venerdì 17 settembre 2010

Reazioni alla posizione di Hawking sull'origine dell'universo e su Dio: risposta al professor Benvenuti

Il post «Reazioni alla posizione di Hawking sull'origine dell'universo e di Dio» mi ha permesso di iniziare uno scambio di commenti con Fabrizio e col professor Benvenuti. Credo che i commenti a quel post non siano il modo più adatto per mandare avanti il discorso, dati i limiti di dimensione dei commenti di blogspot, dunque approfitto e rispondo al professor Benvenuti in questo post.
«Vorrei interpretare correttamente quanto afferma. Premesso, come ho già detto, che non pretendo di "convertire" nessuno, e che la sto prendendo sul serio, vorrei essere anch'io essere preso sul serio. Lei trova interessantissimo il Prologo di Giovanni: non pensa che l'evangelista scrivendo ciò che ha scritto non fosse ispirato solo poeticamente ma "credesse" fermamente in quello che dice? come lui migliaia di pensatori di altissimo livello (inclusi molti scienziati) hanno elaborato le stesse "credenze". Credo che questo fatto è talmente notevole da essere preso dannatammente sul serio, se non altro come "fenomeno". Se poi non sono preso sul serio, non succede nulla di drammatico, ma mi riesce difficile mantenere una discussione costruttiva.»

Non mi riferivo alla serietà della fede, sua, dell'evangelista o di altri, mi riferivo alla serietà della pretesa che si chieda di credere al trascendente, con tutte le conseguenza che ne discende, senza fornire alcuna prova della sua esistenza. Non era mia intenzione mettere in dubbio la buona fede di nessuno, ma solo la validità dell'appello al trascendente in assenza di valide prove.

«Le stesse identiche considerazioni che evidenziano l'impossibilità di "provare" la trascendenza o l'esistenza di Dio, evidenziano anche l'impossibilità di provarne la non-esistenza, o meglio di provarne l'irrazionalità.»

Concordo con lei sul fatto che sia impossibile provare l'inesistenza di Dio e del trascendente, ma non mi pare un grosso problema: l'onere della prova ricade su chi ne afferma l'esistenza, non su chi la nega. E' chi sostiene l'esistenza di Nessie, per fare un esempio al di fuori della religione, che deve sostenere questo onere, che deve trovare le prove della sua esistenza; in assenza di prove è assolutamente lecito affermarne l'inesistenza (a titolo puramente informativo, la comprensione di questa differenza tra la prova positiva e quella negativa che mi ha fatto passare da una posizione agnostica ad una atea).

«Di fatto, l'atto di fede implica una decisione volontaria personale che pone la propria fiducia in qualcosa o qualcuno. Non sempre questa decisione si basa unicamente su "prove" razionali: pensiamo all'innamoramento tra due persone e la decisione di "fidarsi" l'una dell'altra. Se la decisione si potesse basare su "prove" inconfutabili, non ci sarebbero sorprese (in genere molto dolorose) quando la fiducia viene tradita. Dare fiducia è sempre una sfida, ma non per questo è da considerarsi "irrazionale". Tecnicamente infatti l'atto di fede cristiano è un atto volontario a-razionale, cioè non è basato "solo" su "prove razionali" ma non è neppura irrazionale. Perchè avvenga ci vuole un "incontro" personale: la fulminazione di Saulo sulla via di Damasco è forse l'esempio di incontro più eclatante, ma incontri più discreti, altrettanto efficaci sono possibili per tutti noi, basta fare spazio con pazienza e anche fatica perchè avvengano. E forse anche solo la ricerca o l'attesa e la stessa opposizione all'incontro, sono alla fine un incontro. Solo l'indifferenza e la superficialità lo possono impedire.»

Credo di comprendere quello che dice, ma sono lo stesso disorientato: lei sembra parlare di fede e fiducia in generale, io mi riferisco a quel genere particolare di fede che è esemplificata dalla fede religiosa, e in particolare nella fede nel Cristianesimo.

Mi porta l'esempio della decisione di fidarsi della persona amata, ma proprio il dolore conseguente alla scoperta che la propria fiducia è stata tradita, dolore frequente in questi casi, mi fa intuire che lei intende una sorta di fede "affettiva", uno stato di fiducia. E non credo che sia questo il caso della fede religiosa, dato che lei stesso dice che si tratta di un atto «non è basato "solo" su "prove razionali"»; dunque implica una componente "cognitiva". In altre parole, la fede religiosa non è tanto l'avere fiducia in qualcuno o qualcosa, ma piuttosto la fiducia nel fatto che talune cose siano vere: che Dio esiste, che Dio mi ama, che Dio ha creato l'universo, eccetera, fino alle credenze più elaborate. Ovviamente c'è una componente emotiva nella fede religiosa, ma quello che la rende differente dal semplice "amore per Dio" (per rifarmi al suo esempio dell'amore per un'altra persona) è proprio quel contenuto informativo che la fede religiosa porta con sé e che l'amore non ha.

