domenica 22 agosto 2010

In cosa crede chi crede? Il coraggio del martire

Già in un altro post, intitolato «In cosa crede chi crede?», mi sono interrogato sul significato intimo del credere da parte di un fedele. Elencavo quattro possibili combinazioni del credere/non credere e del credere-di-credere/non credere-di-credere; una di queste possibilità era credere-di-credere in qualcosa senza credervi davvero. Ok, penso che un esempio renda meglio l'idea: ho trovato un caso in cui mi pare che sia evidente come alcuni credenti credano di credere in qualcosa, ma non vi credano affatto.

Clermont-Ferrand Cathedral

Un atto di eroismo

Qualche tempo fa mi è capitato di leggere la storia del martirio di un santo cristiano, di cui non ricordo il nome. Parlo di un martire dell'antichità, messo a morte da qualche imperatore romano. La storia è più o meno la seguente.

Un imperatore romano decide di perseguitare i cristiani, e soldati arrestano un cristiano. Portato davanti al giudice, al cristiano è proposta una scelta: fare i nomi dei suoi correligionari, abiurare la fede ed essere liberato; oppure essere torturato per un intero giorno e poi essere messo a morte. Il cristiano sceglie di non tradire i propri fratelli né la propria fede: è preso, torturato per un giorno intero e poi ucciso.

Ora, credo che tutti siano concordi con me che il comportamento di quel cristiano sia stato eroico: poteva cavarsela mandando a morte i suoi amici e rinunciando alla propria fede, invece è morto per salvare gli uni e l'altra. Sia chiaro che non ha cercato la morte, l'ha subita: il suo gesto eroico sta nell'aver scelto la propria morte in cambio della vita degli altri e della propria visione di vita.

Eppure c'è qualcosa che non torna: dal punto di vista di quel santo, come dal punto di vista di un credente, quel gesto non è eroico, ma semplicemente l'unica possibile scelta.

Un mondo al contrario

Il mondo di quel santo, infatti, è una sorta di mondo «al contrario».

Per il giudice che lo mise di fronte alla scelta, e per i carnefici che lo torturarono e uccisero la situazione è quella che ho presentato prima: da una parte c'era il tradimento dei compagni e una vita normale per il traditore; dall'altra la tortura e la morte per l'eroe e la vita per i compagni.

Ma per il cristiano la situazione è molto differente. Se denuncia i propri compagni e abiura la propria fede, avrà (nel migliore dei casi):
  • una vita serena fino alla morte naturale;
  • ma dopo di questa, verosimilmente, una punizione eterna inflittagli da Dio.
Se invece non denuncia i propri compagni e conferma la propria fede, avrà:
  • un giorno di torture e poi la morte;
  • ma dopo di queste, certamente, un'eternità di beatitudine.
Se il giudice e i soldati romani possono garantire ciò che promettono all'imputato - la libertà o un giorno di tortura e poi la morte - non può Dio onnipotente garantire ciò che promette a sua volta, la beatitudine o il tormento eterno? Di fronte a queste alternative, che cosa dovrebbe scegliere una persona?

Naturalmente il punto centrale è la fede dell'imputato: anche se dubita dell'esistenza di Dio e dell'aldilà solo al 50%, la sproporzione tra le due possibilità - tortura per un giorno o tortura in eterno - spinge ovviamente verso una sola soluzione, quella di scegliere la tortura e la morte piuttosto che la prospettiva di un tormento eterno. Al contrario di quello che sembrerebbe naturale!

Il coraggio del martire

Allora mi chiedo se le azioni dei "martiri", degli eroi della fede, cioè, possano essere ritenute, appunto, eroiche, simboli di una corrispondenza a standard morali più alti di quelli delle altre persone.

In fin dei conti, l'anonimo santo di cui ho parlato sacrificò alla fine la propria vita, ma altri martiri non esitano a sacrificare quella degli altri, come quelli che si imbottiscono di esplosivo e si fanno saltare in aria dentro una scuola, o quelli che si fanno schiantare su di un grattacielo a bordo di un aereo di linea; anche questi sono "martiri", di una fede differente, ma sempre "martiri".

Sono "coraggiosi", o semplicemente credono davvero in ciò in cui affermano di credere, una vita eterna di beatitudine in cambio della loro morte?

38 commenti:

  1. Ma è ovvio,ci credono veramente.

    RispondiElimina
  2. Allora perché considerarli speciali? Voglio dire, fanno semplicemente quello che è più conveniente per loro...

    RispondiElimina
  3. Secondo me credono di credere, arrivando fino al un punto in cui non c’è più ritorno: meglio fare il martire che rimettere in discussione la propria vita con sincerità, senza più la possibilità di affidare a Dio tutte le responsabilità e tutte le decisioni.

    RispondiElimina
  4. Se credi di credere ma non credi davvero, allora il passo è molto difficile, in quanto da una parte ti aspetti di "offrire" la tua vita, dall'altro non puoi riuscirci. Credo che quelli che credono di credere senza effettivamente credere siano quelli, in generale, che davanti a queste prove abiurano.

    RispondiElimina
  5. Dico la mia, per come la intuisco/sospetto.

