lunedì 30 novembre 2009

Censura e ipocrisia

E' notizia di oggi che la Polizia postale di Arezzo ha eseguito un ordine di chiusura emesso dalla Procura di Forlì nei confronti di un forum del partito di estrema destra Forza Nuova. Secondo i giornali, esponenti di Forza Nuova hanno così commentato: "Aspettiamo di capire cosa sia successo probabilmente è una misura preventiva di per evitare la reiterazione di un qualche reato. Noi di solito censuriamo chi insulta. Aspettiamo di capire qualcosa in più".

Intanto che aspettano spiegazioni dalla Polizia postale, gli esponenti di Forza Nuova potrebbero cogliere l'occasione e spiegare per quale motivo hanno chiesto e ottenuto la censura della pagina di Wikipedia dedicata al suo segretario Roberto Fiore (questa ma la versione sbagliata è stata già sequestrata).

mercoledì 25 novembre 2009

Il "Primato di Pietro", fondamento della Chiesa cattolica

Recentemente ho notato come in due siti cattolici sia stata data una notevole prominenza ad un versetto molto importante, fondamento della supremazia papale e dunque della Chiesa cattolica; il versetto recita "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa". Il cosiddetto "Primato di Pietro" non si fonda esclusivamente su questo versetto, naturalmente, ma vi trova ampia parte della propria forza.

Questo versetto mi ricorda un episodio accadutomi da bambino. Ero con i miei genitori in un negozio e mi ricordo che, non so come, scoprii che il proprietario del negozio non credeva nel primato del Papa (all'epoca pensai che fosse un testimone di Geova). Allora, emozionatissimo di discutere di religione con un adulto, gli feci notare che nel vangelo era scritto «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa» e che dunque il ruolo del Papa era stato istituito da Gesù in persona. Il negoziante mi diede una risposta che non ricordo nei particolari, mi pare sostenendo che quel versetto non riconoscesse realmente alcuna superiorità al Papa, ma il non averlo convinto non fu un problema: ero orgoglioso di essere stato in grado di sostenere la mia fede con argomentazioni per me inconfutabili, per di più di fronte ad un adulto.

domenica 22 novembre 2009

«Che cos'è verità?»


Per chi è cristiano (cattolico) oggi è la Solennità di Cristo Re; secondo Wikipedia fu istituita l'11 dicembre 1925. Un post su Seraphim mi ha fatto andare a rileggere i brani evangelici in cui è narrato l'interrogatorio di Gesù da parte di Pilato. Eccoli.

Vangelo secondo Marco (composto nel 65-80), capitolo 15. Gesù è portato dinanzi a Pilato:

2 Pilato gli domandò: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli rispose: «Tu lo dici». 3 I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose; 4 e Pilato di nuovo lo interrogò dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!» 5 Ma Gesù non rispose più nulla; e Pilato se ne meravigliava.
Segue l'episodio di Barabba e la crocifissione di Gesù.

Vangelo secondo Matteo (composto tra l'80 e il 90), capitolo 27. Gesù è portato da Pilato, Giuda si impicca, e poi:

11 Gesù comparve davanti al governatore e il governatore lo interrogò, dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli disse: «Tu lo dici». 12 E, accusato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla. 13 Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose testimoniano contro di te?» 14 Ma egli non gli rispose neppure una parola; e il governatore se ne meravigliava molto.
Segue l'episodio di Barabba e la crocifissione di Gesù.

Vangelo secondo Luca (composto tra l'85 e il 95), capitolo 23. Gesù è portato dinanzi a Pilato:

2 E cominciarono ad accusarlo, dicendo: «Abbiamo trovato quest'uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re». 3 Pilato lo interrogò, dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?» E Gesù gli rispose: «Tu lo dici».
4 Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo». 5 Ma essi insistevano, dicendo: «Egli sobilla il popolo insegnando per tutta la Giudea; ha cominciato dalla Galilea ed è giunto fin qui».
Successivamente Pilato manda Gesù da Erode, segue l'episodio di Barabba e la crocifissione di Gesù.

Vangelo secondo Giovanni (composto tra il 90 e il 120), capitolo 18. Gesù è portato dinanzi a Pilato:

33 Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» 34 Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?» 35 Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?» 36 Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». 37 Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». Pilato gli disse: «Che cos'è verità?»
Segue l'episodio di Barabba e la crocifissione.

Alcuni spunti di riflessione.

sabato 21 novembre 2009

Sull'irrazionalità degli atei

Pubblico qui la mia risposta al post "Risposta: l'irrazionalità degli atei", dato che l'autore ha preferito cancellarla e rispondere solo alle parti che più riteneva opportune, lasciando cadere le altre.

"Il Censore sembra inviperito...forse perchè gli abbiamo colpito la sua UAAR..."

Non si preoccupi, non sono per nulla inviperito, anzi.

Le avevo detto che "Predicare contro qualcosa non rende quella cosa vera", facendole l'esempio della predicazione contro gli dèi pagani. Lei ha evitato di rispondere al rilievo "logico" (se mi concede di usare il termine) e si è concentrato sull'esempio. Ricordavo l'episodio dell'Areopago e l'accoglienza riservata a Paolo, ma non la frase da lei citata: sono andato a verificare e ho notato che il suo significato, estrapolato dal contesto, cambia (e dire che lei aveva avvertito me dei pericoli di citare fuori dal contesto, i casi della vita!). Paolo parlava di una statua "Al dio sconosciuto" e dice di voler rivelare questo dio: non sta dunque predicando contro altri dèi, dunque l'uso dell'esempio per confutare la mia posizione è errato.

Resta comunque il concetto centrale: non si può affermare che sostenere l'inesistenza di Dio sia una prova della sua esistenza!

"Assolutamente falso: ho molti amici atei (quelli veri non finti come i tuoi amici UAAR) e a loro non frega niente dello sbattezzarsi poichè gli è indifferente il sacramento del battesimo."

A parte la velenosa punzecchiatura fuori luogo, non è lei che si lamentava di chi non portava fonti? Le ho portato come fonte la pagina dell'associazione che promuove lo sbattezzo, ma lei ritiene che quanto sta scritto conti meno dell'opinione che lei si è fatto personalmente grazie alla conoscenza di atei che non si sbattezzano. Non le pare poco serio?

"Ho scritto spesso con gli Atei Italiani e le motivazioni dello sbattezzo le conosco bene: credono e credete così di non risultare più appartenenti alla Chiesa (riconoscendo così il valore del Battesimo)."

Vede, lei non è lontano dalla verità, e infatti sa che alcuni atei si sbattezzano per non essere contati tra le pecorelle di Santa Madre Chiesa, ma poi cade nell'errore logico di cui prima e crede che siccome il battesimo è un atto religioso, allora anche lo "sbattezzo" lo sia: non lo è, è un atto civile.