Come ho detto in qualche altro commento, la parte emotiva della fede è per me del tutto legittima, ma la trovo meno interessante di quella cognitiva, e su quest'ultima vorrei concentrare la mia attenzione. Lei afferma che «l'atto di fede cristiano è un atto volontario a-razionale, cioè non è basato "solo" su "prove razionali" ma non è neppura irrazionale». Qui vorrei riepilogare i termini in gioco. Per "razionale" intendo un atto basato sull'esercizio corretto della ragione; per "a-razionale" un atto che non coinvolga la ragione in alcun modo; per "irrazionale" un atto che sia contrario all'esercizio corretto della ragione. Un esempio del primo tipo è la scelta di acquistare, tra due prodotti altrimenti uguali, del prodotto che costa di meno; un esempio del secondo tipo è la scelta del prodotto che ha il mio colore preferito rispetto a quello che ha un colore che non mi piace; mentre un esempio del terzo tipo sarebbe quello di scegliere il prodotto più costoso (e magari del colore che non mi piace).

A questo punto mi chiedo: l'atto di fede cristiano è un atto razionale, a-razionale o irrazionale? Razionale non può essere: se fosse così sarebbe una conoscenza come le altre, e non avrebbe bisogno di una categoria a parte. Lei afferma che si tratta di un atto a-razionale e che necessita di un "incontro", ma la mia impressione è che alla fine si tratti di una sensibilità personale (l'avere bisogno dell'incontro), e in quanto tale non possa essere portata a sostegno della verità di talune conoscenze.

«Questo è l'atto di fede dello scienziato: qualunque nuovo dato sperimentale scoprirò in futuro, sono certo (ho fede che) sarà inquadrabile in un modello razionale. Qual'è la "prova" di questo atto di fede? eppure io e lei ci crediamo fermamente. Certo, siamo confortati finora dall'esperienza storica, ma "razionalmente" non posso provare che sia necessariamente così. È affasciante chiedersi come mai la struttura logica del nostro pensare coincida con l'intrinseca "razionalità" del Cosmo.»

Naturalmente non posso dimostrare che tutti i fenomeni fisici futuri saranno spiegabili razionalmente, ma, anche grazie alla mia esperienza, posso dire che tra le due ipotesi alternative che ho a mia disposizione e che spiegano ugualmente bene i fatti - che vi sia un modello razionale dell'universo o che esso non vi sia, ma fin'ora tutto sembra adeguarvisi per puro caso - una è estremamente più probabile dell'altra. Similmente, a riguardo dell'esistenza di Dio, io ho due alternative: una che esista e una che non esista; ma nel primo caso devo supporre che questo Dio operi in modo che tutto va esattamente come se non esistesse (nel senso che posso pienamente spiegare i fenomeni attorno a me in accordo con l'ipotesi di inesistenza), e questo rende l'ipotesi-Dio estremamente improbabile.

16 commenti:

  1. Concordo con lei sul fatto che sia impossibile provare l'inesistenza di Dio e del trascendente, ma non mi pare un grosso problema: l'onere della prova ricade su chi ne afferma l'esistenza, non su chi la nega.

    Se capisco bene accetti l'impossibilità di dimostrare l'(in)esistenza di Dio ma allo stesso tempo richiedi ai credenti di dimostrarlo, cioè chiedi qualche cosa che tu stesso hai accettato essere impossibile.
    Ho capito bene?

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  2. Mi spiace intromettermi troppo, visto che questo post è più rivolto a Benvenuti (mi perdoni!), ma quello che hai scritto è così bello che davvero non resisto :)

    Ci sono tre tuoi paragrafi:

    1.Mi porta l'esempio della decisione.....porta con sé e che l'amore non ha.
    2.Come ho detto in qualche...... (e magari del colore che non mi piace).
    3.A questo punto mi chiedo....di talune conoscenze.


    Che sono davvero molto, molto belli. Affrontano i problemi cruciali della fede come l’affettività e la razionalità. Ci sono valanghe di libri che affrontano questi argomenti. Cerco di essere sintentico:

    1. sull’affettività: è vero che fiducia e affettività sono legati. mi pare che confondi l’ affettività con emotività. La fede (almeno quella cristiana) è basata sull’affettività e non su l’emotività (come tu dici).
    E poi la fede non è in “cose vere” ma è in “qualcuno”: è una differenza veramente molto importante.
    L’accettazione di questo qualcuno viene “prima” dell’accettazione di quelle "cose": se non accetto che sono amato per quello che sono, che c’è un qualcuno “prima di me” e che "mi ama così come sono" e che la mi fede è una semplice "risposta a questo Amore", sarà difficile fare progressi nella fede. Non è poi l’ emotività il punto centrale, al contraio è affettvità. La fede nelle “cose” (la lista di dogmi per intenderci) è conseguente e non precedente alla fede in “qualcuno”: credo nelle "cose" perchè mi sento amato da qualcuno, e non che mi convinco di essere amato perchè decido di accettare passivamente una lista di “cose”.

