martedì 18 gennaio 2011

«Il Vaticano chiese ai vescovi irlandesi di non denunciare alla polizia gli abusi dei preti»

Copia della lettera. Fonte: AP
La televisione irlandese RTE ha reso pubblica una lettera risalente al 1997, inviata dal Vaticano ai vescovi cattolici irlandesi per avvisarli di non riportare tutti i sospetti di abusi su minori alla polizia. La lettera dimostra come il Vaticano volesse che tutte le accuse di molestie su minori fossero indagate, ed eventualmente punite, dalla Chiesa stessa, senza che vi fosse il coinvolgimento delle autorità civili; si tratta di un colpo serio per la posizione vaticana, secondo la quale la Chiesa non ordinò mai ai vescovi di nascondere prove o sospetti alla polizia.

La lettera si inserisce nel quadro della politica vaticana riguardo la gestione degli abusi in Irlanda. Due rapporti d'indagine pubblicati nel 2009, e riguardanti in particolare l'arcidiocesi di Dublino e gli istituti per bambini, hanno dimostrato come in Irlanda per decenni, a partire dagli anni '30, la Chiesa abbia coperto casi di presunti abusi su decine di migliaia di bambini. Un terzo rapporto, riguardante la diocesi di Cloyne, sarà pubblicato nei prossimi mesi.

Quel che è certo, è che i prelati irlandesi presero a riportare alla polizia i casi di molestie su minori da parte dei sacerdoti cattolici solo a partire dalla metà degli anni '90; in particolare fu nel 1996 che la conferenza episcopale irlandese pubblicò un documento con la quale rendeva nota la sua intenzione di denunciare alle autorità giudiziarie i casi di cui i vescovi fossero venuti a conoscenza.

La lettera appena scoperta fu inviata nel 1997, dunque un anno dopo il rivoluzionario documento irlandese, dall'arcivescovo Luciano Storero, Nunzio Apostolico in Irlanda. In essa, Storero rendeva noto che la Congregazione per il Clero aveva stabilito che la politica irlandese di denunciare automaticamente le accuse di abuso «fa sorgere serie riserve di natura sia morale sia canonica», e che come tale non era riconosciuta dal Vaticano; Storero ricordava nella lettera che la legge canonica, secondo la quale le accuse di abusi devono essere gestite internamente alla Chiesa, «deve essere seguita meticolosamente». Storero aggiungeva anche che se un vescovo avesse denunciato un sacerdote sospettato di abusi su minori alla polizia, la Congregazione del Clero avrebbe potuto annullare le sue disposizioni riguardo al prete sospettato.

Oltre a quello del 1996, la Chiesa irlandese ha pubblicato altri due documenti riguardanti la denuncia di casi di abuso su minore alle autorità civili; nessuno di questi tre documenti è mai stato approvato dal Vaticano, e, secondo alcune testimonianze, sembra sempre più probabile che alcuni vescovi irlandesi abbiano continuato a seguire le disposizioni contenute nella lettera vaticana del 1997 ancora nel 2008.

Cionondimeno nella sua lettera pastorale del 2010, Joseph Ratzinger ha addossato ai vescovi irlandesi la colpa della gestione dei casi di abusi, affermando che i prelati irlandesi non avrebbero seguito la legge canonica.

Poiché la difesa del Vaticano nelle dozzine di processi intentati negli Stati Uniti contro i preti molestatori si è basata appunto sulla negazione di ogni intervento vaticano in favore dell'insabbiamento delle prove, questa lettera potrebbe avere ripercussioni molto serie nei processi per abusi.

Aggiornamento: la lettera è stata pubblicata dal New York Times.

Fonte: «Vatican warned Irish bishops not to report abuse», Associated Press, 18 gennaio 2010. Un ringraziamento ad Antonio Lombatti per aver riportato questa notizia.

8 commenti:

  1. a) Nell'articolo citato come fonte non viene detto dove l'emittente RTE avrebbe recuperato la fantomatica lettera.
    b) In questo articolo non viene dichiarata la fonte dove è leggibile il testo originale della lettera.
    c) Guarda caso l'autore della lettera è irreperibile e non può confermare né smentire.

    Due parole su ciò che furbescamente definisci "insabbiamento":
    1) un sospetto infondato può rivelarsi una calunnia pertanto un documento che invita ad accertamenti prima di passare ad eventuali denunce non solo è plausibile ma anche lodevole
    2) nessuno di coloro che lamenta "insabbiamenti" era presente in sede di valutazione di ogni singolo caso né ha avuto modo di colloquiare con il colpevole.
    3) è il caso di ricordare che non sempre la denuncia all'autorità civile corrisponde al provvedimento corretto. In una dimensione di misericordia, di conversione e pentimento quello che tu chiami "insabbiamento" può essere ben altro, di più nobile. Al contrario, un'incarcerazione "a orbo" senza "se" e senza "ma" si rivela spesso più una vile vendetta che altro. MA SI SA', LA MALVAGITA' ATEISTA/LAICISTA VUOLE VENDETTA e tanto altro purtroppo...

