as a Hermeneutics of the Cross», in Cross examinations, Fortress Press, 2006.

martedì 11 maggio 2010

Galileo e le maree, ovvero Cammilleri colpisce ancora

Ho già avuto modo di parlare di Rino Cammilleri nel post «Ipazia e il diabolico Cammilleri», in cui discutevo di alcuni "sfondoni" del nostro sul caso Ipazia; Cammilleri, che sul suo blog è descritto come uno dei «principali apologeti italiani», è stato bacchettato per quei posts pure da Umberto Eco, come racconta un po' piccato lo stesso giornalista de Il Giornale.

La sua risposta, indiretta, è consistita nello scrivere un post alquanto fuori tema, che conclude con queste parole che dimostrano uno stato d'animo insofferente:
E adesso basta con Ipazia e Cirillo, perché sono stufo di fare da bersaglio ai nullafacenti del web. Ci sono centinaia di università cattoliche con storici di professione: ci pensino loro.
A parte il riferimento alle «università cattoliche», che illumina sulla concezione che Cammilleri ha di come si studia la storia (solo da fonti "amiche", cioè), ho trovato buffo questo invito agli storici di professione alla luce di un altro sfondone storico in cui Cammilleri è incorso.

Ho già parlato del libro di Jerry Fodor e Massimo Piattelli-Palmarini contro la selezione naturale nel post «L'origine delle (argomentazioni) speciose». Ampio spazio a questo libro è stato dato da Il Foglio, che il 1 maggio gli ha dedicato anche una tavola rotonda alla quale ha partecipato il filosofo della scienza Giulio Giorello.

Cammilleri riporta nel suo post «Giorello» le seguenti parole del filosofo:
Prendiamo la teoria delle maree di Galileo, che lui riteneva essere la prova del movimento della terra e invece non lo era; all'epoca fu da alcuni respinta dicendo "Dio avrebbe potuto decidere altrimenti". Poi una alternativa scientifica fu trovata con la teoria delle maree legata all'attrazione lunare.

domenica 9 maggio 2010

Ancora su Cammilleri e Ipazia

I pochi lettori del mio blog ricorderanno l'articolo dell'apologeta Rino Cammilleri contro Ipazia, oggetto del mio post «Ipazia e il diabolico Cammilleri».

Segnalo un'altra recensione, negativa, dello stesso articolo, postata sul blog Zetesis, «Delerium. Rino Cammilleri e Ipazia», da cui traggo questa citazione:
Ritengo che il giudizio più grave espresso dall’autore consista nella lapidea dichiarazione “non se la filava nessuno”, a contorno dello sforzo di sminuirne a tutti costi la fama e la rispettabilità tra i suoi contemporanei. Forse bisognerebbe rammentare a Cammillerri il peso della scuola filosofica platonica alessandrina di cui Ipazia era a capo nell’economia delle correnti filosofiche del tempo. Dettaglio che, manco a dirlo, ci viene tramandato dal cristiano Socrate Scolastico. La notorietà di Ipazia e la riverenza che suscitava tra i suoi concittadini non vennero meno neppure dopo la sua morte. Se ancora un secolo dopo la sua morte Damascio poteva esprimersi in questi termini, non osiamo immaginare quale fosse la sua reputazione di sapiente stimata mentre era ancora viva.
Buona lettura.

venerdì 7 maggio 2010

Sindone: perché non credere (III)

Continuo la mia recensione della monografia L'inganno della Sindone, allegata al numero di aprile di MicroMega. I post su questa monografia sono contrassegnati dall'etichetta "L'inganno della Sindone".

Perché la Sindone è un falso
Luigi Garlaschelli

Quello di Luigi Garlaschelli, professore di Chimica presso l'Università di Pavia, è il contributo più lungo della monografia, con oltre venti pagine. Lo scopo di questo saggio è duplice: elencare sommariamente le prove della non-autenticità della Sindone e presentare i risultati dei tentativi di riproduzione della Sindone stessa portati avanti da Garlaschelli e dal suo gruppo.