    2. sulla domanda: l'atto di fede cristiano è un atto razionale, a-razionale o irrazionale?

    la risposta è a-razionale, nel senso che ha spiegato Benvenuti.

    Attenzione però a non confondere “atto di fede” con “vita di fede” perchè cose molto diverse in relazione alla ragione.

    L’atto di fede è quell’atto diciamo “primordiale”, “ontologico” che è “a monte” della mia fede e che un dato momento “faccio” come atto libero di assenso: se infatti fosse razionale non sarebbe libero perchè chi non lo compie non sarebbe razionale; se fosse irrazionale sarebbe un atto folle e allo stesso modo costui sarebbe persona poco credibile. Se anche stabilissimo un qualunque criterio per misurare la razionalità o l’irrazionalità di questo atto ne deriverebbe sempre e comunque che non sarebbe più un atto libero: in un caso sarebbe un gesto “obbligatorio” nell’altro un gesto “folle”. Poichè deve essere un atto di pura libertà, ecco quindi che è a-razionale: la a-razionalità è quindi strettamente collegata e anzi necessaria per essere un "atto di libertà” e “mettere al sicuro” sia chi lo compie, sia chi non lo compie: grazie a ciò sia gli "stupidi che gli intelligenti" (sto semplificando!) possono tanto credere che non credere: a tutela della loro integrità, umanità, libertà assoluta.

    Per questo l'atto del credere (o del non credere) è l'atto più libero che ci sia: l'atto libero per eccellezza.

    Se così non fosse avremmo tutto il diritto in base a qualche criterio “obbligare alla fede” in un caso o “vietare la fede” nell’altro.

    Poi però in un secondo momento entra in gioco la “vita di fede” ossia tutte le conseguenze derivanti dal mio credere: le mie esperienze, le mie preghiere, le mie meditazioni, la mia crescita, la mia ascesi, etc.... in tutto questo processo entra in gioco la ragione: quindi la “vita di fede” ossia il “vivere la fede” contempla anche la razionalità (ma non solo quella): ma questo avviene una volta che si è “fatto” l’atto del credere, ossia l’atto di fede, l'assenso.

    Conclusione:
    l’atto di fede (“a monte”) è a-razionale.
    La vita di fede è invece razionale (ma non razionalista).

    Hai mai letto Fides et Ratio?

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  3. Fab, penso che dimostrare l’inesistenza di qualcosa sia impossibile perché è una ricerca che non ha fine. Infatti, se la cosa non esiste non la si potrà mai trovare, e quindi non si potrà mai smettere di cercarla. Buon senso dice che, quando il numero dei tentativi tende all’infinito, l’ipotesi giusta, anche se non dimostrata, sia la più frequente (in questo caso al cento per cento): la non esistenza.
    D’altro lato, dimostrare l’esistenza di qualcosa è una ricerca che potrebbe anche essere lunghissima, ma mai infinita. Questa ricerca, per definizione, deve necessariamente terminare con il ritrovamento del qualcosa in oggetto, risultando innegabilmente non-infinita e quindi possibile.
    Nel caso di Dio, vista la sua natura particolare, possiamo dire “presumibilmente” impossibile, aspettando futuri nuovi indizi: se Dio decidesse di rimandare il proprio figlio sulla Terra la ricerca avrebbe fine e l’esistenza sarebbe dimostrata.