"In realtà sarete sempre appartenenti della Chiesa perché non ci si può "sbattezzare" per la dottrina cattolica."

Come sta scritto nella fonte che le ho fornito, non è questa la motivazione per la quale la gente si sbattezza.

"Un consiglio? Godetevi la vita!!"

Magari! Per godere della vita, però, dovrebbero sparire tutte quelle limitazioni della libertà pubblica e privata basate su credenze metafisiche non condivisibili da tutti.

"Ricordo con grande garbo che la Chiesa cattolica farà rientrare sempre nelle statistiche gli sbattezzandi."

Se continuassero a considerare come propri fedeli gente che ha pubblicamente dichiarato di voler uscire dal gregge, non avrebbero bisogno di punire queste persone con ripicche tipo l'impossibilità di fare da padrino ai battesimi o il matrimonio religioso (forse non hanno capito che stanno parlando con degli atei...)

Un saluto sincero.

Come detto, l'autore del blog ha cancellato il commento e ha parzialmente risposto. Qui di seguito le mie considerazioni.


"Complimenti! Ed è pure andato a verificare (chissà se non lo avesse fatto)!"

Avrei dovuto concederle un punto non suo. La citazione integrale del brano degli Atti mostra che abbiamo entrambi compreso cosa avvenne e di cosa parlava Paolo, solo che lei estende l'episodio a comprendere tutti gli déi pagani. E, comunque, le ricordo il fulcro della discussione: in contrasto con lei dico che si può affermare l'inesistenza di qualcosa senza in alcun modo dimostrarne l'esistenza. Un esempio? "Non esiste un'invisibile unicorno rosa dietro le sue spalle", affermazione che non implica l'esistenza di questo essere, giusto?

"Perchè sono atei veri a cui non interessa nè della Chiesa, nè delle sue statistiche, nè di Dio, nè di associazioni religiose deistiche o anti-deistiche come la UAAR e quindi non hanno motivi per sbattezzarsi."

Ah, ecco, ora molte cose sono chiare. Siccome lei si aspetta che gli atei si comportino in un certo modo, e che in particolare si estraneino dal mondo e permettano ai credenti di monopolizzarlo, ogni ateo che promuove la propria visione della vita non rientra nei suoi schemi e dunque non è un "vero" ateo. Mi auguro che lei possa incontrare molti di questi "atei molesti": gioverebbe alla sua capacità di accettare chi la pensa differentemente.

"[Quelli che si sbattezzano] dovrebbero allora cancellarsi dai registri delle scuole cattoliche che hanno frequentato da piccoli senza che nessuno chiedesse il loro permesso ecc...."

Non si entra a far parte del novero dei cristiani frequentando una scuola cristiana, ma attraverso il battesimo; dunque è più che razionale segnare la propria uscita dal "gregge" attraverso la negazione del battesimo, mentre la cancellazione dalle liste delle scuole non ha questo significato.

"Ribatte dicendo: "Magari! Per godere della vita, però, dovrebbero sparire tutte quelle limitazioni della libertà pubblica e privata basate su credenze metafisiche non condivisibili da tutti". Finchè c'è la democrazia e finchè i politici affermeranno i valori cattolici sarà così. Ma non è limitazione, si chiama democrazia."

La democrazia che ignora i diritti fondamentali si chiama dittatura della maggioranza. Dato che esiste la libertà di religione, malgrado tutti gli sforzi della Chiesa, nessuno può essere obbligato a vivere la propria vita secondo i dettami di una religione che non condivide, dunque le argomentazioni religiose non sono criteri oggettivi, e dunque non possono essere usati per argomentare posizioni politiche.

"Poi per godersi la vita occorre conoscerne il significato e lo scopo, altrimenti si sopravvive..lei ne sa qualcosa??"

Perché, ha motivo di dubitarne?

Arrivederci.

Aggiornamento (23 novembre): il sig. Aguedo ha pensato bene di cancellare il mio commento, che segnalava questa risposta. Non posso non pensare che abbia finito le argomentazioni razionali per giustificare la sua fede.

giovedì 19 novembre 2009

La seconda morte di Ipazia

Già a maggio avevo parlato del film Agorà di Alejandro Amenábar, dedicato alla vita e alla morte di della scienziata e filosofa alessandrina Ipazia, ma non scrissi quello che sentivo come un presentimento: che la distribuzione del film avrebbe potuto avere problemi a causa della immancabile opposizione delle strutture clericali.

Ma è andata peggio di quanto temevo, dato che questo film - uscito il 12 ottobre in Spagna e acquistato per i circuiti cinematografici di mezzo mondo, Taiwan e Thailandia incluse - in Italia non sarà distribuito. Nessuna casa di distribuzione ha infatti annunciato di aver acquistato i diritti per la distribuzione in Italia, sebbene il film, al di là dei suoi contenuti culturali, sia anche un investimento economico di una certa importanza, dati i mezzi profusi nella sua produzione, il curriculum del regista (autore di The Others e Mare dentro) e il successo che sta avendo in Europa.

Ma che il tema fosse delicato è indicato dai dibattiti che si sono sviluppati anche in mancanza del clamore successivo alla distribuzione del film. Un esempio è l'agghiacciante post (non che gli altri siano molto migliori) del blog Totalitarismo Totale (Roberto Manfredini), "Ipazia, la Salomè dei filosofi", in cui l'autore uccide per la seconda volta la scienziata e filosofa alessandrina.

Per comprendere il retroterra culturale del signor Manfredini basti sapere che, oltre a sistemare Amenábar definendolo "un pederasta", definisce Rachel Weisz, interprete di Ipazia nel film: "una genuina rappresentante di quel filone ugrico-khazaro trapiantato in America (vedi Zsa Zsa Gabor, Jamie Lee Curtis, Goldie Hawn, Debra Winger ecc…), che ad ogni generazione sforna le “zoccole altolocate” per la mondanità di Hollywood". Lettore avvisato...

L'autore inizia la sua opera tentando di infangare la reputazione filosofica di Ipazia. "Ipazia, dal punto di vista filosofico, era una nullità: lo sanno anche i suoi “sostenitori”, che per trarre fuori sangue da una (testa di) rapa, dovettero inventarsi immaginifici scenari culturali e incontri ravvicinati del terzo tipo con Platone", afferma il signor Manfredini, senza specificare le fonti per questa sua affermazione. Eppure proprio "rapa"Ipazia non doveva essere: lo storico cristiano Socrate Scolastico afferma infatti che "ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni". Ipazia aveva dunque una scuola frequentata da numerosi studenti, tra cui il funzionario, letterato e filosofo (e successivamente vescovo) Sinesio di Cirene, che per tutta la propria vita ebbe grande stima della propria maestra; inoltre aveva una certa influenza sui funzionari locali, oltre ad un'amicizia col praefectus augustalis Oreste, rapporti indicati come causa della morte di Ipazia dallo stesso Socrate Scolastico, dal cristiano Giovanni di Nikiu e dal pagano Damascio; infine, non va dimenticato che tutto questo Ipazia l'aveva ottenuto in un ambiente non certo favorevole al successo di una donna.