L'elenco delle prove della non-autenticità della Sindone comprende diversi aspetti, sia storici che scientifici. Garlaschelli ricorda come non vi sia menzione della Sindone prima del XIV secolo e di come le autorità ecclesiastiche dell'epoca lo dichiarassero un falso (il vescovo che ne indagò le origini riferì di aver trovato il pittore che l'aveva dipinta ingegnosamente); evidenzia l'incompatibilità tra la Sindone e le vere sindoni ebraiche del I secolo ritrovate dagli archeologi (e la sua compatibilità con un telo medioevale del XIV secolo) e tra la crocifissione romana come ricostruita dagli storici e dagli archeologi e quella presupposta dall'immagine sindonica; sottolinea gli errori prospettici ed anatomici della figura umana presente sul telo, come pure le incongruenze anatomiche (le mani chiuse sul pube senza essere legate, i versamenti di sangue, in direzioni errate il colore troppo rosso dello stesso, eccetera). Infine, Garlaschelli riassume sommariamente i risultati delle tre commissioni d'indagine: quella voluta dal cardinale Pellegrino nel 1973, che diede esito negativo riscontrando pigmenti invece che sangue; quella del 1978 voluta dal cardinale Ballestrero, il cui microscopista McCrone trovò tracce di colorante ma fu esautorato dagli altri membri della commissione, i quali invece affermarono di aver trovato sangue umano, sebbene i loro test siano stati successivamente invalidati; quella infine del 1988, che effettuò una datazione col metodo del carbonio-14, il cui risultato fu l'inizio del XIV secolo.

L'elenco di prove contro l'autenticità della Sindone è impressionante, il solo peso di questo elenco fa spostare la bilancia del giudizio in favore della non-autenticità. Certo i sindonologi hanno controbattuto a molte di queste argomentazioni, ma il loro gioco è pericoloso: per confutare l'autenticità della Sindone basta che una sola delle prove portate contro di essa sia vera. E le prove della non-autenticità sono talmente numerose e robuste che si può dire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la Sindone è un falso.

La seconda parte del saggio di Garlaschelli riguarda i tentativi di riproduzione della Sindone. Garlaschelli ricorda come nel memorandum del 1389 del vescovo Pierre d'Arcis, indirizzato a papa Clemente VII, si affermi che il pittore della Sindone utilizzò un «metodo astuto». Ripercorre poi i vari tentativi fatti di riprodurre la sindone, analizzandone i difetti. Infine, descrive le caratteristiche dell'immagine della Sindone e la tecnica di riproduzione della stessa messa a punto da lui e dal suo gruppo. Garlaschelli afferma che:
Il risultato possiede la maggior parte delle caratteristiche di quelle della Sindone: pseudo-negatività, toni sfumati, superficialità, proprietà 3D, non fluorescenza eccetera.
Il saggio è inteso come un agile riassunto delle prove della non-autenticità della Sindone e raggiunge il suo scopo. Per una più approfondita trattazione di queste prove, l'autore rimanda alle opere in bibliografia. La mia impressione è che avrebbe potuto dedicare qualche riga a rispondere alle critiche avanzate sulla sua tecnica di ricostruzione, ma forse l'autore ha riservato questo compito ad una futura pubblicazione.

giovedì 6 maggio 2010

Ciò che è sacro merita un rispetto particolare?

Sul blog Common Sense Atheism, Alonzo Fyfe ha oggi pubblicato un post intitolato «The Morality of Challenging Belief in God».

Fyfe, che ha elaborato la teoria etica del desiderismo (desirism), si chiede «perché dovremmo porci domande sull'esistenza di Dio?» La sua risposta mi pare interessante:
Perché l'affermazione «Dio esiste» è largamente usata in argomentazioni nelle quali la conclusione è che qualche atto di violenza sia giustificato. Affermare che Dio non esiste implica affermare che gli atti di violenza commessi nel nome di Dio non sono giustificati. Questo si applica non solo agli atti di violenza criminali, ma anche a quegli atti di violenza in cui le persone religiose cercano di far approvare leggi che hanno l'effetto di orientare gli strumenti di violenza del governo.
Recentemente ho discusso l'episodio delle minacce di morte fatte contro gli autori di South Park da alcuni estremisti musulmani. Alcune persone sostengono che ciascuno ha il diritto di vedere rispettate i simboli della propria religione, in quanto per lei sono "sacri". Fyfe commenta a riguardo:
Il principio che non abbiamo il permesso di mettere in discussione qualunque credenza posseduta da persone che mancano della maturità emotiva per gestire disaccordi ci lascerebbe con una società in cui solo le credenze delle persone emozionalmente mature potrebbero essere messe in discussione.
Si argomenta che «la corsa alla dissacrazione totale non è un gioco ad armi pari, perché ci si trova bene solo chi non ha nulla di sacro»; a tale critica Fyfe sembra rispondere quando dice:
In particolare, si rischia di avere una società in cui le affermazioni scientifiche possono essere messe in discussione in virtù del fatto che gli scienziati possono sopportare che altri pensino che hanno torto, mentre le credenze religiose non possono essere messe in discussione in virtù della mancanza di maturità emozionale da parte di molti che sostengono credenze religiose.

mercoledì 5 maggio 2010

Come si scrive "palo sacro" in ebraico?