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  4. Caro Censore, grazie per aver dato maggiore visibilità a questa interessante discussione “a tre” … aggiungo (in più rate di dimensioni accettabili!) qualche precisazione e ulteriori commenti.
    « Non era mia intenzione mettere in dubbio la buona fede di nessuno, ma solo la validità dell'appello al trascendente in assenza di valide prove.»
    Vorrei approfondire, anche dal punto di vista puramente scientifico, cosa intendiamo, in questa discussione, per trascendenza o metafisica. Operativamente credo stiamo riferendoci a ciò che non può essere “misurato” nel senso del metodo scientifico moderno, non posso cioè confrontare una entità metafisica con una opportunamente definita “unità di misura”. Detto in altri termini, non posso costruire degli esperimenti scientifici metafisici ripetibili i cui risultati possano essere confrontati con un modello logico–astratto degli stessi per verificarne l’attendibilità (del modello). È questa l’opinione del nostro amico Hawking (e in questo caso sono d’accordo con lui) di cui è apparso in rete l’articolo scientifico su cui si basa il suo libro divulgativo “The Grand Design”. L’articolo, per chi ne avesse vaghezza, si trova cercando co Google arXiv:1009.2525v1 [hep-th]. Nel sommario Hawking dice: “In the usual account of eternal inflation the universe is supposed to be a de Sitter background in which pocket universes nucleate at a steady rate. However this is metaphysics because there is no way this mosaic structure can be observed.” Traduco come meglio posso: “Nella usuale accezione di una inflazione eterna, si assume che l’universo sia costituito da un universo “di fondo” di de Sitter [un particolare modello di universo] nel quale emergono universi-bolle con un ritmo costante. Ma questa è metafisica, perché non c’è modo di poter osservare una tale struttura a mosaico”. Lasciando in pace Hawking e i «pocket universes», se lei è pure d’accordo con questa definizione di metafisica o trascendenza, le chiedo: l’essenza di ciò che è misurabile, per esempio un elettrone, è trascendente oppure no? Il fisico sa misurare e quindi predire il comportamento di un elettrone nelle più svariate condizioni, per farlo utilizza i “modelli” astratti e logicamente incompatibili di particella o di onda (a seconda dell’esperimento), ma di fronte alla domanda di cosa sia “in realtà” un elettrone, non sa rispondere. Lei potrebbe obiettare: non sa rispondere per il momento, ma chissà, domani nuovi progressi della fisica e della tecnologia… invece proprio la fisica e matematica moderne, con il principio di indeterminazione di Heisenberg e con il teorema di incompletezza di Gödel, hanno distrutto per sempre, con inoppugnabili dimostrazioni razionali e dati scientifici, la “fede” (!!) nella possibilità di compiere sempre misure con accuratezza grande a piacere. Dobbiamo per questo abbandonare di fare scienza? No di certo! Ma lo facciamo sapendo che il progresso avverrà sempre limitatamente alla conoscenza dei “fenomeni” mentre l’essenza ultima del mondo fisico rimarrà sempre elusiva (trascendente?). Come vede, sin qui solo fisica e i suoi limiti che, comunque hanno l’immenso merito, forse non ancora riconosciuto da tutti, di rimettere in discussione filosoficamente e scientificamente ciò che intendiamo con il termine metafisica e trascendenza.
    (...continua...)

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  5. ...
    Mi segua ora in un ragionamento vagamente analogico con quanto detto sinora. L’amore incondizionato è un fenomeno sperimentabile? Direi di si. È misurabile quantitativamente (in senso scientifico)? Direi di no. È reale? Direi di si. È dimostrabile razionalmente (cioè, dati certi presupposti, “necessariamente” ne consegue l’amore)? Direi di no (è un atto che implica la volontà libera). È trascendente? …. Io direi proprio di si, lei potrà dire di no, ma allora mi dovrebbe dare lei una definizione soddisfacente di amore. Un “sentimento”? ma cos’è un sentimento? Io credo che la grandezza del messaggio portato sulla terra dal Logos incarnato, Gesù Cristo, sia quella di trasformare quello che poteva sembrare erroneamente un “sentimento’ (fallimentare di fronte alla potenza del mondo), nella chiave trascendente (!) che ci permette di entrare nel Regno (vedi ancora il Prologo), cioè in contatto già da ora e per sempre con l’Essere trascendente in assoluto. I seguaci di Gesù, che lo avevano incontrato (senza cercarlo) nello spazio-tempo (in Palestina 2000 anni fa), lo ascoltavano volentieri perché parlava con autorevolezza (non come un libro stampato, diremmo oggi) e gli avevano dato (temporaneamente) fiducia. Dopo la tragedia della Croce, avrebbero potuto abbandonare tutto e tornare a considerare come prima l’amore un sentimento fallimentare (e pericoloso!), Invece la loro “fiducia” si trasforma in “fede” nel Cristo Risorto. Come mai questo avviene? L’unica spiegazione possibile è che il rapporto di amore intenso che Gesù aveva generato attorno a sé è talmente forte da far sentire la sua presenza oltre il limite della morte fisica. Le apparizioni del Cristo Risorto ai discepoli sono assolutamente reali, ma comprensibili solo nella realtà trascendente (…il mio Regno non è di questo mondo…). Per questo l’”incontro” di cui parlavo ieri può avvenire anche oggi e per tutti, perché è uscito dallo spazio-tempo dei fenomeni ed è “entrato” nella trascendenza, nella realtà a-temporale. Il greco (e l’ebraico) hanno due termini distinti per definire il “tempo’, una ricchezza di significati persa dal latino e dalle lingue derivate: il Kronos era il tempo cronologico, fisico, mentre il Kayros era il tempo propizio, l’evento che permane reale anche oltre l’istante presente. Quando Gesù comincia a predicare e dice “i tempi sono maturi e il Regno è vicino”, usa il termine kayros (“eth” in ebraico). La sua morte e resurrezione sono eventi kayrologici e non cronologici. L’incontro di Saulo-Paolo con Cristo è “reale”, ma avviene nella trascendenza e nel kayros. Dopo quell’incontro, Paolo definisce in maniera sublime e profonda la natura dell’Amore (I Cor., 13). In conclusione, lei mi chiedeva una “prova” della trascendenza: non gliela posso dare nel senso comune del termine “prova”, ma le propongo di considerare l’Amore come l’essenza della trascendenza.
    (...continua...)

