lunedì 19 luglio 2010

Perdita della fede: un evento indesiderabile?

Perdere la fede può essere un evento tormentoso e terribile.

All'improvviso ci rendiamo conto che il nostro mondo va in pezzi, e ci sentiamo impotenti di fronte a questa tragedia. I punti di riferimento della nostra vita, quelli con i quali siamo cresciuti e su cui si basa la nostra visione della vita, su cui regoliamo la nostra bussola morale, con i quali ci difendiamo dal pensiero della morte e della fine, scompaiono all'improvviso, lasciandoci "nudi" di fronte al mondo. Talvolta ci diamo anche la colpa di questa perdita: Dio ha smesso di parlarci, di farsi sentire, perché noi abbiamo smesso di ascoltarlo.

Quando perdiamo la fede, la reazione che abbiamo è tentare con tutte le nostre forze di recuperarla. Possiamo far finta di ignorare questa perdita, cercare conforto e aiuto in altre persone, oppure andare avanti tormentandoci, cercando di porci in atteggiamento "umile", di prostrarci e mortificare la nostra "superbia" che ci impedisce di ascoltare la chiamata di Dio.

Non si tratta di un momento semplice da superare. Alcuni sono sfortunati, e continuano per anni a tormentarsi (accadde anche a Madre Teresa di Calcutta). Alcuni sono fortunati, e dopo poco recuperano la propria fede e la propria serenità. Altri, però, sono ancora più fortunati e lasciano serenamente andare la fede, aprendosi a nuove strade.

Il punto cruciale, infatti, è che siamo "programmati" per credere. Naturalmente "programmati" non va inteso in senso letterale: siamo in grado di non credere, e molti, infatti, non credono; ma il presupporre l'esistenza di qualcosa di superiore, di una entità intelligente e potente che con la propria esistenza dia una spiegazione all'apparente arbitrarietà della natura, è un tratto che abbiamo ereditato geneticamente e culturalmente.

Di fronte a fenomeni inspiegabili o incomprensibili, infatti, vi è la tendenza negli esseri umani ad attribuirli all'opera di entità trascendenti. Dalle divinità ai folletti, dagli spiriti dei defunti ai fantasmi, il folclore di tutto il mondo è pieno di personificazioni che "spiegano" eventi altrimenti inspiegabili: dai fenomeni atmosferici a visioni, dalle pestilenze alle possessioni, esiste tutto un mondo di creature trascendenti che permettono all'essere umano di ottenere risposte tranquillizzanti, di non affrontare a viso aperto l'esistenza di una natura indifferente ai suoi bisogni.

Quando ci rendiamo conto di ciò, quando capiamo quali sono i meccanismi che portano a creare questa sovrastruttura culturale che prende il nome di religione o superstizione o folclore, allora possiamo finalmente capire come liberarci da questo fardello, da queste invenzioni.

Certo, trovarsi senza il conforto del pensiero di un Dio "personale", cioè che si occupi personalmente del nostro destino, è una situazione di ansia. Ma vale la pena anestetizzarci con la fede in cambio di una falsa serenità? Non è meglio affrontare la realtà senza intralci di credenze fasulle?

Solo liberandoci della fede in credenze illusorie possiamo infatti dedicarci alla ricerca di un nostro modo di vivere questa vita, l'unica che abbiamo e dunque un tesoro prezioso.

Perdere la fede può essere un evento tormentoso e terribile. Ma può essere anche l'inizio di una nuova vita.

La foto è «Swallowing the Ruins», di Struck in Custom (licenza: Creative Commons cc-by-nc-sa 2.0).

10 commenti:

  1. è quello che, in forma lieve, mi sta succedendo e di cui parlo nel mio blog.
    http://vitainpillole.wordpress.com/

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  2. Ma infatti io sono convintissimo che le ragioni che da senpre spingono l' umanità alle religioni sono di natura molto più emotiva che non conoscitiva !

    Per questo è inutile sperare di far desistere una persona religiosa dall' essere tale con discorsi di biologia, tecnologia, astrofisica ... ti risponderà : "Che importanza ha il come sono giunto/a in questo mondo ?! ... Voglio capire perché non vi sono mai (pienamente) felice !"

    DAVIDE

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  3. Non commento il post. Solo una precisazione: quello che è accaduto a Madre Teresa di Calcutta non è esattamente la perdita della fede. E' piuttosto un fenomeno molto comune, specialmente fra i Santi mistici, nota come "la notte oscusa dello Spirito" (dal libro omonimo, di S.Giovanni della Croce, un classico) che è tutt'altra cosa dalla perdita della fede. La particolarità della Notte Oscusa di Madre Teresa sta nel fatto che nel suo caso è durata quaranta anni, fino alla morte; mentre in genere è un fenomeno che dura un breve tempo e è preludio di vette ancora maggiori di spiritualità e misticismo che il Santo raggiunte. Nel caso di Madre Teresa abbiamo una strana eccezione, che i teologici si stanno ancora interrogando. Comunque non è la stessa cosa della la perdita della fede: prova ne è il fatto che la santa di calcutta ha continuato imperterrita ad annunciare Cristo, a esercitare la carità nel suo nome etc.. fino alla fine dei suoi giorni. Se avesse davvero perso la fede, credo che non avrebbe potuto essere proclamata Santa.

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  4. Teresa scriveva: «“C’è tanta contraddizione nella mia anima, un profondo anelito a Dio, così profondo da far male; una sofferenza continua, e con ciò il sentimento di non essere voluta da Dio, respinta, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo ... Il cielo non significa niente per me: mi appare un luogo vuoto!”»

    Per me questa è una perdita di fede. Dire che il cielo è vuoto significa che Dio non c'è. Poi il nome usato per mascherare questo fatto non mi interessa. Almeno che tu non possa dimostrare che si trattava di qualcosa di sostanzialmente differente da una perdita di fede.