    Si tratta di una fede patologica, un po’ diversa dal credere e basta, perché può essere cieca e aderire totalmente a un credo senza comprenderlo veramente. Le regole – in questo gioco – le fa il martire, scegliendo quello che è il percorso ideale della sua “fantasia” e attribuendogli un valore salvifico. Ciò che cerca attraverso la fede è quel centro di gravità permanente che dia significato all’esistenza, non tanto dell’universo quanto alla sua. La morte/suicidio non è inusuale in questi casi. Sarà cinico da parte mia, ma vedo in questo totale asservimento o identificazione una sorta di alienazione parente del pensiero magico e della fuga fantastica, comportamenti ritenuti (oggi) patologici, soprattutto quando fanno riferimento a illusioni proprie del soggetto, ma che diventano – o vengono talvolta scambiati per – “vera fede” quando il contesto si fa canonico. In tempi, poi, in cui la psicologia e la psichiatria erano ancora lungi a venire, anche i folli potevano (agevolmente) farsi santi.

    Questa, sia detto, è un’idea mia. Non essendo psicologo, ricercatore o che so io, va presa con le molle. In ogni caso, fin’ora è la spiegazione migliore che sono riuscito a darmi.

    RispondiElimina
  6. la conclusione "ma dopo di questa, verosimilmente, una punizione eterna inflittagli da Dio." non è corretta. Il martirio può essere solo una virtù se praticato, ma non è un peccato o una debolezza se rifiutato. Se così non fosse sarebbe una "legge morale" accettare il martirio, e invece non è così: è una libera scelta, proprio come ha fatto Gesù Cristo. E' proprio questo che fa del vero martirio un atto così grande agli occhi di Dio.

    Secondo: la parola martirio non è monopolio cristiano: varie civilità e religioni hanno il suo proprio concetto di martirio, che vuol dire appunto "testimonianza" (della propria fede, della propria idea etc...). Anche Falcone e Borsellino sono martiri della giustizia, perchè con la loro morte hanno appunto testimoniato la loro fiducia e il loro agire per e nella giustizia e proprio come tutti i martiri "nostrani" accettano il rischio della morte come "opzione possibile", pur non cercandola espressamente (al contrario di martiri islamisti).

    Il martire cristiano muore per amore di Cristo e, di conseguenza, per amore del prossimo. Non può mai quindi accadere che un martire cristiano possa provare con il suo martirio un danno voluto al suo prossimo (come fanno invece alcuni martiri dell'islamismo).

    RispondiElimina
  7. rispondo anche alla tua domanda:

    Sono "coraggiosi", o semplicemente credono davvero in ciò in cui affermano di credere, una vita eterna di beatitudine in cambio della loro morte?

    Tutte queste cose insieme: sono coraggiosi, e credono in ciò che dicono e sono certi della beatidutine eterna, in virtù delle promesse del Signore in cui appunto credono e al quale sanno di conformarsi al più alto livello perchè, proprio come lui, muoiono per amore.

    Siamo però troppo abituati a pensare al martirio come morte provocata violentemente a causa di persecusione.

    E allora, noi che non viviamo in tempi e luoghi di persecuzione, come offrire la propria vita? Cristo dice "di offrire la propria vita": il martirio è il modo più violento ed estremo con il quale si offre la propria vita. Ma non è l'unico.

    Ad esempio se grazie alle tecniche diagnostiche moderne so che mi sta per venire un figlio con una grave malformazione e, rifiutando di abortirlo, offro la mia intera vita come atto d'amore verso di lui, sapendo che per tutta la vita sarò costretto ad accudirlo... ecco questo è un altro modo di "offrire la propria vita". Non è martirio, ma vale allo stesso modo. Se invece scelgo di non abortirlo, ma non ne faccio un offerta, ma solo costrizione mal sopportata, avrò anche rispettato la legge morale (e questo è certamente meglio che abortirlo) ma non ne avrò fatto un'azione di offerta della mia vita.

    Non è la sofferenza che distrugge l'uomo: è la sofferenza senza un senso. Cristo ha portato la salvezza nel senso che ci garantisce che il Senso che lui ci propone della sofferenza, è quello che ci santifica e che ci fa vincere la morte nella promessa della resurrezione finale.

    RispondiElimina
  8. «la conclusione "ma dopo di questa, verosimilmente, una punizione eterna inflittagli da Dio." non è corretta.»

    La scelta proposta all'ignoto santo non era tra il martirio e il non martirio, ma tra il martirio e l'abiura della propria fede. Immagino (questa è l'ipotesi tacita su cui si basa il ragionamento) che l'abiura del cristianesimo comporti la punizione divina.

    «Secondo: la parola martirio non è monopolio cristiano: varie civilità e religioni hanno il suo proprio concetto di martirio»

    A me interessa, però, distinguere il "martirio" civile da quello religioso, perché solo nel secondo caso a questo martirio corrisponde un "mondo all'incontrario" come scritto nel post.

    «Non può mai quindi accadere che un martire cristiano possa provare con il suo martirio un danno voluto al suo prossimo»

    E' verosimile.

    «Tutte queste cose insieme: sono coraggiosi, e credono in ciò che dicono e sono certi della beatidutine eterna, in virtù delle promesse del Signore in cui appunto credono e al quale sanno di conformarsi al più alto livello perchè, proprio come lui, muoiono per amore.»

    Ma proprio questo è il fulcro del mio post, la differenza tra il mio e il tuo punto di vista. Per me non si può essere coraggiosi e contemporaneamente credere alla beatitudine eterna, perché in questo secondo caso non ci vuole coraggio, o meglio ce ne vuole molto di più ad abiurare e condannarsi al tormento eterno!