Deuteronomio, capitolo 16, versetto 21. L'edizione della CEI traduce:
Non pianterai alcun palo sacro di qualunque specie di legno, accanto all'altare del Signore tuo Dio, che tu hai costruito; non erigerai alcuna stele che il Signore tuo Dio ha in odio.
Che cos'è questo "palo sacro"? Quale stele "Dio ha in odio"?

L'edizione Nuova Riveduta traduce lo stesso versetto in maniera differente:
Non metterai nessun idolo d'Astarte, fatto di qualsiasi legno, accanto all'altare che costruirai al SIGNORE tuo Dio;
Qui il "palo sacro" è diventato un "idolo d'Astarte", mentre la citazione del divieto di piantare steli che "Dio ha in odio" è scomparsa. Astarte è una dea semitica affine a Ishtar, il cui nome ebraico è Ashtoreth (עשתרת).

L'edizione Nuova Diodati, infine, traduce in maniera simile alla Nuova Riveduta, ma con un particolare interessante:
Non erigerai per te nessuna Ascerah di alcuna specie di legno accanto all'altare che costruirai all'Eterno, il tuo DIO;
Qui il "palo sacro" dell'edizione CEI e l'"idolo di Astarte" della Nuova Riveduta è divenuto "Ascerah" (o "Asherah", אשרה); anche la Nuova Diodati non traduce la seconda parte del versetto, presente solo nell'edizione CEI.

Che succede a questo versetto? Di cosa parla Deuteronomio, di un "palo sacro", di un idolo della dea Ashtoreth (עשתרת) o un "Ascerah" (אשרה)? E perché l'edizione CEI ha una seconda parte che le altre due edizioni non hanno?

Che non si tratti di una discordanza accidentale è testimoniato dal fatto che anche nella traduzione del Secondo libro dei Re (18,4) si ripete lo stesso identico schema: dove l'edizione CEI parla di "palo sacro", la Nuova Riveduta parla di "idolo di Astarte" e la Nuova Diodati semplicemente di "Ascerah". Che ci sia qualcosa di strano, invece, lo testimoniano le traduzioni di un altro versetto, Primo libro dei Re 18,19: dove la Nuova Riveduta cita quattrocento profeti di "Astarte" e la Nuova Diodati di "Ascerah", l'edizione CEI introduce "Asera", che sostituisce la precedente traduzione del "palo sacro".

Per chi fosse interessato a scoprire cosa c'è dietro questo palo sacro/Astarte/Ascerah/Asera, consiglio un interessante post di Antonio Lombatti, in italiano malgrado il titolo: «Asherah, Ba’al, El, Yahweh, and monotheism». Buona lettura.


L'immagine proviene dal blog Hungry for God's Word?.

Aggiornamento. In un commento, domenico mi ha fatto notare che la "scomparsa" della seconda parte del versetto dell'edizione CEI, «non erigerai alcuna stele che il Signore tuo Dio ha in odio», non è affatto una scomparsa. Si tratta semplicemente dell'accorpamento del versetto 22 al versetto 21. Ringrazio domenico per la segnalazione.

«Kissing Hank's Ass»

Carino. In inglese.



Il racconto cui il video è ispirato è di James Huber: «Kissing Hank's Ass».

Grazie ad Arsenico per la segnalazione.

martedì 4 maggio 2010

«Uno Stato che educa è una dittatura»

Secondo il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna:

«Lo Stato [...] non ha, non deve e non può aver un compito di responsabilità educativa: sarebbe la dittatura»

E, come si sa, la Chiesa è esperta in fatto di dittatura.
Karol Wojtyla e Augusto Pinochet, dittatore del Cile

Benito Mussolini, dittatore d'Italia

Beato Alojzije Viktor Stepinac e Ante Pavelić, dittatore della Croazia


P.S.: volevo raccogliere altre testimonianze dei rapporti cordiali tra esponenti della Chiesa e i dittatori, ma dopo un po' mi sono stancato: erano troppe.

domenica 2 maggio 2010

Sindone: perché non credere (II)

Continuo la mia recensione della monografia L'inganno della Sindone, allegata al numero di aprile di MicroMega. I post su questa monografia sono contrassegnati dall'etichetta "L'inganno della Sindone".