    «prova ne è il fatto che la santa di calcutta ha continuato imperterrita ad annunciare Cristo, a esercitare la carità nel suo nome etc.. fino alla fine dei suoi giorni.»

    Non sarebbe la prima religiosa a predicare ciò in cui non crede. Un esempio tra tanti: Jean Meslier.

    «Se avesse davvero perso la fede, credo che non avrebbe potuto essere proclamata Santa.»

    Credo che ci sia una spinta non da poco a fare santa Teresa. Considera che il primo miracolo necessario per la beatificazione non era valido secondo gli standard della stessa Chiesa cattolica; considera anche che frequentava gente non proprio raccomandabile.

    Se volessi leggere qualcosa su Teresa che si distacchi dalla letteratura agiografica, c'è La posizione della missionaria di Hitchens.

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  5. Le parole che tu citi di Madre Teresa (a proposito, dove le hai trovate?) sono esattamente quell'esperienza spirituale di cui parlavo: la notte dell'anima. Lei dice non tanto di aver perso la fede (in realta dice di avere un anelito, quindi cerca Dio, ci crede eccome) ma dice anche di sentirsi "rifiutata" da Dio. Sente la sua assenza. E' proprio la notte oscura, esattamente come la descrive S. Giovanni della Croce (ho letto quel libro).

    La prova che questa "assenza" non significa perdita della fede, è attestato dalla Scrittura stessa, oltre che dall'esperienza spirituale di tanti mistici:
    1) Gesù stesso sulla croce citando il salmo 22, "Dio mio Dio mio perchè mi hai abbandonato?" sente anche lui l'abbandono del padre: paradossale; proprio lui, il Figlio di Dio. Siccome Cristo è l'uomo perfetto, dunque sentire l'assenza di Dio non è un peccato, ma anzi esperienze veramente umane che ci possono far crescere.
    2) lo stesso Salmo 22 e anche altri salmi e la scrittura in generale parla spesso dell'assenza di Dio.

    L'esperienza della Notte Oscura è proprio un'altro segno di santità.

    La "spinta" di cui parli polemicamente è in realtà uno dei "parametri" per il processi di canonizzazione: se ci sono tante persone che "chiedono" la santificazione, se ci sono tante conversioni sul suo esempio etc... allora anche questo è sempre stato un "segno" di santità. Anche per Giovanni Paolo II è così. Lo sarà anche J.H.Newmann che sarà beatificato a settembre in Inghilterra: grazie a lui 10.000 persone hanno trovato la fede. Anche questi sono segni. Non vedo argomento di polemica.

    il resto, su Jean Meslier, sono pure illazioni.

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  6. «Lei dice non tanto di aver perso la fede (in realta dice di avere un anelito, quindi cerca Dio, ci crede eccome) ma dice anche di sentirsi "rifiutata" da Dio. Sente la sua assenza.»

    Io distinguo tra "cercare Dio" e "credere in Dio". Chi "cerca Dio" non necessariamente ci crede: spera di crederci, vuole con tutte le proprie forze crederci, ma, come nel caso di Teresa, è possibile che non ci creda.

    Sulla differenza tra credere e credere di credere ho scritto un post, «In cosa crede chi crede?», in cui argomento questa mia posizione più precisamente.

    «La prova che questa "assenza" non significa perdita della fede, è attestato dalla Scrittura stessa, oltre che dall'esperienza spirituale di tanti mistici»

    Scusami, ma come puoi immaginare non condivido con te il fatto che i vangeli narrino eventi realmente accaduti, tanto meno che Gesù fosse il figlio di Dio.

    «La "spinta" di cui parli polemicamente è in realtà uno dei "parametri" per il processi di canonizzazione»

    Mah, credevo che la santità fosse una condizione personale, non una questione di "spinte".

    «il resto, su Jean Meslier, sono pure illazioni.»

    In che senso? Meslier era un sacerdote, che per decenni portò avanti il suo ministero pur essendo ateo, senza che nessuno lo sospettasse.

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  7. Certo che è personale la santità, ma viene misurata, valutata, da altre persone, che devono servirsi di alcuni criteri di testimonianza, segni visibili nella realtà che si viene a creare anche posteriormente alla morte del Santo.

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  8. Scusami, ma come puoi immaginare non condivido con te il fatto che i vangeli narrino eventi realmente accaduti, tanto meno che Gesù fosse il figlio di Dio.

    Per "attestazione" non intendevo "eventi narrati". Ma il loro significato. Stavo parlando di attestazione spirituale, non storica.

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  9. «Per "attestazione" non intendevo "eventi narrati". Ma il loro significato. Stavo parlando di attestazione spirituale, non storica.»

    Non capisco cosa vuoi dire, allora. Hai parlato di Gesù e delle sue parole sulla croce, facendo notare il paradosso del figlio di Dio che chiede a Dio perché lo abbandonato, però poi parli di «esperienze veramente umane». Come puoi farlo se non parli di esperienze realmente vissute da un uomo crocifisso?

    Ma anche ammettendo che Gesù abbia fatto quell'esperienza e abbia detto quelle parole, non è detto che si tratti della stessa esperienza di Teresa. Gesù parla a Dio che non è più al suo fianco, ma non ne mette in dubbio l'esistenza; Teresa dice che il cielo è vuoto per lei, che non significa niente, dunque parla di sparizione di Dio.

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  10. «Certo che è personale la santità, ma viene misurata, valutata, da altre persone, che devono servirsi di alcuni criteri di testimonianza.»

    Certo, ma accettare o meno un miracolo quantomeno "dubbio" indica quanto è importante per le persone che debbono valutare che la valutazione sia positiva... o no?

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