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  6. ...
    Penso che rimarremo sulle nostre posizioni, ma sarà interessante allora, in una prossima puntata, vedere se e come sia possibile accordarci su decisioni etiche condivise. Spero convenga che l’etica non può essere definita dalla scienza (questo sì è facilmente dimostrabile). Spero convenga anche che le decisioni etiche non possono essere prese “a maggioranza” (anche questa affermazione è facilmente dimostrabile, a meno di non considerare l’etica un valore relativo e mutevole). Lei sa che l’accettazione del messaggio cristiano significa amare il prossimo come se stessi. È possibile oggi, mantenendo saldi i principi della democrazia, arrivare alla condivisione di principi etici tra cristiani, religiosi non-cristiani ed atei-agnostici? (non uso la parola”laico” perché non so più cosa significhi).
    È stato il tema di un interessante dibattito tra l’allora Card. Ratzinger e il filosofo tedesco Jürgen Habermas: questa è forse la questione più attuale e cruciale del momento…
    Un cordiale saluto,
    Piero Benvenuti
    P.S. Stavo per aggiungere un commento sull’atto di fede come atto a-razionale, ma Fabio mi ha preceduto spiegando ciò che avrei detto molto meglio di quanto avrei fatto io. Aggiungo solo che la definizione l’ho sentita per la prima volta da George Coyne, teologo d’avanguardia e cosmologo, già Direttore della Specola Vaticana. Le sue posizioni teologiche gli hanno dato qualche problema in passato, ma ora fortunatamente è stato giustamente rivalutato (bastava capire veramente quello che diceva…).
    Fine (per oggi)

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  7. «Se capisco bene accetti l'impossibilità di dimostrare l'(in)esistenza di Dio ma allo stesso tempo richiedi ai credenti di dimostrarlo, cioè chiedi qualche cosa che tu stesso hai accettato essere impossibile. Ho capito bene?»

    Sì, hai capito bene. Ti faccio però notare che, a differenza dei credenti, io sostengo che Dio non esiste, e dunque assumo una posizione coerente con le conseguenze di cui sopra (ti rimando al commento di Salazar per una spiegazione esplicita della necessità di questa posizione a partire dalle ipotesi da noi concordate sulla non dimostrabilità degli assunti «Dio esiste» e «Dio non esiste»).

    «mi pare che confondi l’ affettività con emotività. La fede (almeno quella cristiana) è basata sull’affettività e non su l’emotività (come tu dici).»

    Non capisco quello che vuoi dire, puoi spiegarmi meglio?

    «se non accetto che sono amato per quello che sono, che c’è un qualcuno “prima di me” e che "mi ama così come sono" e che la mi fede è una semplice "risposta a questo Amore", sarà difficile fare progressi nella fede.»

    Esatto. Solo che per poter far ciò devi sapere di essere amato e sapere dell'esistenza di quel qualcuno, dunque la tua fede ha una forte componente cognitiva oltre che affettiva.

    «credo nelle "cose" perchè mi sento amato da qualcuno, e non che mi convinco di essere amato perchè decido di accettare passivamente una lista di “cose”.»

    Ma potresti sentire qualcosa di sbagliato o inesistente, giusto? Invece con la fede tu sai qualcosa che prima non sapevi. Questo con l'amore per una donna, per esempio, non avviene: io e te possiamo conoscere una ragazza in un locale, ma se alla fine dell'incontro tu ne fossi innamorato non ne sapresti nulla di più di quanto ne so io; viceversa per avere fede tu devi sapere cose (che Dio esiste, che Dio ti ama, eccetera) che io non so. Spero di essermi spiegato meglio.

    «sulla domanda [...] atto libero di assenso: se infatti fosse razionale non sarebbe libero perchè chi non lo compie non sarebbe razionale [...] Poichè deve essere un atto di pura libertà, ecco quindi che è a-razionale: la a-razionalità è quindi strettamente collegata e anzi necessaria per essere un "atto di libertà” [...].»