Naturalmente l'autore "dimentica" l'Ipazia scienziata: non sarebbe stato infatti funzionale al suo intento far notare che i "trattatelli matematici" che Ipazia compose (un Commentario sull'Aritmetica di Diofanto, un Commentario sulle Coniche di Apollonio e un Canone astronomico, oltre a pubblicare l'Almagesto di Tolomeo e il Commento agli Elementi di Euclide di suo padre) sono opere che pochi lettori del signor Manfredini comprenderebbero, e che Ipazia inventò l'idrometro e un modello di astrolabio, strumenti figli di una cultura scientifica che fu massacrata definitivamente dalla religione difesa del signor Manfredini e che sopravvisse solo grazie ai tanto vituperati musulmani.

Successivamente l'autore giunge all'esposizione del proprio contributo originale: Ipazia sarebbe "una Salomè per filosofi", e la fonte usata per una tale affermazione è lo storico cristiano Giovanni di Nikiu, vissuto nel VII secolo (due secolo dopo la morte di Ipazia); la credibilità della testimonianza di Giovanni è resa evidente dalle accuse di magia che porta contro Ipazia, affermando che legò a sé molti credenti, incluso Oreste, e che fu per questo motivo che i cristiani di Alessandria fecero a pezzi la filosofa.

Solo ripetendo queste ridicole affermazioni il signor Manfredini può giustificare il gesto dei sostenitori cristiani di "san" Cirillo, giungendo a lamentare la loro reazione in quanto "perseguitati da pagani e giudei e accerchiati da ogni tipo di eretici (già da allora)"! Certo, come se non fossimo ottant'anni dopo fine delle persecuzioni con Costantino I e venti dopo la proclamazione del cristianesimo a religione di Stato! Come se "san" Cirillo non avesse fatto espellere gli ebrei e il suo predecessore Teofilo non avesse distrutto il Serapeo, il tempio di Serapide ad Alessandria (evento celebrato dai cristiani come un trionfo e raffigurato qui di fianco).

Manfredini conclude dicendo: "se penso a tutte le Sante che subirono il martirio, non provo nessun senso di colpa, né come cristiano, né tantomeno come uomo (ovvero rappresentante del potere patriarcale)". Al che io mi chiedo se il signor Manfredini si renda conto o meno che sta parlando del linciaggio di una donna innocente di qualsiasi colpa, persino per la legislazione dell'epoca, estremamente discriminatoria nei confronti di chi non era cristiano ortodosso, e che la sua morte dovrebbe far inorridire un uomo moderno. Il mancato senso di colpa del signor Manfredini getta un'ombra lunga sulla pretesa superiorità morale del cristianesimo.

"Forse sarà questione di carattere," aggiunge Manfredini "ma in questi casi giudico doveroso una sorta di “apologetica di reato”, poiché è difficile non vedere la giustizia della punizione nei confronti di Ipazia. Fu un moto spontaneo in difesa del vescovo Cirillo, santo eroe ecclesiastico, minacciato dalla Nuova Salomè". Non si tratta di una questione di carattere, signor Manfredini, ma di fanatismo: un gruppo di persone che prendono una donna, la linciano, la uccidono e fanno scempio del suo cadavere perché (secondo un tizio vissuto duecento anni dopo) faceva uso di arti magiche non è una "giusta punizione", come lei azzarda, ma un crimine infame, aggravato da motivazioni religiose. E' per questo che Ipazia è considerata una "martire" del libero pensiero, perché è stata uccisa per il fatto di avere un'opinione differente da quella che i cristiani dell'epoca avevano; e il "santo eroe ecclesiastico" Cirillo, che non mosse un dito per impedire questo scempio o per far punire i colpevoli, è il mandante di questo omicidio religioso.

La notizia sulla mancata distribuzione di Agorà è presa da un articolo di Flavia Amabile pubblicato su La Stampa, "La Weisz fa paura al Vaticano", il 7 ottobre 2009. Estratti delle fonti antiche che parlano di Ipazia sono disponibili sul sito di HomoLaicus. Un post che invece evidenzia i tratti essenziali della figura è "Ipazia, la donna che non trova perdono" da Il nuovo mondo di Galatea.

mercoledì 18 novembre 2009

La schiavitù tra "Ragione e Fede"

Ancora dal blog "Ragione e Fede", ancora sull'affermazione dell'autore Aguado "il Cristianesimo abolì la schiavitù". Avevo risposto con un commento, che metto qui di seguito, al suo post, ma Aguado ha nuovamente cancellato il commento, e ha modificato parte del suo post per rispondere a brani estrapolati dal mio commento scomparso.

"Chiedendo di dialogare spulcia e fabbrica in modo machiavellico delle contraddizioni. Questo non è dialogo è provocazione".

La sua è un'accusa pesante, vediamo come la giustifica.

"scrive [...] "Urbano VII proibì di far schiavi i nativi americani ma non parlò degli africani". Cioè, è come dire che Benedetto XVI è a favore della guerra perché, ieri ha chiesto la pace nello Sri Lanka ma non ha parlato della guerra in Afghanistan".

La frase completa, naturalmente non riportata da lei, spiega come i Papi avessero prima promulgato bolle a favore della schiavitù e come abbiano poi via via mutato la propria posizione, esattamente la tesi da me sostenuta.

"Capite qual'è il trucco? Spulciare ed interpretare gli scritti, decontestualizzandoli e modificandone così il significato. Accade così perché, l'ho ripetuto mille volte, non si conosce quel che si pretende di giudicare: si chiama, purtroppo, ignoranza".

"Spulciare e decontestualizzare a causa della propria ignoranza". Vediamo questa ignoranza:

"San Paolo riteneva gli schiavi [...] come fratelli e parte integrante della comunità [...] Chiede loro di continuare a vivere secondo i valori Cristiani, nonostante il giogo della loro condizione, cioè di non maltrattare i padroni poiché anche loro sono fratelli, e maltrattare gli altri equivale a bestemmiare contro Dio".

