La scorsa estate lessi una storia toccante e, per me, densa di significato. Riguardava una coppia inglese, marito e moglie. Lui, Edward Downes, famoso direttore d'orchestra, era arrivato ad 85 anni di età, ma negli ultimi anni era divenuto quasi cieco e sordo, e faceva sempre più affidamento sull'assistenza della moglie. Lei, Joan Downes, 74 anni, una carriera da ballerina classica e coreografa, era restata affianco al marito per una vita, ma le era stato diagnosticato un cancro incurabile al fegato e al pancreas. Joan non voleva morire lottando contro il cancro, Edward non intendeva sopravvivere alla moglie. Volevano morire insieme, come insieme avevano vissuto per 54 anni di matrimonio, con dignità.
Edward e Joan Downes si sono recati in Svizzera dove, in una clinica specializzata, hanno bevuto una dose letale di sedativi e sono morti serenamente mano nella mano.
In una lettera indirizzata ai figli, Joan ha spiegato che non temeva la morte, che non avendo nessun credo religioso vedeva la morte semplicemente come una fine, come un interruttore che si spegne; aggiungeva inoltre di aver vissuto una vita felice e interessante.
Quello che io vedo in questo gesto sono due persone che hanno dei principi morali solidi e rispettabili, che nel pieno delle loro facoltà mentali scelgono il modo per loro migliore di porre fine alla propria vita, insieme e con dignità.
Io credo che scelte come queste, condivisibili o meno, vadano rispettate e accettate; non comprendo come una scelta come questa possa essere proibita in quanto ritenuta immorale. Eppure in Italia, e in molti altri paesi, il suicidio assistito è considerato un reato, e coloro che lo favoriscono sono considerati istigatori e puniti dalla legge.
La ragione di ciò è l'esistenza di una morale secondo la quale un essere umano non dispone totalmente della propria vita, e i cui effetti si vedono, appunto, nell'illegalità del suicidio assistito e dell'eutanasia, nell'impossibilità di rilasciare un testamento biologico vincolante per i medici, e in un ostracismo strisciante all'aborto.
Ma, mi chiedo, questa giurisprudenza corrisponde alla volontà del popolo italiano, o non sarà ancora una volta il risultato di pressioni "esterne" sulla classe politica italiana? Non sarà come nel caso del divorzio e dell'aborto, in cui il popolo ha concesso ai singoli il diritto di decidere per sé stessi,rovesciando il giudizio della sua classe politica? Io credo di si.
Direi che è giunto il momento di parlare di queste cose, in particolare per rovesciare l'impressione che tutti siano d'accordo con l'atteggiamento oscurantista e vessatorio di una classe politica che considera carta straccia le volontà di una persona. Direi che è giunto il momento, in questo come in altri casi, di rivendicare la dignità di cittadini e persone.
Questo scritto deve molto all'articolo di Ebonmuse intitolato "Dignity in Dying: An Atheist's View". Segnalo anche l'articolo "Italiani che emigrano in Svizzera. Per un suicidio assistito" dal blog di Panorama. L'immagine raffigura Edward e Joan Dowens nel 1991, ed è copyright dell'Evening Standard.
Edward e Joan Downes si sono recati in Svizzera dove, in una clinica specializzata, hanno bevuto una dose letale di sedativi e sono morti serenamente mano nella mano.
In una lettera indirizzata ai figli, Joan ha spiegato che non temeva la morte, che non avendo nessun credo religioso vedeva la morte semplicemente come una fine, come un interruttore che si spegne; aggiungeva inoltre di aver vissuto una vita felice e interessante.
Quello che io vedo in questo gesto sono due persone che hanno dei principi morali solidi e rispettabili, che nel pieno delle loro facoltà mentali scelgono il modo per loro migliore di porre fine alla propria vita, insieme e con dignità.
Io credo che scelte come queste, condivisibili o meno, vadano rispettate e accettate; non comprendo come una scelta come questa possa essere proibita in quanto ritenuta immorale. Eppure in Italia, e in molti altri paesi, il suicidio assistito è considerato un reato, e coloro che lo favoriscono sono considerati istigatori e puniti dalla legge.
La ragione di ciò è l'esistenza di una morale secondo la quale un essere umano non dispone totalmente della propria vita, e i cui effetti si vedono, appunto, nell'illegalità del suicidio assistito e dell'eutanasia, nell'impossibilità di rilasciare un testamento biologico vincolante per i medici, e in un ostracismo strisciante all'aborto.
Ma, mi chiedo, questa giurisprudenza corrisponde alla volontà del popolo italiano, o non sarà ancora una volta il risultato di pressioni "esterne" sulla classe politica italiana? Non sarà come nel caso del divorzio e dell'aborto, in cui il popolo ha concesso ai singoli il diritto di decidere per sé stessi,rovesciando il giudizio della sua classe politica? Io credo di si.
Direi che è giunto il momento di parlare di queste cose, in particolare per rovesciare l'impressione che tutti siano d'accordo con l'atteggiamento oscurantista e vessatorio di una classe politica che considera carta straccia le volontà di una persona. Direi che è giunto il momento, in questo come in altri casi, di rivendicare la dignità di cittadini e persone.
Questo scritto deve molto all'articolo di Ebonmuse intitolato "Dignity in Dying: An Atheist's View". Segnalo anche l'articolo "Italiani che emigrano in Svizzera. Per un suicidio assistito" dal blog di Panorama. L'immagine raffigura Edward e Joan Dowens nel 1991, ed è copyright dell'Evening Standard.
Aggiunta. Casualità ha voluto che poco dopo aver pubblicato il mio articolo, abbia letto quest'altro articolo di laRepubblica.it: "Ha aiutato la figlia malata a morire, assolta. Sentenza che fa discutere in Inghilterra". Nella stessa Gran Bretagna in cui ci si è interrogati sul suicidio assistito di Edward e Joan Downes, un'ex-infermiera è stata assolta dall'accusa di omicidio per aver aiutato la figlia, malata da 17 anni di una malattia incurabile, a togliersi la vita. Quello che mi ha colpito è che, dopo la sentenza, il giudice abbia rimproverato il pubblico ministero dicendo che la donna non doveva essere processata. Sono fiducioso del fatto che ci si muova nella direzione giusta; è venuto il tempo di alzare la testa anche qui in Italia.