    Questa questione è ampia, perciò permettimi di focalizzarmi su di un punto solo. Ammesso e non concesso che esista il libero arbitrio, le scelte che ne derivano possono essere di tutti i tipi: razionali, a-razionali e irrazionali (rivedi gli esempi nel post); il fatto che una scelta sia libera non impone alcun vincolo sulla sua relazione con la razionalità.

    «Per questo l'atto del credere (o del non credere) è l'atto più libero che ci sia: l'atto libero per eccellezza.»

    Ma puoi credere anche contro la ragione, e tu hai detto che un atto di fede non può essere irrazionale...

    «Hai mai letto Fides et Ratio?»

    No, ma grazie per il suggerimento.

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  8. @Benvenuti

    Credo di poter riassumere il suo primo commento alla sua domanda:

    «l’essenza di ciò che è misurabile, per esempio un elettrone, è trascendente oppure no?»

    Mi permetta di risponderle con un'altra domanda: è davvero lecito chiedersi cosa sia l'"essenza" dell'elettrone, intesa come qualcosa di distinto dalle sue interazioni con tutto il resto? Infatti credo che questa domanda porti con sé, implicita, l'affermazione dell'esistenza di un "qualcosa" che caratterizzi essenzialmente un elettrone al di là della sua massa, della sua energia, della sua carica, eccetera; io vorrei mettere in dubbio questo postulato.

    Comunque credo di aver compreso il senso della sua domanda al di là dell'esempio pratico: lei mi chiede se l'esistenza di limiti di misurabilità implichi che ciò che non possiamo misurare scivoli nel campo della metafisica. Se questa fosse la sua domanda, la mia risposta sarebbe positiva: se qualcosa esiste ma non lo posso misurare in alcun modo, posso razionalmente assumere di ignorarlo, come credo faccia Hawking nel caso dell'universo di fondo di de Sitter.

    «L’amore incondizionato è un fenomeno sperimentabile? Direi di si. È misurabile quantitativamente (in senso scientifico)? Direi di no. È reale? Direi di si. È dimostrabile razionalmente (cioè, dati certi presupposti, “necessariamente” ne consegue l’amore)? Direi di no (è un atto che implica la volontà libera). È trascendente? …. Io direi proprio di si, lei potrà dire di no, ma allora mi dovrebbe dare lei una definizione soddisfacente di amore.»

    Fatti salvi alcuni dubbi sul qualificativo "incondizionato", credo di non poter concordare con quanto afferma lei. Concordo con lei che l'amore "esista" ed sia "reale", ma credo che sia misurabile e "causale" (nel senso che discende necessariamente da determinati presupposti). Si tratta infatti di un particolare stato delle nostre menti (dove con "mente" definisco le attività cerebrali al livello più alto): è dunque reale, misurabile e causale come qualunque altro stato mentale.

    «Io credo che la grandezza del messaggio portato sulla terra dal Logos incarnato [...] l’Amore come l’essenza della trascendenza.»

    Non è mia intenzione mettere in dubbio ciò che crede, dato che si tratta di una sua scelta legittima e personale, ma mi permetta alcuni appunti.

    Se non ho capito male, lei dice che l'"amore incondizionato" non sia un "sentimento"; credo che questa affermazione necessiti di un'argomentazione più articolata, dato che comunemente per "amore" si intenda proprio un sentimento.

    Riguardo alla spiegazione della nascita della fede dei discepoli, mi pare che lei scarti l'ipotesi che, di fronte alla morte del loro capo, i seguaci di Gesù abbiano fatto come tanti altri seguaci cui viene a mancare il capo: hanno elaborato un pensiero, magari una reinterpretazione dei suoi insegnamenti, che permettesse loro di non riconoscere il fallimento della loro visione (vi sono altri esempi di questo fenomeno; uno per tutti, l'Imam nascosto degli Sciiti). A me questo genere di spiegazioni sembra più accettabile che il ricorso a fenomeni come le reali apparizioni di Gesù risorto ai suoi discepoli (per quanto riguarda l'interpretazione dell'annuncio del Regno, non ho spazio sufficiente, ma posso rimandarla, se vuole, alle interpretazioni escatologiche del messaggio di Gesù elaborate dalla critica biblica moderna).

