domenica 29 agosto 2010

Lei sa chi sono io!

Ho trovato molto ironico il recente post di Rino Cammilleri, intitolato «Confessione», in cui l'apologeta cristiano narra le peripezie della sua confessione (o, come lo chiama lui trucidamente, lo «scarico dell'elenco»).

Riassumendo brevemente, Cammilleri fa un primo tentativo col confessionale: dopo aver atteso per oltre mezz'ora che il prete termini la confessione di una signora, l'apologeta prende e se ne va. Il giorno dopo va in un'altra chiesa, altro confessionale, altra signora che si confessa, altra mezz'ora d'attesa. Finalmente il nostro eroe riesce a confessarsi, faccia a faccia col prete: «Scarico l’elenco e in tre minuti sono fuori» (parole sue, davvero!).

Il post finisce con Cammilleri che si lamenta con Ratzinger, che, malgrado un intero Anno Sacerdotale, «non ha tenuto conto del moderno arredo, né dell'imbecillità di certo clero», e non permette la privacy, che secondo Cammilleri sarebbe stata inventata dalla Chiesa stessa... Ma perché il nostro apologeta preferito, compagno di tante battaglie (cfr. link) ha il dente avvelenato? Presto detto, perché si è dovuto confessare faccia a faccia col prete!
Ora, io sono una persona conosciuta nell’ambiente ecclesiale e non mi va di raccontare le mie miserie a un prete col quale potrei trovarmi, in seguito, a dover polemizzare per motivi professionali.
Cioè Cammilleri, che per motivi professionali polemizza con alcuni preti, non gradisce dover andare a raccontare a loro, faccia a faccia, le sue «miserie»... Sia mai che il prete possa ricordargli, anche solo con un accenno, che sa chi è lui. Realmente.

Non so perché, ma questa storia mi ha messo di buon umore.

La foto è «Исповедь берн собор», di Водник (CC-by-sa-3.0).

domenica 22 agosto 2010

In cosa crede chi crede? Il coraggio del martire

Già in un altro post, intitolato «In cosa crede chi crede?», mi sono interrogato sul significato intimo del credere da parte di un fedele. Elencavo quattro possibili combinazioni del credere/non credere e del credere-di-credere/non credere-di-credere; una di queste possibilità era credere-di-credere in qualcosa senza credervi davvero. Ok, penso che un esempio renda meglio l'idea: ho trovato un caso in cui mi pare che sia evidente come alcuni credenti credano di credere in qualcosa, ma non vi credano affatto.

Clermont-Ferrand Cathedral

Un atto di eroismo

Qualche tempo fa mi è capitato di leggere la storia del martirio di un santo cristiano, di cui non ricordo il nome. Parlo di un martire dell'antichità, messo a morte da qualche imperatore romano. La storia è più o meno la seguente.

Un imperatore romano decide di perseguitare i cristiani, e soldati arrestano un cristiano. Portato davanti al giudice, al cristiano è proposta una scelta: fare i nomi dei suoi correligionari, abiurare la fede ed essere liberato; oppure essere torturato per un intero giorno e poi essere messo a morte. Il cristiano sceglie di non tradire i propri fratelli né la propria fede: è preso, torturato per un giorno intero e poi ucciso.

Ora, credo che tutti siano concordi con me che il comportamento di quel cristiano sia stato eroico: poteva cavarsela mandando a morte i suoi amici e rinunciando alla propria fede, invece è morto per salvare gli uni e l'altra. Sia chiaro che non ha cercato la morte, l'ha subita: il suo gesto eroico sta nell'aver scelto la propria morte in cambio della vita degli altri e della propria visione di vita.

Eppure c'è qualcosa che non torna: dal punto di vista di quel santo, come dal punto di vista di un credente, quel gesto non è eroico, ma semplicemente l'unica possibile scelta.

Un mondo al contrario

Il mondo di quel santo, infatti, è una sorta di mondo «al contrario».