    «Ad esempio se grazie alle tecniche diagnostiche moderne [...] ma non ne avrò fatto un'azione di offerta della mia vita.»

    Vorrei farti una domanda. Da un punto prettamente "teologico", abortire, non abortire ma considerare il figlio una costrizione, o non abortire e offrire la propria vita come atto d'amore, influenza in qualche modo la mia prospettiva verso l'aldilà? Voglio dire, a parte la morale e la legge umana, Dio premia o punisce differentemente i tre comportamenti?

    Se no, quanto dico in questo post non tocca la scelta dei genitori. Se si, invece, credo che la scelta di genitori credenti dovrebbe essere molto dipendente dalla risposta che mi dai. Non credi?

    «Non è la sofferenza che distrugge l'uomo: è la sofferenza senza un senso.»

    Concordo. Ma proprio per questo ritengo importante trovare il senso corretto, e rigettare i possibili palliativi.

    Ciao

    RispondiElimina
  9. Immagino che l'abiura del cristianesimo comporti la punizione divina.


    In generale, si. Ma come tutti gli atti bisogna vedere in che condizioni è avvenuta. Ad esempio, nel caso particolare, incide senz’altro il fatto che la libertà personale è intaccata dalla costizione delle circostanze. Una abiura estorta con un coltello alla gola, è forse libera e gratuita, o non forse influenzata con la violenza? In quel caso quella abiura è fatta veramente “con il cuore e con la coscienza”? E’ verametne libera? il rimprovero da parte di Dio è invece sempre sui nostri atti autenticamente liberi, il cui grado di libertà è in ultima instanza conosciuto solo da Lui. I peccati sono sempre legati alle circostanze, anche se queste non possono trasformare un atto cattivo in uno buono; ma possono attenuarlo, fin quasi a farlo “scomparire”. Ma per fortuna abbiamo anche il perdono dei peccati.
    Immagina che un orco cattivo fa dire sotto minaccia a tuo figlio piccolo che papà e mamma sono cattivi. Avresti il coraggio, una volta liberato tuo figlio dall’orco, di ricordare a tuo figlio che è non si deve dire che mamma e papà sono cattivi? Penso di no. Penso che invece lo abbracceresti e accoglieresti felice, che è stato liberato dall’orco. Giusto? Ecco: il Padre di Gesù Cristo non è molto diverso da un padre “normale”, insomma amorevole. Gesù chiamava il Padre “Abbà” , creando un certo scandalo perché in aramaico vuol dire “papino”, “babbino”, cioè un termine affettuoso usato solo nel contesto familiare, e non religioso. “Abbà” non compare mai nell’AT.

    RispondiElimina
  10. Vorrei farti una domanda.
    (che poi in realtà sono due:)

    [...] verso l'aldilà?: penso di si; vivere una sofferenza in modo negativo, costrittivo, vittimistico etc... non edifica l’uomo; viverla con speranza, gioia, certamente si. Il Vangelo non è forse "la buona novella?". Dice il Signore: “il mio gioco è doce e il mio carico leggero”.

    Non so fino a che punto “influenzi”: bisognerebbe vedere ogni caso specifico, questo dovresti chiederlo a Lui, ma certamente fa una certa differenza nei tre casi.

    [...] i tre comportamenti?: vedo che concepisci molto Dio come “il Padre severo che castiga e punisce”. Concepita in questo modo la fede diventa un infido e meschino comportamento per “evitare le pene dell’infermo”: non conosco nessuno che abbiamo mai "creduto" solo per questo solo motivo. Non è questo il Dio che io conosco, non è Padre di Gesù Cristo. Non è il Dio mostrato dai Santi. E non è la motivazione per cui credo. E poi negli articoli del Credo non si parla mai di Paradiso, Inferno, Purgatorio.

    RispondiElimina
  11. Ma il predominio [...] o un presupposto?

    Cosa vuol dire “predominio”? non c’è un predominio, c’è una concorrenza di più fattori che coesistono.

    Cioè, in che modo [...] motivi letterari?

    Risposta brutale: per lo stesso motivo per cui so che la Divina Commedia è stata scritta per motivi sia di fede che letterali che poetici. O che un manuale del frigorifero non è stato scritto per raccontare una romanzo horror. Come mai invece solo nel caso della Bibbia si deve esibire ciò che in realtà è così evidente?

    Risposta più seria: la domanda presuppone la fede completamente scollegata dalla vita reale e dai problemi e dai fatti storici-temporali e concreti di ogni giorno. Un po’ come nei santoni induisti eremiti, per cui vivere la perfezione è alienarsi dalla realtà, uscire dalla storia e dalla materia per incontrare il Karma: un non-luogo, un non-spazio. Non così per il Dio Israele , che è un dio storico e non astorico, come ho già detto piu volte.
    Le motivazioni che tu adduci non vanno quindi separate, ma sommate e accostate insieme, e non sono in contraddizione o competizione una con l’altra. Ecco perchè il credente non ha problemi ad ammettere che il testo Biblico ci siano “tracce” di politica, di vicende storiche etc... perchè la fede biblica è concepita insieme a tutte queste complesse vicende umane (buone o cattive che siano), e non è mai disgiunta da esse.