Veramente l'autore della Prima lettera a Timoteo (che non è Paolo di Tarso) dice "Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, trattino con ogni rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina". Come si vede l'autore invita gli schiavi a trattare bene i loro padroni affinché non si parli male di Dio; e come si tratta bene un padrone? Facile, ubbidendogli! E infatti il versetto dopo l'autore continua: "Quelli che hanno padroni credenti non li disprezzino perché sono fratelli, ma li servano con maggiore impegno". Che strano, ma non si era detto che in Cristo non c'erano schiavi e padroni?

"Il blog è pieno di affermazioni di questo genere, totalmente estrapolate e decontestualizzate, che raramente c'entrano con il discorso centrale. Non è questo un dialogo".

Sta dicendo che non è dialogo estrapolare, ad esempio, due esempi tra tanti altri ignorati, e commentare questi due cambiandone il significato? Forse ha ragione.

"Comunque sostenere in questo modo che la Chiesa in fondo è sempre stata contro l'uomo [...]"

Questo è un pensiero che non mi appartiene, la prego di non addebitarmelo.

"Riccardo rispondendo a il Censore afferma:"Papa Paolo III, il 2 giugno 1537 pubblica la bolla Veritas Ipsa [...] che scomunica chiunque riduca in schiavitù [...] "gli Indiani e le altre genti"".

Che è esattamente quello che avevo scritto, più succintamente, io: "a partire dal XIV secolo la Chiesa cattolica inizia ad opporsi alla schiavitù, anche con documenti ufficiali (Pio II nel 1462, Paolo III nel 1537, Urbano VII nel 1639, Benedetto XIV nel 1741, Pio VII nel 1814, Gregorio XVI nel 1837) [...]".

Per riassumere, nel post che avrebbe inteso commentare qui:

"Nella storia della schiavitù ci sono cristiani che si schierarono dalla parte degli abolizionisti e cristiani che si schierarono dalla parte degli schiavisti. Questo dimostra che l'atteggiamento dei cristiani verso la schiavitù (sia pure con i distinguo personali e particolari relativi ad un ambito così vario) è mutato con il passare dei secoli, con la nascita e la crescita della sensibilità nei confronti di questo problema, non con una cesura netta e calata dall'alto, ed è dunque fuori luogo attribuire al cristianesimo il merito di aver abolito la schiavitù."

Grazie per l'attenzione e buona notte.

A questo punto, come detto, Aguado rimuove il mio commento, modifica il suo post e risponde ad alcuni brandelli del mio commento, che diventa sconclusionato e senza senso. Rispondo allora qui alla nuova versione del post.

"Nessun Papa ha mai promosso o difeso la schiavitù, come pregio in sè."

Che significa "come pregio in sé"? Nicola V promulgò una bolla con la quale permetteva ai Portoghesi di fare schiavi in Africa e Alessando VI fece lo stesso con gli Spagnoli: si tratta dunque di due Papi che legalizzarono la schiavitù nei fatti, un evento che cozza con la sua pretesa "il Cristianesimo abolì la schiavitù" e che necessita di una difesa ben più solida di un "si però lo fecero senza promuovere la schiavitù come un pregio in sé".

"San Paolo riteneva gli schiavi [...] come fratelli e parte integrante della comunità, in questo caso quella cristiana, al pari delle vedove e dei presbiteri."

Appunto, della comunità cristiana. E quindi? Qui si discute dell'abolizione della schiavitù da parte del cristianesimo, non dell'organizzazione interna dei gruppi cristiani.

"San Paolo non ha il potere di fare una rivoluzione culturale"

Ma come, è la persona che ha permesso al cristianesimo di passare da pochi fedeli in Palestina a tante comunità nel Mediterraneo orientale (lo dicono le tradizioni cristiane, mica io), è una persona che organizza queste comunità secondo principi di uguaglianza, per di più secondo lei dispone che gli schiavi servano i loro padroni con buona volontà, ma non sarebbe in grado di dire ai padroni cristiani di liberare i propri schiavi? E poi non ha scritto che "Gesù riuscì, nel tempo, a modificare il tessuto culturale"? Come fece, se non attraverso il messaggio propagandato dai suoi apostoli? C'è qualcosa che non quadra nel suo ragionamento.

"[Paolo] chiede loro di continuare a vivere secondo i valori Cristiani, nonostante il giogo della loro condizione, cioè di non maltrattare i padroni (cioè i nemici) poichè anche loro sono fratelli, e maltrattare gli altri equivale a bestemmiare contro Dio. Di continuare a servirli per non essere giustiziati. E' l'insegnamento di Gesù: amare i propri nemici e porgere l'altra guancia."

Non dice questo. Mi stupisce che accusi me di spulciare i testi e fabbricare macchinazioni quando dimostra ignoranza del testo di cui stiamo discutendo (e che per lei è pure sacro). Quello che dice l'autore della Prima lettera a Timoteo (che non fu scritta da Paolo, ma questo è un altro discorso) è questo (1Tm 6,1-2, traduzione Nuova Riveduta):
1 Tutti quelli che sono sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni onore, perché il nome di Dio e la dottrina non vengano bestemmiati. 2 Quelli che hanno padroni credenti non li disprezzino perché sono fratelli, ma li servano con maggiore impegno, perché quelli che beneficiano del loro servizio sono fedeli e amati. Insegna queste cose e raccomandale.
Noti il comandamento nel versetto 1: gli schiavi cristiani devono stimare e onorare i propri padroni, affinché non si bestemmi Dio; non si dice che i padroni sono fratelli,degli schiavi, né si dice che "maltrattare gli altri equivale a bestemmiare contro Dio", ma piuttosto l'autore avverte che in caso di cattivo comportamento da parte di schiavi cristiani (l'ordine è indirizzato agli schiavi, non ai padroni, ai quali l'autore non impone di trattare bene gli schiavi allo stesso modo) sarà il nome di Dio ad essere bestemmiato. Nel secondo versetto l'autore specifica ulteriormente che gli schiavi con padroni cristiani non devono disprezzare questi loro fratelli (come si vede sono i padroni cristiani ad essere definiti "fratelli", qualifica non attribuita ai padroni in generale), ma li devono servire meglio in quanto sono persone "fedeli e amate". Nel brano in questione non si parla di nemici, non si parla di porgere l'altra guancia, non si parla neppure di servire i padroni "per non essere giustiziati", come afferma lei: con queste disposizioni l'autore chiede agli schiavi cristiani di servire onorevolmente i padroni pagani, per il buon nome di Dio e della dottrina, e con maggiore impegno quelli cristiani, che sono membri fedeli e amati della comunità cristiana.

"Questo arrampicarsi sui vetri mi fa venire in mente i bambini che, arrabbiati, di fronte ad un fiore rosso dicono: "No, no, no, è rosso!"."