Per il giudice che lo mise di fronte alla scelta, e per i carnefici che lo torturarono e uccisero la situazione è quella che ho presentato prima: da una parte c'era il tradimento dei compagni e una vita normale per il traditore; dall'altra la tortura e la morte per l'eroe e la vita per i compagni.

Ma per il cristiano la situazione è molto differente. Se denuncia i propri compagni e abiura la propria fede, avrà (nel migliore dei casi):
  • una vita serena fino alla morte naturale;
  • ma dopo di questa, verosimilmente, una punizione eterna inflittagli da Dio.
Se invece non denuncia i propri compagni e conferma la propria fede, avrà:
  • un giorno di torture e poi la morte;
  • ma dopo di queste, certamente, un'eternità di beatitudine.
Se il giudice e i soldati romani possono garantire ciò che promettono all'imputato - la libertà o un giorno di tortura e poi la morte - non può Dio onnipotente garantire ciò che promette a sua volta, la beatitudine o il tormento eterno? Di fronte a queste alternative, che cosa dovrebbe scegliere una persona?

Naturalmente il punto centrale è la fede dell'imputato: anche se dubita dell'esistenza di Dio e dell'aldilà solo al 50%, la sproporzione tra le due possibilità - tortura per un giorno o tortura in eterno - spinge ovviamente verso una sola soluzione, quella di scegliere la tortura e la morte piuttosto che la prospettiva di un tormento eterno. Al contrario di quello che sembrerebbe naturale!

Il coraggio del martire

Allora mi chiedo se le azioni dei "martiri", degli eroi della fede, cioè, possano essere ritenute, appunto, eroiche, simboli di una corrispondenza a standard morali più alti di quelli delle altre persone.

In fin dei conti, l'anonimo santo di cui ho parlato sacrificò alla fine la propria vita, ma altri martiri non esitano a sacrificare quella degli altri, come quelli che si imbottiscono di esplosivo e si fanno saltare in aria dentro una scuola, o quelli che si fanno schiantare su di un grattacielo a bordo di un aereo di linea; anche questi sono "martiri", di una fede differente, ma sempre "martiri".

Sono "coraggiosi", o semplicemente credono davvero in ciò in cui affermano di credere, una vita eterna di beatitudine in cambio della loro morte?

venerdì 20 agosto 2010

La Bibbia e la licenza del software

Per la serie «In cosa crede chi crede?», una battuta di un ignoto umorista:
Per la maggior parte dei cristiani, la Bibbia è come la licenza di un software: nessuno la legge davvero, semplicemente la scorrono fino alla fine e cliccano su "Accetto".

sabato 14 agosto 2010

Contraddizioni evangeliche: battesimo di Gesù

Riprendo la serie di articoli sulle contraddizioni presenti nelle narrazioni evangeliche, con l'ausilio dell'interessante libro Jesus, Interrupted, di Bart Ehrman.

Dopo l'episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio, quello dell'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, dopo un articolo sulle contraddizioni riguardo al giorno della morte di Gesù, uno su quattro contraddizioni o errori nella narrazione della passione di Gesù e, infine, uno sul tradimento e la morte di Giuda, ecco una piccola presentazione delle incongruenze relative al battesimo di Gesù.

Prima di iniziare, fate mente locale alle vostre conoscenze su questo episodio fondamentale: Gesù è battezzato da Giovanni Battista nelle acque del Giordano, quando si sente una voce dal cielo che dice...

Cosa dice la voce dal cielo al battesimo di Gesù?

Come spesso succede, l'episodio è riportato nei vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) ma non nel quarto vangelo, il Vangelo secondo Giovanni, dove Giovanni Battista testimonia la discesa dello Spirito Santo su Gesù. Ci sarebbe da dire qualcosa a riguardo, ma si tratterebbe di una deviazione dalla questione delle contraddizioni. O forse no.