    RispondiElimina
  12. «In generale, si. Ma come tutti gli atti bisogna vedere in che condizioni è avvenuta. Ad esempio, nel caso particolare, incide senz’altro il fatto che la libertà personale è intaccata dalla costizione delle circostanze.»

    Avviene nelle condizioni che ti ho detto: ti viene proposto di abiurare o di essere torturato o ucciso. Tu, poniamo, abiuri, poi arriva il giudizio universale e... Che succede?

    «In quel caso quella abiura è fatta veramente “con il cuore e con la coscienza”? E’ verametne libera?»

    Scusami, ma se il punto fosse questo, perché non sacrificare agli dei, tanto in cuor tuo sai che non ci credi? Se un'abiura fatta sotto minaccia della vita non conta, perché non abiurare?

    «Non so fino a che punto “influenzi” [...] ma certamente fa una certa differenza nei tre casi.»

    Bene, quale che sia questa differenza, per dei genitori credenti essa esiste e va presa in considerazione. Se ci credi davvero certi comportamenti sono fuori considerazione.

    «E poi negli articoli del Credo non si parla mai di Paradiso, Inferno, Purgatorio. »

    Eppure Gesù dice esplicitamente (Matteo 25,31-46) che ci sarà una suddivisione tra "pecore" e "capri"...

    Il Giudizio universale è una dottrina della Chiesa, credo.

    «Ma il predominio [...] e non è mai disgiunta da esse.»

    Non ho capito a quale commento stai rispondendo.

    RispondiElimina
  13. perché non abiurare?

    Per Amore.

    RispondiElimina
  14. Per Amore di cosa? Non continueresti ad amare Dio anche dicendo agli altri che veneri gli dei? Il tuo amore per Dio è esterno o interno?

    RispondiElimina
  15. Già, ma cosa succede prima del così detto "Giudizio universale"? Il Credo questo lo dice.

    RispondiElimina
  16. Amare Dio viol dire amare il prossimo.

    Jerzy Popieluszko e Massimiliano Kolbe
    sono due esempi di martiri di questo tipo.

    RispondiElimina
  17. @fab
    Forse non ho seguito abbastanza da vicino la discussione (anche perché non so bene cosa succederà di attinente al martirio prima del Giudizio Universale) ma non vedo risposte alla domanda del Censore “amore interno o esterno”.
    E comunque se “Amare Dio viol dire amare il prossimo”, per logica, anche Salvo D'Acquisto dovrebbe essere dichiarato martire, santificato e aggiunto in coda a Popieluszko e Kolbe.

    RispondiElimina
  18. @Salazar: certamente che Salvo D'Acquisto è martire. Certamente ha fatto un atto eroicissimo. Sono personalmente certo che, solo per questo è in paradiso. Ma non è un martire della fede.
    La chiesa sottopone a processo caninico solo coloro che hanno testimoniano la fede, perchè questo è il modo di amare che ci ha insegnato nostro Signore.
    Ciò non esclude che in ogni buona opera c'è "la firma" dello Spirito di Dio e ciò non esclude che ogni testimonianza dei vari Salvo D'Acquisto / Giovanni Falcone / Gandhi etc... ci sia "un pezzo" anche grosso del suo Amore. Ma la Chiesa celebra coloro che hanno "resto esplicitato" questo amore: ciò nulla toglie agli altri.

    RispondiElimina
  19. @Salazar: e aggiungo quindi che D'Acquisto non va messo "in coda" a Popieluszko / Kolbe perchè metterlo in coda sarebbe come dire "Popieluszko e Kolbe sono più bravi perchè avevano fede mentre D'Acquisto siccome non l'ha fatto con questo scopo (ma chi può veramente dirlo?) allora va in coda, cioè dopo".
    Sarebbe squallido assai.
    Invece non va in coda, ma affianco. Questo mi sembra più giusto, umile, dignitoso, rispettoso della verità.

    RispondiElimina
  20. «certamente che Salvo D'Acquisto è martire. Certamente ha fatto un atto eroicissimo. Sono personalmente certo che, solo per questo è in paradiso. Ma non è un martire della fede. [...] e aggiungo quindi che D'Acquisto non va messo "in coda" a Popieluszko / Kolbe [...] ma affianco.»

    Non posso non pensare che chi compie un atto sapendo che sarà infinitamente ricompensato per ogni sua pena sia meno meritorio di chi compie il bene a proprie spese, senza ricompense.

    RispondiElimina
  21. Aspetta, qui ci sono da chiarire almeno due punti:

    Il primo è che il concetto di "martirio" che rinvieni nel fanatismo religioso (qui parli di quello islamico, ma è in generale), non è martirio, ma piuttosto la sua negazione.
    Il martirio è una “morte per” di testimonianza, non una “morte di convenienza individuale” per avere un qualche bene eterno imprecisato.

    Il secondo è che il martirio ha un valore ben preciso, e presuppone una grazia speciale.
    Gli atti dei martiri non sono “simboli di una corrispondenza a standard morali più alti di quelli delle altre persone”, per il semplice fatto che non dipendono da meriti propri della persona, ma sono un dono di grazia.
    Nel caso che dici, è appropriato parlare di eroismo, in senso anche semplicemente umano, non di martirio.

    RispondiElimina
  22. “In coda” era ovviamente una figura retorica. Meglio sarebbe stato trattarla per quello che era e non inserirla in una improbabile classifica di ardimento con o senza fede.
    Sono ancora in attesa di risposta per quanto riguarda la fede “interna o esterna”.
    O devo considerare anche quella una figura retorica?