Mi permetto anch'io un appunto personale, allora. A parte la considerazione chelei frequenta bambini strani, "arrampicarsi sugli specchi" è il nome di quanto ha fatto lei per giustificare il fatto che gli insegnamenti della Prima lettera a Timoteo non corrispondono con quanto ha affermato. Sarebbe opportuno che evitasse altri di comportamenti che in realtà mette in pratica lei.

"La nascita e la crescità di sensibilità contro la schiavitù è stata parallela allo sviluppo del Cristianesimo. Per un ultima definitiva prova vedere l'enciclopedia Treccani sotto la voce "decadenza della schiavitù tradizionale""

Non c'è neppure bisogno che io confuti questa affermazione, ci pensa direttamente la Treccani. Vediamo questa voce da lei citata come "ultima definitiva prova":
La diffusione del cristianesimo e delle idee morali dello stoicismo divulgò la consapevolezza che anche gli schiavi erano uomini e ne favorì l'emancipazione. La stessa trasformazione economica e sociale seguita alla caduta dell'Impero romano d'Occidente li rese meno utili [...] Intorno al 9° sec. la schiavitù persistette, ma quale fenomeno largamente secondario.
Quindi si parla di diffusione del cristianesimo e "delle idee morali dello stoicismo", della diffusione del riconoscimento dell'umanità degli schiavi e della loro scarsa utilità dovuta a mutamenti economici e sociali. Direi che siamo giunti ad una conclusione differente da quella che aveva presentato originariamente, che il cristianesimo avrebbe abolito la schiavitù, non crede?

Il post riporta ancora pari pari brani che avevo commentato precedentemente, a dimostrazione che lei, signor Aguado, non legge quanto non le piace. In particolare presenta come rilevante la precisazione di Riccardo, che "risponde" al sottoscritto ripetendo, in realtà, quanto io stesso avevo detto (ma che il lettore del suo post non sa, avendo lei rimosso ogni traccia dei miei commenti).

In risposta al rilievo di Marcoz, il quale ricorda come già Seneca aveva detto cose simili sugli schiavi, dice: "Anche se quella di Seneca non aveva certo la radicalità di Gesù, tant'è che rimase un'idea moralmente giusta ma che non cambiò nulla per gli schiavi. Gesù riuscì, nel tempo, a modificare il tessuto culturale, dando valore e dignità ad essi." Strana questa sua affermazione, in quanto lei stesso ha citato l'articolo della Treccani in cui si dice che la diffusione della morale stoica fu una delle concause della riduzione della schiavitù: come giustifica allora questa posizione?

Saluti.

Aggiornamento (23 novembre): il sig. Aguedo ha pensato bene di cancellare il mio commento, che segnalava questa risposta. Non posso non pensare che abbia finito le argomentazioni razionali per giustificare la sua fede.

"Ragione e Fede"? Connubio pericoloso, per la fede

Malgrado gli avvertimenti del gentile Marcoz, ho continuato a cercare una sorta di dialogo con il blog cattolico "Ragione e Fede". Purtroppo devo notare alcuni comportamenti poco corretti, come il costante dileggio del proprio interlocutore, la pratica di cancellare i commento altrui quando vi si risponde (e talvolta anche quando non si risponde), quella di rispondere solo ad alcuni brandelli del commento cancellato, e quella di manipolare il post correggendolo e facendo sparire le versioni precedenti.

L'esempio di cui vorrei parlare è il post "Risposte: storicità dei Vangeli (sottotitolo del blog)".

Al mio commento sulla dubbia autenticità della Prima lettera di Pietro, l'autore risponde con quel post, iniziando con un riferimento alla mia "profonda ignoranza" e concludendo con la riflessione che "chi vuole criticare non argomenti mai con fonti storiche attendibili (nonostante su questo argomento ci siano). Facile screditare senza essere sostenuti da nessuna fonte...peccato che si è poco credibili". Sottolineo le due cadute di stile in quanto mi serviranno nel seguito della storia.

Punto sul vivo, scrivo un post, "Sull'attribuzione della Prima lettera di Pietro", in cui documento con autorevole bibliografia le mie affermazioni. Cosa fa Aguado (l'autore di "Ragione e Fede")? Prima mi scrive un commento in cui si felicita per aver trovato qualcuno che "ha argomentato la risposta basandosi su dati attendibili" (parole sue) e promettendo di mettere un link verso il mio post per rispondere, poi si dimentica di farlo. Sollecitato, scrive un secondo commento in cui mi accusa di "riscrivere le stesse cose" (sì, ma ora ho messo le fonti come mi aveva chiesto) e di "copi-incollare da qualche sito (UAAR)" (ma come, aveva detto che erano dati "attendibili"!), mi invita a "convertirmi e capire quello di cui sta parlando"; in fin dei conti "sostenere una cosa senza conoscerla non è dialogo, è presunzione"!

Vabbé, mi armo di pazienza e gli scrivo il seguente post nel commento della sua risposta (sempre allo stesso indirizzo).

Rispondo al suo commento al mio post (http://uticense.blogspot.com/2009/11/sullattribuzione-della-prima-lettera-di.html)

"Noto cmq che non hai letto la risposta che ho dato, tant'è che riscrivi le stesse cose."

Veramente è lei che non ha preso in considerazione quanto ho scritto e ripete gli stessi errori.

"La tradizione la assegna a Pietro perchè i contenuti furono lasciati da lui e successivamente alla sua morte vennero scritti da Silvano che alla fine saluta"

La tradizione l'assegna a Pietro, come dimostrato dalla fonte cattolica che le ho fornito (e che lei ha ignorato). Che a scriverla sia stato Silvano bisogna dimostrarlo (e non lo dico né io né l'UAAR, ma le fonti che le ho fornito e che le ha ignorato), e comunque questo non farebbe della lettera una lettera "di Pietro".

"Sostenere una cosa senza conoscerla non è dialogo, è presunzione." Sono d'accordo: quando le si portano le fonti è inutile continuare a ripetere la stessa solfa catechistica, ci vuole poco a controllare e verificare.
Come suo solito, Aguado cancella il mio post, ne estrapola alcuni brani per rispondervi, ignora le argomentazioni che ho presentato sostenendole con "dati attendibili" e modifica il suo post originale...

Nella nuova versione del post continua a sostenere che "Il canone Cattolico (e non la fede) non dice che sia Pietro a scrivere la lettera, poichè nella lettera stessa è menzionato che a scriverla sia stato Silvano." Peccato che io gli avessi fatto presente che la tradizione attribuiva la lettera a Pietro, come spiegato nella Catholic Encyclopedia, e che la sua sia una non-risposta.