    Riguardo, infine, l'interpretazione dell'Amore come essenza della trascendenza, ecco, qui mi perdo e diventano evidenti le mie lacune in filosofia: dal suo discorso sull'elettrone mi era sembrato di capire che la trascendenza fosse un (possibile) attributo dell'essenza; ora invece scopro che la trascendenza può avere un'essenza... Mi scusi, ma mi gira la testa :-)

    (continua)

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  9. (continua)

    «Penso che rimarremo sulle nostre posizioni, ma sarà interessante allora, in una prossima puntata, vedere se e come sia possibile accordarci su decisioni etiche condivise. Spero convenga che l’etica non può essere definita dalla scienza (questo sì è facilmente dimostrabile). Spero convenga anche che le decisioni etiche non possono essere prese “a maggioranza” (anche questa affermazione è facilmente dimostrabile, a meno di non considerare l’etica un valore relativo e mutevole).»

    Concordo con entrambe le sue affermazioni e concordo che l'etica sia un argomento molto interessante. Una delle conseguenze del mio recente ateismo è stata la necessità di elaborare un'etica; sono appena all'inizio del cammino, per ora sto ristudiando il pensiero filosofico occidentale.

    «Lei sa che l’accettazione del messaggio cristiano significa amare il prossimo come se stessi. È possibile oggi, mantenendo saldi i principi della democrazia, arrivare alla condivisione di principi etici tra cristiani, religiosi non-cristiani ed atei-agnostici? (non uso la parola”laico” perché non so più cosa significhi).»

    La mia impressione è che la risposta sia positiva, dato che la condizione condivisa di esseri umani ci fornisce molto materiale in comune.

    Sono meno ottimista riguardo la possibilità che questi principi etici comuni siano sufficientemente ampi da mettere in secondo piano le differenze (del resto già gli atei, da questo punto di vista, sono un calderone di punti di vista differenti). Ho infatti l'impressione che buona parte dei principi etici delle religioni rivelate si basino, appunto, sulla rivelazione, e che dunque vi sia poco margine di manovra.

    «Stavo per aggiungere un commento sull’atto di fede come atto a-razionale, ma Fabio mi ha preceduto spiegando ciò che avrei detto molto meglio di quanto avrei fatto io. Aggiungo solo che la definizione l’ho sentita per la prima volta da George Coyne, teologo d’avanguardia e cosmologo, già Direttore della Specola Vaticana. Le sue posizioni teologiche gli hanno dato qualche problema in passato, ma ora fortunatamente è stato giustamente rivalutato (bastava capire veramente quello che diceva…).»

    Per la mia obiezione a questa posizione la rimando alla mia risposta più completa a Fabrizio, ma in parole povere, la scelta a-razionale dell'atto di fede non mi pare un fondamento solido (né, oserei dire, valido) per l'aspetto cognitivo che esso comporta.

    La ringrazio e la saluto

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  10. ...per l'aspetto cognitivo che esso comporta.

    hai usato la parola cognitivo molte volte e in molti contesti, in contrapposizione ad altri termini: non ho proprio capito cosa intendi con questa espressione e in quei contesti.

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  11. @IlCensore (18 settembre 2010 14:34)

    Non capisco quello che vuoi dire, puoi spiegarmi meglio?

    E’ un discorso lungo e a questa ora sono un po’ stanco: mi prometto di ritornarci. Tu intanto vedi la definizione di queste due parole sul vocabolario e dimmi se questa differenza ti ispira qualche cosa.

    una forte componente cognitiva oltre che affettiva.

    cosa vuol dire componente cognitiva? e cosa c'entra con questo contesto?

    Ma puoi credere anche contro la ragione

    perchè? non credo a una fede contro la ragione, cioè irrazionale. La fede può essere sempre e solo in accordo con la ragione, cioè razionale. E’ l’atto di fede a essere a-razionale. Per “atto libero” intendiamo un atto che in ultima analisi non dipende da altri fattori, ma appunto dalla sola libertà: direi che é arazionale per definzione.

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  12. Errata:
    «posso rimandarla, se vuole, alle interpretazioni escatologiche del messaggio di Gesù elaborate dalla critica biblica moderna»

    Corrige:

    «posso rimandarla, se vuole, alle interpretazioni apocalittiche del messaggio di Gesù elaborate dalla critica biblica moderna»

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  13. «hai usato la parola cognitivo molte volte e in molti contesti, in contrapposizione ad altri termini: non ho proprio capito cosa intendi con questa espressione e in quei contesti.»

    Mi cito: «la fede religiosa non è tanto l'avere fiducia in qualcuno o qualcosa, ma piuttosto la fiducia nel fatto che talune cose siano vere: che Dio esiste, che Dio mi ama, che Dio ha creato l'universo, eccetera, fino alle credenze più elaborate. Ovviamente c'è una componente emotiva nella fede religiosa, ma quello che la rende differente dal semplice "amore per Dio" (per rifarmi al suo esempio dell'amore per un'altra persona) è proprio quel contenuto informativo che la fede religiosa porta con sé e che l'amore non ha. [...] con la fede tu sai qualcosa che prima non sapevi. Questo con l'amore per una donna, per esempio, non avviene: io e te possiamo conoscere una ragazza in un locale, ma se alla fine dell'incontro tu ne fossi innamorato non ne sapresti nulla di più di quanto ne so io; viceversa per avere fede tu devi sapere cose (che Dio esiste, che Dio ti ama, eccetera) che io non so»

    «non credo a una fede contro la ragione, cioè irrazionale.»