    RispondiElimina
  23. Scusate se mi intrometto nella risposta: Salvo d'Acquisto è quel carabiniere morto eroicamente?

    Lo chiedo perché si rischia di contrapporre cose di ugual valore. Nel martirio strettamente definito c'è una grazia speciale, e una fede esplicita. In persone che compiono atti eroici può esserci sempre una grazia speciale, ma una fede implicita (quella di cui ad esempio parlava Simone Weil), che porta davvero ugualmente ad un donarsi che poi diviene testimonianza.
    Testimonianza non diretta di "professione" di fede, magari, ma nondimeno testimonianza del bene, amore per altre persone che magari non conosciamo nemmeno “di persona”.

    Inoltre penso sia fondamentale correggere un altro equivoco che mi pare di cogliere, ovvero sul fatto di "incontrare" Dio come persona.
    Dio fattosi uomo è certamente Gesù nello specifico, ma la vita di Gesù è – deve divenire – vita del credente.
    Quindi l'incontro è decisivo, certamente "interno" (come può essere "esterno"?) e può avvenire in tantissime modalità differenti.
    Chi davvero ti ama rende presente l'Amore di Dio, ma viene anche incontro a Gesù in te, in quanto anche tu sei Uomo.

    Ovviamente tutte queste parole servono a poco, soprattutto oggi. Dovrei potere avere l'occasione – e la grazia – di donarti davvero qualcosa che mi costi, perché la grazia di Dio ti tocchi. Ma la grazia di Dio può toccarti comunque, se vuole e quando vuole.
    L'unico altro presupposto, indispensabile, è la nostra fiducia, o almeno quella che poniamo nella ricerca. Senza questa, la grazia non può operare, e poi ci se ne accorge mano a mano che l’insincerità cade… :-)

    RispondiElimina
  24. @ piccic
    Quindi, per la teoria della reciprocità, le persone che hanno fede in Dio, tutte, qualsiasi cosa facciano, sono superiori e con standard morali più alti di quelle che non hanno fede.

    RispondiElimina
  25. @Salazar “interna o esterna”: non ho capito cosa voglia dire.

    RispondiElimina
  26. @piccic

    «Il martirio è una “morte per” di testimonianza, non una “morte di convenienza individuale” per avere un qualche bene eterno imprecisato.»

    Prova a rileggere quanto ho scritto nel post. Qui non posso rispiegare tutto, ma il concetto è che se uno crede veramente di andare in paradiso (sto semplificando) non ci vuole coraggio a morire. Questo non significa automaticamente che si voglia la morte, ma che posti di fronte all'opzione tra morte+vita eterna vs. vita+pene eterne la scelta della prima possibilità non è così "eroica" come sembrerebbe.

    «Il secondo è che il martirio ha un valore ben preciso, e presuppone una grazia speciale.»

    Se mi dici che il martirio presuppone la grazia speciale, il loro coraggio è ancor più sminuito: avere questa "grazia" non rende meritevole la scelta di testimoniare la propria fede con la morte. Ma, naturalmente, io non credo che questa storia della grazia sia vera.

    «Testimonianza non diretta di "professione" di fede, magari, ma nondimeno testimonianza del bene, amore per altre persone che magari non conosciamo nemmeno “di persona”.»

    Mi pare un avvitamento lessicale. La testimonianza del "bene" non ha corrispondenza univoca con la testimonianza di fede. Vi sono casi in cui la scelta della morte (non la volontà di morire) viene fatta per un ideale di bene che però non implica la vita eterna. Rispetto al caso del martirio per fede mi pare un gesto più "meritevole" dal punto di vista morale.

    RispondiElimina
  27. @fab
    Questi sono i due passaggi , bastava rileggere un po’ più sopra, comunque eccoli qui di nuovo:

    fab ha detto...
    perché non abiurare?
    Per Amore.

    Il Censore ha detto...
    Per Amore di cosa? Non continueresti ad amare Dio anche dicendo agli altri che veneri gli dei? Il tuo amore per Dio è esterno o interno?

    RispondiElimina
  28. Il Censore:Allora perché considerarli speciali? Voglio dire, fanno semplicemente quello che è più conveniente per loro...


    Bè,guarda,lo scegliere di morire in virtù di una presunta sorte di beatitudine eterna è pur sempre una sorta di razionalizzazione,ma,come si sa,questa forma di razionalizzazione dipende da varie circostanze,favorita in questo senso da un forte senso contesto repressivo,in modo tale da creare secondo me (a causa di queste forti pressioni contestuali) una vera e propria dipendenza psicologica da una credenza,anche il martirio dei kamikaze sono delle forme di razionalizzione,se ci si pensa bene,alla fin fine,è proprio questo processo psicologico che arriva a costituuire il problema,sino a confondere l'immaginario con la realtà o addirittura a far perdere il senso della realtà.

    Claudio

    RispondiElimina
  29. @Salazar:
    Cosa vuole dire "con standard morali più alti"? Il cammino di fede ti porta a riconoscere che tutto quanto hai di buono ti viene da Dio, quindi è semmai l’opposto, un riconoscere quanto ogni dono può arrivarci dalle altre persone, ma è in ultima analisi dalla bontà di Dio.