I vangeli e la Sindone
Mauro Pesce

Dopo aver parlato del carteggio tra Piergiorgio Odifreddi e Giuseppe Ghiberti, passo al contributo di Mauro Pesce, professore ordinario di Storia del Cristianesimo all'Università di Bologna. Il saggio di Pesce analizza i testi del cristianesimo primitivo per rispondere a tre domande sulla storia della Sindone, intesa come telo di lino con l'immagine di un uomo fino ai piedi, e sul tipo di religiosità che ad essa è collegata:
Ho deciso quindi di rivolgermi ai testi del primo cristianesimo per vedere: a) se in essi si parli della Sindone; b) da quando si comincia a parlare della Sindone nel cristianesimo; c) se nel cristianesimo antico esistano forme di religiosità che possono accettare come tollerabile un culto come quello della Sindone che oggi viene proposto.
Pesce inizia analizzando i brani dei vangeli canonici che narrano della deposizione di Gesù dalla croce, della deposizione del suo corpo nella tomba, e della successiva scoperta della sua risurrezione. L'analisi comparata dei brani è come sempre molto interessante, e magari la riproporrò in un post futuro. Qui basta ricordare le conclusioni a cui giunge Pesce dopo questa analisi. Nei quattro vangeli canonici non vi è traccia di un telo unico (sindon) con una qualsiasi raffigurazione di Gesù impressa; in particolare il racconto dettagliato contenuto nel Vangelo secondo Giovanni sembra escludere la possibilità che sul sudario di Gesù ritrovato nella sua tomba dopo la risurrezione vi fosse una immagine. Inoltre né i testi canonici né i commenti dei Padri della Chiesa autorizzano a credere che i discepoli abbiano conservato il telo funebre di Gesù.

L'analisi di altri brani dal Vangelo secondo Giovanni fa anche concludere a Pesce che il tipo di fede dei cristiani delle origini non prevedeva l'uso di reliquie o altri segni:
Il cristianesimo primitivo non aveva bisogno alcuno di un lenzuolo con un'immagine di Cristo impressa. Il bisogno di statue, di oggetti e immagini sacre era invece caratteristico della religiosità cosiddetta pagana di allora.
Anche l'analisi dei testi cristiani dei primi secoli non inclusi nel canone non dà frutti. Sebbene il telo funebre di Gesù sia citato in diversi testi — Vangelo secondo gli Ebrei, Vangelo di Pietro, Atti di Tommaso, Vita di Gesù in arabo, Atti di Filippo, Vangelo di Nicodemo —, in nessuno si parla dell'immagine impressa sul telo stesso. La prima menzione di una reliquia di Gesù recante la sua immagine è contenuta negli Atti di Taddeo, risalenti al VII secolo, in cui si narra di come Gesù mandò al re edesseno Abgar un telo su cui era impresso il volto di Gesù stesso.

L'analisi di Pesce termina con una domanda:
I discepoli storici di Gesù dopo la sua morte non ebbero bisogno della Sindone, non ne ebbe bisogno la Chiesa antica. Oggi non ce n'è bisogno per la fede cristiania. Ma, allora, a cosa serve la Sindone? Che tipo di religione esprime o suggerisce alle folle, ai credenti e ai non credenti?
Continua.

Un brano del saggio del professor Pesce è stato pubblicato sul blog La poesia e lo spirito: «La sindone e la religione dei primi cristiani».

sabato 1 maggio 2010

Sindone: perché non credere (I)

È uscito in edicola in numero di aprile 2010 di MicroMega. Non avevo mai acquistato questo mensile, ma sul blog di Antonio Lombatti avevo letto che questo numero sarebbe stato speciale, in quanto vi sarebbe stato allegato una monografia sulla Sindone di Torino intitolata L'inganno della Sindone. In questo periodo, in cui l'ostensione della reliquia sta portando decine di migliaia di pellegrini a Torino, credo sia utile riassumere le numerose ragioni per cui questo reperto è un falso.

E L'inganno della Sindone è proprio questo: un ottimo riassunto delle ragioni per le quali si può affermare con ragionevole certezza che quello di Torino non è il lenzuolo in cui fu avvolto Gesù, ma un telo medioevale su cui è stata impressa un'immagine allo scopo di spacciarlo per reliquia del fondatore del Cristianesimo.

Questo libretto di centododici pagine è indirizzato a coloro che sono interessati ad una trattazione precisa ma non accademica della materia. I saggi al suo interno contengono riferimenti ad articoli scientifici e ad altre monografie; questo è utile per sottolineare che le argomentazioni presentate non sono speculazioni dei rispettivi autori ma panoramiche dei risultati ottenuti in campo accademico, e per permettere di approfondire gli studi a chi fosse interessato. Per questo motivo i testi sono leggibili e chiari, e non usano terminologie scientifico-tecniche, senza però perdere di rigore.
La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. O meglio, è un vero telo di lino di produzione medioevale, ed è vero — al di là di ogni ragionevole dubbio — che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con il corpo di un profeta ebraico itinerante in Galilea ai tempi dell'imperatore Tiberio, morto per crocefissione a Gerusalemme sotto l'imputazione di lesa maestà all'impero romano. In questo volume esponiamo una raccolta sommaria, ma già così inoppugnabile, delle prove storiche e scientifiche che escludono la possibilità contraria.
Diavolo e acqua santa a confronto sulla Sindone
Piergiorio Odifreddi e Giuseppe Ghiberti