Mi informa poi che la lettera "si chiama lettera di inspirazione Pietrina" (sic) e presenta come "sito ufficiale" (di cosa?) laparola.net, in cui si dice "Più che il latore, si è voluto vedere in lui [Silvano] l'amanuense o il traduttore o l'estensore, e perfino l'autore della Epistola, ma è questo un navigar nelle ipotesi". Aguado ignora dunque le fonti da me presentate e ne presenta a sua volta una anonima che ammette a denti stretti quello che dico io...

Aguado continua affermando che "la maggior parte degli studi conduce al fatto che Pietro abbia indicato a Silvano i contenuti e, quest'ultimo li abbia ordinati e scritti". Naturalmente non è dato sapere da quale fonte ha prelevato tale informazione, dato che dice il contrario di quanto scritto nei libri da me consultati ed elencati.

C'è anche del mistero in questa storia. Nella prima versione del suo post, Aguado aveva anche scritto che "L'epoca di composizione è ritenuta comunque tra il 60 e il 63 d.C. Non prima, perché la lettera di Paolo ai Romani, scritta nel 58, non fa menzione della presenza di Pietro a Roma, e non dopo perché pare difficile che l’autore inviti a “onorare” l’imperatore (Nerone) (2,13.17), che stava perseguitando la comunità di Roma, attribuendole ingiustamente l’incendio della città". Nella seconda versione, però, questo testo scompare senza lasciare traccia della modifica; fortunatamente il post originale è ancora presente nella cache di Google a testimoniare quelle affermazioni. Forse Aguado ha rimosso il brano in quanto ha dovuto ammettere che la lettera fu probabilmente scritta dopo la morte di Paolo, a causa dei riferimenti che gli ho portato, ma non fa riferimento al cambiamento d'idea né alla sua origine (eppure mi rammenta che "un dialogo costruttivo si basa non su chiacchiere vane, ma esclusivamente su opinioni sostenute da fonti attendibili!").

Dopo aver chiosato con l'ammonimento "Infine faccio notare come chi vuole criticare non argomenti mai con fonti storiche attendibili (nonostante su questo argomento ci siano)", al quale verrebbe da rispondere "ma se lo sai che esistono perché le ignori?", si giunge alla bibliografia: quattro libri senza neppure l'indicazione delle pagine accompagnati dal capolavoro finale di Aguado, dall'apoteosi del suo metodo di lavoro tutto basato sulle fonti autorevoli e controllate.

Nella seconda versione del post, Aguado aggiunge infatti in testa alla sua bibliografia "Wikipedia: che conferma, come al solito, quanto sostenuto" e mette il link alla pagina wikipediana della Prima lettera di Pietro, ma non si accorge che questa pagina dice esattamente il contrario di quello che afferma lui! Mitico!

Cosa aveva affermato lui, che "gli studiosi sono ancora incerti sulla verità"? La sua fonte dice invece che "I critici biblici moderni ritengono invece che l'autore della lettera non possa essere identificato col pescatore galileo". Aguado sostiene che la lettera è di "inspirazione Pietrina"? La sua fonte afferma invece che "la teologia presupposta dalla Prima lettera di Pietro è chiaramente paolina". Il suo cavallo di battaglia, anzi, la sua ancora di salvezza è ritenere che "comunque, stando ai contenuti, non cambia molto che la Lettera di Pietro sia stata scritta da lui o da un suo disepolo che riporta le sue indicazioni"? Wikipedia gli risponde con la citazione di uno studioso il quale afferma che "se [Silvano avesse scritto Pietro], allora Pietro non sarebbe il vero autore di 1 Pietro in nessun senso".

Un po' mi dispiace per lui. Mi ricordo di quanto fosse difficile per me far combaciare i dettami della mia fede con quelli della razionalità; nel mio caso, alla fine ha vinto la razionalità, e la fede si è dovuta accomodare in qualche angoletto nascosto, ma in generale deve essere difficile conciliarle, se tanti rinunciano alla razionalità.

Aggiornamento (23 novembre): il sig. Aguedo ha pensato bene di cancellare il mio commento, che segnalava questa risposta. Non posso non pensare che abbia finito le argomentazioni razionali per giustificare la sua fede.

sabato 14 novembre 2009

Due esperienze con siti cattolici

Vorrei parlare di due esperienze fatte con due blog cattolici, con i quali avevo intenzione di aprire un dialogo. Le esperienze non sono state positive, ma credo siano state non di meno utili.

Avevo trovato un interessante blog in cui si sosteneva che la fede è pertinente alla ragione, mentre l'ateismo no. Certo, alcuni atteggiamenti sono un po' troppo decisi per i miei gusti, certo l'autore tende ad attaccare più gli atei che l'ateismo, ma mi facevano ben sperare una certa attenzione a provvedere il testo di fonti e l'inserimento tra gli scopi del sito del dialogo con chiunque.

Ho iniziato a lasciare qualche commento succinto, che l'autore ha cancellato con la scusa di rispondere in una pagina apposita alle critiche. La sua risposta è stata, come sarei dovuto aspettare, molto diretta; in particolare mi ha colpito l'accusa di non portare fonti a favore di quanto dicevo nel commento (succinto) e quella di ignoranza in materia. Allora ho scritto un post in cui presentavo, letteratura alla mano, le mie ragioni, e ho indicato il link in un commento alla risposta: il commento è stato cancellato, ho ricevuto un commento al mio post qui dove si prometteva una contro-argomentazione, ma poi non se ne è fatto nulla.

Successivamente, sullo stesso blog, è comparso un post che rivendicava al cristianesimo il merito di avere abolito la schiavitù, affermando che l'"eguaglianza essenziale tra tutti gli esseri umani è una idea essenzialmente e originalmente cristiana". Ho scritto a mia volta un post di risposta, documentandomi e citando la bibliografia, al fine di dimostrare che l'atteggiamento dei cristiani verso la schiavitù non è stato sempre e nettamente di condanna, anzi, e l'ho segnalato in un commento al post originale. Mi sono ritrovato una risposta piena di insinuazioni (la mia bibliografia sarebbe falsa e inattendibile, io non avrei argomenti e dovrei appoggiarmi ai suoi), in cui afferma che io basi la mia argomentazione su testi religiosi e non storici (non è vero, naturalmente, ma se anche fosse? si sta discutendo di religione, mi pare), e poi chiude il discorso indirizzandomi attacchi gratuiti e dicendo che non intende più prendermi in considerazione.

Alla faccia del dialogo! O forse per dialogo intendeva "catechesi"?