    Questo esclude ogni presunzione di superiorità, la rigetta, per quanto l’uomo possa tendere a giudicare persone e non comportamenti, non progredirà se non coglie la propria sostanziale incapacità di fare del bene da solo.

    @Censore: parli di cose "sminuite": ma dal momento che riconosci che ogni facoltà è un dono di Dio, la cosa meritevole è unicamente l’amore che metti nella tua azione, non un “qualcosa” che ti dai da solo. E allo stesso modo, non può essere una scelta di calcolo, altrimenti l’amore va a "farsi benedire".
    Se credi all'amore non sarai mai felice che un’altra persona (come i fanatici religiosi) arrivino ad uccidere gente sotto il pretesto di una "fede". Fede in che?

    Sul terzo punto, ho paura che ci stiamo ancora impantanando sul concetto di "premio" o "vita eterna". La vita eterna è intesa da Gesù come vita che inizia con una scelta determinante, qui, adesso, non come un qualcosa di buono che si ottiene per calcolo. Questo sarebbe autodistruttivo, in quanto ti ripiegherebbe subito sul tuo egoismo, che è la ferita comune che abbiamo come uomini.

    L'ideale di bene di cui parli, è sempre un bene assoluto di cui si è cominciato a cogliere qualcosa, e quindi non c'è contraddizione tra l'amore che ho da non credente e quello che ho da credente.
    Il merito è dato da Dio, quindi è mio quanto tuo, se vuoi bene davvero.
    È per questo che ti ho esposto il pericolo del sentimentalismo. È il cuore, che spesso si invoca, ma con ambiguità. In realtà è centro della persona, e quindi ha questa ricchezza e profondità.

    Può sembrare un paradosso, ma perché la fede cresca, ci vuole fede, perché un conto è chiarire dubbi o ostacoli che si presentano in forma intellettuale, e un conto è inasprire questa razionalizzazione a tal punto da isterilire tutto il resto…

    È davvero solo questione di carità, e spesso la carità è semplicemente ascoltare, specie oggi.

    RispondiElimina
  30. @Piccic
    «parli di cose "sminuite": [...]
    Se credi all'amore non sarai mai felice che un’altra persona (come i fanatici religiosi) arrivino ad uccidere gente sotto il pretesto di una "fede". Fede in che?
    »

    Ho l'impressione che non ci capiamo, non vedo in che modo quello che dici, condivisibile o meno, risponda a quello che ho scritto.

    Che c'entrano i fanatici che uccidono per "fede"? Io sto parlando del fatto che la convinzione di ricevere la vita eterna sposti i piatti della bilancia nella scelta del "martire" religioso rispetto al non-religioso.

    Secondo me, ripeto, un gesto "nobile" (l'atto d'amore di cui parli tu) che porta un grosso vantaggio (vita eterna) è meno meritevole di uno che porta svantaggio (fine della vita terrena e nessuna vita eterna).

    «La vita eterna è intesa da Gesù come vita che inizia con una scelta determinante, qui, adesso, non come un qualcosa di buono che si ottiene per calcolo.»

    Come si chiama il premio che i buoni otterranno dopo il giudizio universale? Bene, io per "vita eterna" intendo quella lì. Ora che ci siamo messi d'accordo sul significato delle locuzioni usate, il mio ragionamento ti torna?

    «quindi non c'è contraddizione tra l'amore che ho da non credente e quello che ho da credente.»

    Non sto parlando d'amore, sto parlando di scelta. Se credi che la vita termini con la morte o al contrario che continui dopo la morte, la morte stessa non ha lo stesso significato, per te. Per questo motivo, la scelta di sacrificare la propria vita per un non credente e per un credente hanno valore differente; in un caso dopo non c'è più niente, nell'altro un'eterna beatitudine.

    Spero di essere stato più chiaro.

    RispondiElimina
  31. @Claudio:

    Ho letto e riletto il tuo commento, ma non sono riuscito a trovarne il bandolo. Potresti spiegarmi meglio quello che volevi dire?

    RispondiElimina
  32. Lo hai ben scritto tu piccic:
    Gli atti dei martiri non sono “simboli di una corrispondenza a standard morali più alti di quelli delle altre persone”, per il semplice fatto che non dipendono da meriti propri della persona, ma sono un dono di grazia.
    Gli standard morali più alti dei martiri non sono propri ma dono della grazia di Dio, in più (correggere se sbaglio) posso affermare che la grazia di Dio cada su tutti i credenti, non solo sui martiri (che dio sanguinario sarebbe questo?), ne deriva che se io rifiuto Dio non ricevo la grazia e la mia moralità rimane inferiore.

    Ribadisci ancora il concetto nell’ultimo intervento:”Il cammino di fede ti porta a riconoscere che tutto quanto hai di buono ti viene da Dio.
    Se io non intraprendo questo cammino come faccio a riconoscere quello che di buono esiste in me? Come faccio a sapere se qualcosa di buono esiste in me? Oppure – ribaltando l’azione - se non percorro il cammino della fede è perché in me non c’è nulla di buono?
    In ogni caso, se non ho fede, la consapevolezza di me, la mia moralità, rimangono inferiori a quelle possedute dalle persone che fede hanno – e di conseguenza ricevono la grazia - rendendo i miei “standard morali” più bassi.

    RispondiElimina
  33. @Claudio:

    Ho letto e riletto il tuo commento, ma non sono riuscito a trovarne il bandolo. Potresti spiegarmi meglio quello che volevi dire?