Si inizia con un carteggio tra Piergiorgio Odifreddi e Giuseppe Ghiberti. Il primo, professore universitario di matematica, è probabilmente il più famoso ateo italiano, quantomeno dal punto di vista mediatico; il secondo è un vescovo, presidente della Commissione per la sindone della diocesi di Torino. Il loro confronto permette di riassumere due posizioni sull'autenticità della Sindone e sul suo significato: quella degli scettici e quella ufficiale della Chiesa cattolica.

Odifreddi ricorda come la Sindone di Torino sia comparsa nel XIV secolo, di come fosse da subito indicata come un'opera dell'uomo, e come l'analisi col metodo del carbonio-14 abbia permesso di datarla al quello stesso periodo. La posizione di Odifreddi è dunque che «coloro che hanno [...] orecchie per intendere, intendono che il fatto miracoloso non sussiste. Per me, dunque il caso è chiuso».

Per il vescovo le domande sull'autenticità del telo e sulla formazione dell'immagine sono interessanti (e lui è dell'opinione che non sia stata ancora dimostrata la non autenticità della Sindone), ma le risposte non sono condizionanti. Ghiberti sostiene infatti che il punto è un altro: l'interesse fondamentale della Sindone «consiste nell'essere un segno e questo funziona indipendentemente dalla consistenza della sua natura». La Sindone svolge dunque un ruolo di segno a prescindere dalla sua autenticità. Essa fa infatti nascere un sentimento di compassione nel cuore di chi guarda quella raffigurazione di un uomo torturato, e, per chi crede, un avvicinamento alla figura di Gesù: «se chi guarda ha la fede, nasce un sentimento spontaneo di interesse affettuoso per un oggetto testimone di un evento tanto importante per la sua vita». (A questo punto mi sento di notare una contraddizione nel ragionamento di Ghiberti: se il sentimento nasce spontaneamente a prescindere dall'autenticità della reliquia, allora l'oggetto non deve essere testimone dell'evento di cui parla il vescovo. Questo "sentimento" dovrebbe essere poi suscitato da qualunque raffigurazione della morte cruenta di Gesù, ma non mi pare che la Chiesa organizzi proiezioni pubbliche de La passione di Cristo di Mel Gibson)

Il professore risponde che, a differenza di quanto crede Ghiberti, la Sindone di Torino è stata già falsificata, che la datazione ha già dimostrato che non si tratta di una reliquia autentica. Odifreddi contesta anche l'affermazione che la Sindone sia presentata solo come un segno, inserendola invece in un più ampio progetto di convincimento dei credenti. «È il circo mediatico dell'ostensione che mi dà fastidio. Non tanto, o non solo, perché considero la Sindone un falso. Ma anche, e soprattutto, perché essa costituisce uno dei tanti tasselli di un mosaico di superstizioni rudimentali e credulità popolari che la Chiesa cavalca».

Ghiberti ribadisce di non essere convinto della non autenticità della Sindone e rivendica la funzione di segno della Sindone: chi ha fede inizierà un cammino di riflessione personale, altri si dedicheranno alla ricerca scientifica.

Una piccola riflessione personale. Leggendo questo scambio, sembrerebbe di assistere al proverbiale dialogo tra sordi. Data la mia formazione, mi sento più vicino ad Odifreddi, e ne condivido il probabile stupore dinanzi ad un certo atteggiamento di chi ha fede, quello di sembrare indifferenti alla probabile a-storicità della loro fede. Ammetto di non aver compreso bene questo atteggiamento, ma mi pare di rivederlo chiaramente in Ghiberti: egli afferma di non credere nella non autenticità della Sindone, ma che al contempo la cosa lo lasci indifferente. Condivido a questo punto la critica di Odifreddi: se la Chiesa ritiene davvero che la Sindone sia solo un segno, perché "cavalca" l'onda di coloro che ne sostengono l'autenticità? I pellegrini che si accalcano dinanzi alla reliquia della morte di Gesù a Torino, continuerebbero a farlo se fosse detto loro che è solo un segno? Io direi di no, ma inizio a ricredermi.

Continua...

Nella foto, Giuseppe Ghiberti e Piergiorgio Odifreddi.