Contemporaneamente ho intrecciato un secondo dialogo con un altro blog cattolico, svoltosi nei commenti ad un post (link alternativo) sulla sentenza della Corte europea riguardo ai crocifissi nelle scuole. Anche questo blogger ha un atteggiamento molto diretto e aggressivo: "gli atei sono prepotenti e spacciano la loro visione facendola passare per neutrale", si augura che io "non abbia problemi di vista o non abbia avuto guai con l'istruzione primaria", mi invita a "cambiare nazione". A questo si aggiungono altre perle, come l'opinione che "la nazione esiste per motivi cristiani" e che lo "stato è nato cristiano", che il bene si persegua solo per motivi religiosi, che i diritti umani sono nati dal cristianesimo (a chi chiede spiegazioni risponde "povero lei"), che la rimozione del crocifisso dalle scuole sarà seguita dalla proibizione di indossarlo, che chi si oppone al crocifisso nelle scuole non è una persona di buon senso. Ah, si, e che chi non si fa convincere dalle sue argomentazioni è un troll.

Insomma, non voglio fare di tutta l'erba un fascio, ma certo in due blog cattolici su due si parla di dialogo e si pratica l'intolleranza. Non ero così quando ero cattolico...

Aggiornamento: uno dei due autori cui facevo riferimento ha scritto due commenti a questo post per chiarire il fatto che la sua opera consiste nell'"istruire gli stolti", cosa che corrisponde (immagino nella sua religione) ad "un'opera di carità spirituale". I suoi due commenti sono esemplari dell'atteggiamento aggressivo e prevaricatore di cui mi lamentavo, e di cui questo personaggio va fiero.

giovedì 12 novembre 2009

Fu il cristianesimo ad abolire la schiavitù?

Aguado, autore del blog "Religione e Fede", ha pubblicato un post dal titolo chiaro, deciso e che denota assenza totale di dubbi: "Il Cristianesimo abolì la schiavitù". Le argomentazioni di Aguado non mi hanno convinto, ma non avendo esperienza nel campo ho dovuto fare una piccola ricerca, che qui presento.

Per comprendere il merito della rivendicazione dell'abolizione della schiavitù da parte del cristianesimo, bisogna distinguere tra il contenuto dei suoi testi sacri e la loro interpretazione e applicazione, antica e moderna. Perché a nulla valgono parole che sono ignorate o interpretate diversamente da quello che ci pare giusto oggi, con la nostra sensibilità moderna.

Non conosco alcun brano del Nuovo Testamento che abolisca esplicitamente la schiavitù (ma potrebbe esistere, ammetto la mia ignoranza), ma ritengo che buon modo di giudicare il rapporto tra cristianesimo e schiavitù siano i pensieri e le azioni di cristiani (cattolici, per semplicità) che occupavano posizioni di rilievo:
  • Paolo di Tarso (I secolo, santo) afferma che non c'è più distinzione davanti a Dio tra schiavi e liberi (Galati 3,28), minimizza le differenze tra schiavitù e libertà a fronte dell'arrivo imminente della parusia (1 Corinzi, 7,21-24) ed è alquanto oscuro sulle proprie intenzioni quando rimanda uno schiavo convertito al suo padrone (Lettera a Filemone);
  • l'autore della Prima lettera a Timoteo (attribuita tradizionalmente a Paolo e facente parte del Nuovo Testamento, ma considerata pseudoepigrafa e composta nel II secolo dalla maggioranza degli studiosi) sostiene che gli schiavi devono obbedire ai propri padroni altrimenti commetterebbero bestemmia contro Dio e la dottrina (1 Timoteo 6,1);
  • Basilio di Cesarea (330-379, santo e Dottore della Chiesa) ordina di rimandare dai loro padroni gli schiavi fuggitivi che cercano rifugio presso le comunità religiose;
  • il concilio di Gangra (340) condanna formalmente coloro che incitano gli schiavi a liberarsi, schierandosi con i padroni;
  • Giovanni Crisostomo (347-407, santo e Dottore della Chiesa) chiede esplicitamente ai cristiani di assicurarsi che gli schiavi siano restituiti ai loro padroni;
  • Agostino d'Ippona (354-430, santo e Dottore della Chiesa) ritiene che la schiavitù sia conseguenza del peccato originale (La città di Dio, xix,19) e che gli schiavi debbano accettare la propria condizione (xix,15);
  • il concilio di Calcedonia (451) proibisce ai monasteri di accettare schiavi come applicanti senza l'esplicito permesso dei loro padroni;
  • Isidoro di Siviglia (560-636, santo) è fermamente contrario alla schiavitù, ma accetta la servitù;
  • Nicola V promulga la bolla Dum Diversas (1452) con la quale garantisce ai Portoghesi il diritto di combattere e ridurre in schiavitù gli infedeli, mentre la Romanus Pontifex (1455) permette loro di acquistare schiavi (le concessioni furono rinnovate da Callisto III nel 1456, da Sisto IV nel 1481 e da Leone X nel 1514, mentre Alessandro VI garantì le stesse concessioni agli Spagnoli nel 1503);
  • Innocenzo VIII riceve 1000 schiavi da Ferdinando II d'Aragona e li distribuisce ai cardinali e ai nobili romani (1488);
  • a partire dal XIV secolo la Chiesa cattolica inizia ad opporsi alla schiavitù, anche con documenti ufficiali (Pio II nel 1462, Paolo III nel 1537, Urbano VII nel 1639, Benedetto XIV nel 1741, Pio VII nel 1814, Gregorio XVI nel 1837) ma con posizioni talvolta particolari, come quella di Urbano VII che proibisce di far schiavi i nativi americani ma non parla degli africani.

Nella storia della schiavitù ci sono cristiani che si schierarono dalla parte degli abolizionisti e cristiani che si schierarono da quella degli schiavisti. Questo dimostra che l'atteggiamento dei cristiani verso la schiavitù (sia pure con i distinguo personali e particolari relativi ad un ambito così vario) è mutato con il passare dei secoli, con la nascita e la crescita della sensibilità nei confronti di questo problema, non con una cesura netta e calata dall'alto, ed è dunque fuori luogo attribuire al cristianesimo il merito di aver abolito la schiavitù.

Questo argomento rientra in un discorso più ampio che nega alla religione il ruolo di ispirazione ed origine della morale e dunque rigetta la visione nichilista dell'ateismo. Se avrò tempo, intendo dire due parole a proposito.

I dati sono tratti da: Junius P. Rodriguez, The Historical Encyclopedia of World Slavery, ABC-CLIO, 1997, ISBN 0874368855, passim; Jennifer A. Glancy, Slavery in early Christianity, Oxford University Press US, 2002, ISBN 0195136098, pp. 90-91; Jacob Burckhardt, Peter Burke, S.G.C. Middlemore, The civilization of the Renaissance in Italy, Penguin Classics, 1990, ISBN 014044534X, p. 365.