    Nel senso che secondo me è sopratutto un problema psicologico,sempre dal mio punto di vista,quelle credenze che portano un individuo al sacrificio estremo non si discostano nella forma da quei meccanismi di difesa psicologica che entrano in azione in certe patologie psichiatriche sino ad arrivare al completo distacco dalla realtà,perciò,secondo me,quel "crederci veramente" che ho inserito come primo commento vuol significare proprio questo,ossia,che ad un certo tipo di realtà se ne sostituisce un'altra (per esempio la beatitudine eterna) dandole quelle connotazione non distanti dal modo di comportarsi di certi soggetti psichiatrici,secondo me,è solo così che si può spiegare l'estremo sacrificio indotto da una credenza,ossia,alla stregua di una malattia psichiatrica (diversamente da chi invece è costretto a sacrificare la propria vita per salvarne di altre e che non ha alternative).

    RispondiElimina
  34. Ok, ora mi è chiaro.

    Quello che non capisco del tuo ragionamento è cosa differenzi, nella tua ottica, una «convinzione» da una «malattia psichiatrica».

    Faccio un esempio. Se mi metti davanti ad un salto di dieci metri, la mia "convinzione" è che se saltassi mi potrei fare molto male. Non ricordo di aver mai effettivamente saltato dieci metri, ma le mie esperienze corporee hanno formato dentro di me la sensazione che a saltare da dieci metri ci si faccia male, e io a questa sensazione credo intensamente.

    Ma se mi trasferissi sulla Luna e vivessi abbastanza a lungo, le mie esperienze corporee sarebbero tali da creare in me la sensazione che un salto di dieci metri sia qualcosa di assolutamente normale.

    Ora, immaginiamo che a mia insaputa mi riportino sulla Terra e che io non noti la differenza (so che è impossibile, ma questo è solo un esempio). Posto davanti ad un salto di dieci, allora, mi getterei tranquillamente, facendomi molto male.

    Secondo te, questo mio salto da cosa sarebbe causato: da una convinzione profonda che si rivela sbagliata, o da una «malattia psichiatrica»?

    Io propendo per la prima opzione, e credo che il caso del martire sia coincidente con l'esempio che ho fatto.

    Ciao.

    RispondiElimina
  35. Quello che non capisco del tuo ragionamento è cosa differenzi, nella tua ottica, una «convinzione» da una «malattia psichiatrica».


    Io faccio una distinzione tra le convinzioni,nel senso che,mentre la gravità per esempio o l'esperienza sulla luna scaturisce da un reale riscontro,nel caso di talaltre convinzioni (per esempio il sacrificare sè stessi nella convinzione di ottenere la beatitudine eterna) non si differenzia nella forma dalla malattia psichiatrica perchè entrambe mostrano un'approccio analogo alla realta' che e' quello di lontananza,distacco,chiusura (a causa delle presioni contestuali),razionalizzazione e reinvenzione.

    Perciò,più che distinguere tra convinzioni in generale e malattie psichiatriche,è più corretto secondo me distinguere tra convinzioni frutto di apertura e contatto costante con la realtà da quelle invece che sono frutto del rifiuto della realtà,distacco,chiusura,indifferenza.....
    Ecco perchè la convinzione di chi si sacrifica per la beatitudine eterna assume quasi gli stessi contorni di concretezza delle rappresentazioni dei soggetti psichiatrici.L'uno crede fortemente reale e concreto l'aspettativa eterna,l'altro certe fissazioni.

    Claudio

    RispondiElimina
  36. «Io faccio una distinzione tra le convinzioni,nel senso che,mentre la gravità per esempio o l'esperienza sulla luna scaturisce da un reale riscontro, [...] un'approccio analogo alla realta' che e' quello di lontananza, distacco, chiusura (a causa delle presioni contestuali), razionalizzazione e reinvenzione.»

    Faccio un altro esempio, allora. Supponiamo che alcuni alieni di conoscenze avanzatissime ti rapiscano e ti pongano davanti ad una scelta. Devi rispondere alla domanda se sia la Terra a girare intorno al Sole o viceversa: se dai la risposta giusta ti lasciano libero, se dai quella sbagliata ti torturano lungamente e poi ti uccidono. Tu sai che loro sanno la risposta giusta: che risposta dai?

    Nota che ti trovi ora davanti ad un dilemma che riguarda una convinzione che hai e che tu, personalmente, non hai mai potuto verificare. Per di più, si tratta di una convinzione che, se verosimilmente credi che sia la Terra a girare intorno al Sole, è assolutamente distaccata dalla "realtà". Si può parlare di malattia psichiatrica se rispondi sostenendo il sistema eliocentrico?

    Secondo me questo esempio è utile a capire che la malattia psichica, come la definisci tu, non è il caso dei martiri. I martiri sanno quello a cui vanno incontro, sanno che possono subire la tortura e la morte, ma a loro conviene questa scelta perché credono, come tu credi alla Terra che gira intorno al Sole, che l'alternativa sia la tortura eterna.

    «è più corretto secondo me distinguere tra convinzioni frutto di apertura e contatto costante con la realtà da quelle invece che sono frutto del rifiuto della realtà,distacco,chiusura,indifferenza.....»

    Quindi un matematico ha convinzioni del secondo tipo? Eppure le sue convinzioni sono verosimilmente più "vere" di quelle che ha una persona del primo tipo. Non mi pare una distinzione utile ai fini della nostra discussione.