    Ho capito, ma sto dicendo che puoi farlo, che non c'è nulla che ti impedisca di farlo, non che lo fai.

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  14. @IlCensore (19 settembre 2010 11:43)

    Naturalmente avevo già letto quel passaggio e cercato di interpretarlo, ma il fatto che lo hai solo ricopiato non mi aiuta a capire di più.
    Grazie comunque.

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  15. Sei sicuro che la sua proposta non sia quella di abbandonare la teoria dell'evoluzione?

    Cito direttamente dalla prefazione di Martino al libro della Alberoni pagine III,IV,V senza commentare:

    Già PIO XII Humani Generis aveva detto che la verità dell'ipotesi evoluzionistica è una questione scientifica e solo tale. Su ciò, quindi, si pronuncia la scienza e solo essa. Che su tale ipotesi abbiano invece allignato filosofie materialistiche sembra non esserci dubbio. Che a tali filosofie abbia dati il proprio assenso lo stesso Darwin, neppure. Sicchè la storia del darwinismo, termine che solitamente designa l'ideologia che è stata costruita su una ipotesi scientifica, comincia don Darwin stesso. [...] Pio XII afferma infatti che quanto al corpo, ossia al suo aspetto materiale, l'uomo può anche essere frutto di una evoluzione frutto della creazione, ma la dignità del'uomo ha alla fine un'origine trascendente e consiste nell'anima umana dataci direttamente da Dio,[...]
    Ai tempi di Darwin, tempi fortemente ideologizzati e ricchi di messianismi laici che volevano salvare l'uomo cancellando Dio dal suo cuore, la scienza spesso era condotta dagli scienziati oltre i suoi [della scienza, Ndr] ambiti specifici. Il materialismo e l'ateismo non sono terreno proprio della scienza, a meno che essa non vi sia portata a forza e quindi contro la sua natura. [...]
    Ai nostri giorni questi tentativi [ideologici, Ndr] sono alimentati soprattutto da una molla ideologica nichilista, che nella cieca casualità e nell'indifferenza trova l'alibi per un disimpegno verso la verità e il bene. E' qui che le dispute epistemiologiche rivelano anche una loro preoccupante dimensione sociale e politica. Se l'uomo perde l'idea di un sapere gerarchizzato con la possibilità che la scienza collabori con gli altri ambiti come la metafisica o la teologa e pretenda invece di espurgergli o per sostituirsi o per avere attorno a sé il vuoto, allora anche la vita sociale e politica ne subisce un contraccolpo negativo.

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  16. «Naturalmente avevo già letto quel passaggio e cercato di interpretarlo, ma il fatto che lo hai solo ricopiato non mi aiuta a capire di più.»

    Che differenza c'è tra l'amore per una donna e l'amore per Dio?

    Una donna la conosci, in qualche modo, poi te ne innamori: se non la conosci non puoi innamorartene. In questo senso l'amore per una donna è un atto affettivo.

    Nel caso di Dio, invece, tu senti "col cuore" di essere amato, senti che "Dio esiste" e "Dio ti ama" e credi in/ami Dio. In questo caso l'atto di amore per Dio porta con sé, oltre all'aspetto affettivo, quello cognitivo: tu vieni a conoscere l'esistenza di Dio, il suo amore per te, eccetera, attraverso l'atto di "innamoramento".

    Se non mi sono spiegato neppure stavolta, ti prego di dirmi quali parti non sono chiare.

    «Cito direttamente dalla prefazione di Martino al libro della Alberoni pagine III,IV,V senza commentare:»

    Grazie per la precisazione. Peccato che quando parla a pochi parli differentemente da quando parla a molti.

    «Ai nostri giorni questi tentativi [ideologici, Ndr] sono alimentati soprattutto da una molla ideologica nichilista, che nella cieca casualità e nell'indifferenza trova l'alibi per un disimpegno verso la verità e il bene.»

    Mi piacerebbe capire di cosa sta parlando...

    «la scienza collabori con gli altri ambiti come la metafisica o la teologa e pretenda invece di espurgergli o per sostituirsi o per avere attorno a sé il vuoto, allora anche la vita sociale e politica ne subisce un contraccolpo negativo.»

    Che subisca un contraccolpo posso essere anche d'accordo, che sia negativo ne dubito.

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