Per una discussione sull'affermazione che siano stati i cristiani (e non il cristianesimo) ad abolire la schiavitù, segnalo il post di Ebon Muse "
Did Christianity Abolish Slavery?".

martedì 10 novembre 2009

Sull'attribuzione della Prima lettera di Pietro

L'autore del blog "Ragione e Fede" ha risposto alla mia domanda sull'autenticità della Prima lettera di Pietro, con il post "Risposte: storicità dei Vangeli (sottotitolo del blog)". Metto qui le mie contro-argomentazioni, che sono venute troppo lunghe per stare in un commento nel suo blog.

Tu affermi: «lo scritto, più che direttamente all'apostolo Pietro, viene attribuito dagli studiosi alla tradizione petrina». Questo però non concorda con la tradizione cattolica, che attribuisce la composizione della Prima lettera di Pietro a Pietro stesso. Cito dalla Catholic Encyclopedia: «Tradition is also unanimous for St. Peter's authorship. In the second and third centuries we have much explicit testimony to this effect. Clement and Origen at Alexandria, Tertullian and Cyprian in Africa, the Peshitto in Syria, Irenaeus in Gaul, the ancient Itala and Hippolytus at Rome all agree in attributing it to Peter, as do also the heretics, Basilides and Theodore of Byzantium» (Vander Heeren, Achille. "Epistles of Saint Peter." The Catholic Encyclopedia. Vol. 11. New York: Robert Appleton Company, 1911. 10 Nov. 2009 . Nihil Obstat. February 1, 1911. Remy Lafort, S.T.D., Censor. Imprimatur. +John Cardinal Farley, Archbishop of New York). Come vedi la tradizione, la "fede" nell'autorità dei Padri della Chiesa, indicava Pietro come autore: il cambiamento di opinione è successivo al 1911.

Secondo la maggioranza degli studiosi moderni, la lettera fu scritta verso la fine del I secolo, a Roma o più probabilmente in Asia Minore, da qualcuno che non era Pietro ma che volle lasciare intendere di esserlo. L'attribuzione a Pietro è screditata (Reinhard Feldmeier, The first letter of Peter: a commentary on the Greek text, Baylor University Press, 2008, ISBN 1602580243, pp. 32-39. Vedi anche E. Eve, The Oxford Bible Commentary, p. 1263; W.G. Kümmel, Introduction to the New Testament, p. 424; P.J. Achtemeier, A Commentary on First Peter, p. 9, J.H. Elliott, "First Epistle of Peter", The Anchor Bible Dictionary):

  • dall'uso di un greco di alto livello, inadatto ad un pescatore palestinese (come giustamente hai fatto notare tu);
  • dalla citazione dell'Antico Testamento solo sulla base della Septuaginta e non sull'edizione ebraica, che Pietro doveva conoscere meglio;
  • dall'equazione Roma = Babilionia, attestata solo dopo il 70, dunque dopo la morte di Pietro;
  • dal fatto che i destinatari della lettera siano comunità cristiane in aree in cui il cristianesimo si diffuse negli anni 80;
  • dai provvedimenti presi contro i cristiani in quanto tali, sottintesi da 1Pt 4,12-19, che possono essere datati solo all'epoca successiva alle persecuzioni neroniane;
  • dal fatto che l'autore non fa menzione della sua conoscenza personale di Gesù, cosa strana per Pietro;
  • dall'uso delle tradizioni della Chiesa ellenistica, invece che di quella primitiva;
  • dal fatto che la lettera rispecchi la tradizione paolina invece di quella petrina;
  • dalla difficoltà a comprendere come Pietro abbia potuto rivolgersi a comunità nella sfera di influenza di Paolo senza tenerlo in considerazione (evento compatibile con una situazione successiva al raggiungimento da parte della figura di Pietro dello status di autorità apostolica per antonomasia);
  • dall'assenza di riferimenti alle problematiche sui rapporti tra cristiani giudei e gentili;
  • dal riferimento alla pratica di pagare i "pastori" delle comunità (1Pt 5,2) sorta in fase successiva.
Sebbene prese singolarmente queste obiezioni non siano decisive e possano essere accomodate con una paternità petrina della lettera, nel complesso la critica biblica moderna rigetta l'attribuzione della Prima lettera di Pietro a Pietro.

Infine, che l'abbia scritta Pietro, o che Pietro abbia detto al proprio segretario Silvano/Silas cosa scrivere, o che dopo la morte di Pietro qualcuno abbia scritto la lettera presentando idee petrine, fa molta differenza, in quanto negli ultimi due casi la tradizione cristiana, che vuole la lettera composta da Pietro, sarebbe errata: la Prima lettera di Pietro andrebbe quindi ad aggiungersi ad altre opere del Nuovo Testamento di attribuzione pseudoepigrafa (in altri termini, apocrife), mettendo in dubbio l'attendibilità del presupposto dell'ispirazione divina delle scritture.

Saluti.

domenica 8 novembre 2009

"Dalla ragione alla fede": un viaggio possibile?

Ho scoperto un blog in lingua italiana molto interessante. Si intitola "Ragione e Fede" (l'indirizzo è in realtà "dalla ragione alla fede") e ha lo scopo di dimostrare che la religione è razionale, al contrario dell'ateismo. Nel leggerlo, ho trovato diverse cose che mi piacerebbe discutere.

Inizio dalla pagina che presenta lo scopo del blog. Qui si dice che l'autore vuole dimostrare come «la fede in Dio, al contrario dell'ateismo, sia pienamente pertinente alla ragione umana: chiunque affermi o neghi l'esistenza di Dio è tenuto anche a spiegarne le ragioni». Non so quali argomentazioni l'autore del blog utilizzerà per dimostrare che la fede è razionale e l'ateismo no, ma l'inizio non sembra confortante. Infatti, se io affermo l'esistenza di Dio, sono tenuto a darne una dimostrazione, a fornirne le prove; chi invece nega l'esistenza di Dio ha il privilegio di poter semplicemente smontare le prove della controparte, non deve dimostrarne la non esistenza. Quantomeno, questo è quanto si deve fare se ci si intende appellare alla ragione.

Una nota prima di concludere questo primo post. Il sottotitolo del blog, molto significativo, è «Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi», un brano della Prima lettera di Pietro (3,15). Ora, il problema che sorge è che secondo la fede quest'opera fu scritto da un pescatore palestinese del I primo secolo chiamato Simone "Cefa" (la "pietra") e meglio noto come l'apostolo Pietro; secondo la ragione, invece, la lettera sarebbe pseudoepigrafa, scritta da un cristiano ellenistico, esperto di retorica e fluente nella lingua greca, successivo al Pietro apostolo. Se la religione fosse compatibile con la ragione, la Chiesa dovrebbe riconoscere l'errore e rigettare la paternità dell'opera, ma non lo fa...