    RispondiElimina

  37. Faccio un altro esempio, allora. Supponiamo che alcuni alieni di conoscenze avanzatissime ti rapiscano e ti pongano davanti ad una scelta. Devi rispondere alla domanda se sia la Terra a girare intorno al Sole o viceversa: se dai la risposta giusta ti lasciano libero, se dai quella sbagliata ti torturano lungamente e poi ti uccidono. Tu sai che loro sanno la risposta giusta: che risposta dai?

    Nota che ti trovi ora davanti ad un dilemma che riguarda una convinzione che hai e che tu, personalmente, non hai mai potuto verificare. Per di più, si tratta di una convinzione che, se verosimilmente credi che sia la Terra a girare intorno al Sole, è assolutamente distaccata dalla "realtà". Si può parlare di malattia psichiatrica se rispondi sostenendo il sistema eliocentrico?


    Censore,mi sa che condisci alcuni esempi di una sorta di soggettivismo o solipsismo,nel senso che secondo il tuo esempio "la terra che giri intorno al sole" sarebbe una "convinzione" e non una "conoscenza scientifica",spiace dirlo,ma c'e' una bella differenza tra una mera convinzione e una conoscenza prodotta da metodi e strumentazioni varie e una mera convinzione soggettiva,perciò,"che la terra giri intorno al sole" non è affatto una convinzione meramente soggettiva ma qualcosa di più rilevabile dal punto di vista sperimentale,a meno che tu non sia uno di quelli che fanno parte di quella schiera che io chiamo del negazionismo estremo che si autoconfuta da sè,perciò,dal mio punto di vista l'analogia è del tutto irrilevante.


    Secondo me questo esempio è utile a capire che la malattia psichica, come la definisci tu, non è il caso dei martiri. I martiri sanno quello a cui vanno incontro, sanno che possono subire la tortura e la morte, ma a loro conviene questa scelta perché credono, come tu credi alla Terra che gira intorno al Sole, che l'alternativa sia la tortura eterna.


    Per l'appunto,siccome il tuo esempio si basa su una falsa premessa,ossia,quella di considerare che "la terra giri intorno al sole" sia una convinzione,è irrilevante ai fini del confronto con la malattia psichiatrica. Aggiungo che,qualora si vogliano fare esempi o analogia,occorrerebbe essere cogenti alla questione,altrimenti è sufficiente cha una premessa non sia tale per rendere irrilevante il confronto con il contesto della malattia psichiatrica.Per inciso,io non considero in nessuna maniera la tua premessa come una convinzione,anzi,tutt'altro,per il semplice motivo che sfiora una sorta di negazionismo in stile nietzschiano (non esistono fatti ma solo interpretazione) facilmente confutabile (alla maniera di Putnam e altri ancora).


    Quindi un matematico ha convinzioni del secondo tipo? Eppure le sue convinzioni sono verosimilmente più "vere" di quelle che ha una persona del primo tipo. Non mi pare una distinzione utile ai fini della nostra discussione.


    Un matematico non ha a che fare con convinzioni "estreme",è ovvio che il mio discorso vale solo per talune convinzioni "estreme",ossia,che portano ad atti estremi di sofferenza o che muovono da contesti e vicissitudini "destrutturanti",perciò,una convinzione che un matematico può avere in merito ad un teorema,ad una equazione,etc.etc.,nulla a che fare con fattori relativi alle verie forme di destrutturazione ,quello che sceglie il martirio e il soggetto psichiatrico hanno esperienze destrutturanti,quando parlo di perdita di contatto dalla realtà,di isolamento,di chiusura alla realtò,non intendo certo dire una equazione astratta di tipo filosofico o matematico,ma parlo di processi che hanno a che fare con la propria personalità,il proprio vissuto,strutturato (e destrutturato) in certo modo.

    Claudio

    RispondiElimina
  38. «c'e' una bella differenza tra una mera convinzione e una conoscenza prodotta da metodi e strumentazioni varie e una mera convinzione soggettiva, perciò,"che la terra giri intorno al sole" non è affatto una convinzione meramente soggettiva ma qualcosa di più rilevabile dal punto di vista sperimentale»

    Tu che esperimenti hai fatto per verificare che la Terra giri attorno al Sole? Ricorda che a fronte di questi (eventuali) esperimenti, tu hai l'apparente moto del Sole intorno alla Terra.

    «Per l'appunto,siccome il tuo esempio si basa su una falsa premessa, [...] facilmente confutabile (alla maniera di Putnam e altri ancora).»

    Ora che abbiamo dissolto la tua critica alla mia ipotesi, potresti rispondere alla mia proposizione? Te la cito: «Secondo me questo esempio è utile a capire che la malattia psichica, come la definisci tu, non è il caso dei martiri. I martiri sanno quello a cui vanno incontro, sanno che possono subire la tortura e la morte, ma a loro conviene questa scelta perché credono, come tu credi alla Terra che gira intorno al Sole, che l'alternativa sia la tortura eterna.»

    «Un matematico non ha a che fare con convinzioni "estreme",è ovvio che il mio discorso vale solo per talune convinzioni "estreme"»

    Piano piano aggiungi altre condizioni alla tua definizione. Che ti devo dire, se ne sei convinto va bene così, ma a me non pare convincente.

    Saluti

    RispondiElimina