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  2. Stavo per rispondere al tuo commento, Anonimo, ma questa frase mi ha bloccato:

    «In una dimensione di misericordia, di conversione e pentimento quello che tu chiami "insabbiamento" può essere ben altro, di più nobile. Al contrario, un'incarcerazione "a orbo" senza "se" e senza "ma" si rivela spesso più una vile vendetta che altro.»

    La gente che pensa che mettere in carcere un violentatore sia una «vile vendetta» ha tutto il mio disprezzo e non merita risposte.

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  3. Passi la "vendetta" (nei propositi del Legislatore non c'è, ma nel comune sentire non è un sentimento raro), ma la "viltà"… Cacchio, ci vuole tutta per attribuire una connotazione del genere.
    Provi, egregio Anonimo, ad andare a dire le stesse cose al genitore di un figlio abusato, se lei è così coraggioso. Ma si ricordi di tenere a portata di mano la misericordia, che potrebbe avere la necessità di usarne tanta.

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  4. Concordo con Il Censore,il commento di Anonimo 18 gennaio 2011 19:12 è davvero da fanatici con il cervello pieno di segatura.Almeno avesse il coraggio di firmarsi.Senza contare che tocca sopportare in questi giorni pure l'assalto dei pasdaran e fanatici berlusconiano in merito alle ultime vicende,ho letto cose pazzesche in merito,dai sostenitori del "gombolotto" sino all'incitazione alla legalizzazione della prostituzione minorile,che razza di schifo.

    Claudio

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  5. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha spiegato che la lettera era stata scritta secondo le indicazioni della Congregazione del clero prima del 2001, cioè prima che Papa Wojtyla decidesse di affidare alla Congregazione per la dottrina della fede guidata dall’allora cardinale Ratzinger la competenza di questi casi il cui trattamento fino a quel momento era riservato all’ordinario del luogo, vale a dire del vescovo diocesano.

    È verissimo ciò che padre Lombardi dice, e cioè che quel tipo di approccio al problema – ricordiamo che nel 1997 non era ancora esploso in tutta la sua portata lo scandalo negli Stati Uniti – è completamente cambiato negli anni successivi. Ma così come sarebbe sbagliato leggere nella lettera del nunzio una volontà vaticana a non punire i colpevoli di questi abominevoli reati (si tratta, invece, di un richiamo al rispetto delle norme canoniche allora vigenti, e non si dice da nessuna parte che non debbano essere rispettate le legislazioni vigenti), credo sia semplicistico affermare e sottolineare che quello era soltanto l’approccio della Congregazione del clero, individuando come sempre il «colpevole» e il «cattivo» nel cardinale colombiano Darío Castrillón Hoyos.

    Che l’approccio generale dei dicasteri della Santa Sede fosse diverso all’epoca, è più che documentato. Ben dopo il 1997 – stiamo parlando del 2001 – il cardinale Castrillón, con l’approvazione del Papa (consultato per l’approvazione) e della Segreteria di Stato (che si complimentava per iscritto) scriveva una lettera di sostegno e solidarietà al vescovo francese Pierre Pican. Il prelato, alla guida della diocesi di Bayeux e Lisieux, era stato appena condannato a tre mesi di carcere con la condizionale per non aver denunciato alle autorità civili un suo sacerdote pedofilo seriale, René Bissey, condannato nell’ottobre del 2000 per abusi sessuali su minori compiuti negli anni precedenti. Monsignor Pican si era trincerato dietro il «segreto professionale» (non di confessione), che però non può essere invocato nella legislazione francese in casi come questi riguardanti abusi su minori.

    Castrillón aveva scritto una prima volta al vescovo, nel 2000, per sostenerlo, ed era tornato ad appoggiarlo a condanna avvenuta. La linea della non obbligatorietà della denuncia era condivisa. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio si svolse a questo proposito un serrato dibattito tra la Santa Sede e i vescovi statunitensi. Negli Usa, e nel mondo anglosassone in genere, si stava infatti diffondendo l’idea che l’autorità civile dovesse avere accesso agli archivi diocesani per vagliare le accuse riguardanti i preti pedofili. Era accaduto in un caso che i nomi dei preti raggiunti da accuse o da denunce erano stati messi sul Web. In Vaticano si temeva che questa prassi prendesse piede anche nel mondo latino ed era stato così costituito un gruppo di lavoro per studiare il caso. Alle riunioni interdicasteriali partecipavano i cardinali Castrillón, Giovanni Battista Re e Joseph Ratzinger, come pure l’allora numero due della Congregazione per la dottrina della fede, l’arcivescovo Tarcisio Bertone.

    (continua)

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  6. La linea emersa in quella occasione la si ritrova in una articolata e puntuale intervista concessa dallo stesso Bertone al mensile 30Giorni nel febbraio 2002, vale a dire nel periodo in cui si stavano definendo le nuove norme di azione nei confronti dei preti pedofili, dopo che per decisione di Papa Wojtyla e di Ratzinger l’ex Sant’Uffizio aveva avocato a sé tutti i casi. Nell’intervista, ogni parola è pesata, ed è evidente che l’autorevolezza dell’interlocutore lascia intendere che proprio questa sia la posizione della Santa Sede sull’argomento. Disse allora Bertone: «Le Norme di cui stiamo parlando si trovano all’interno di un ordinamento giuridico proprio, che ha un’autonomia garantita, e non solo nei Paesi concordatari. Non escludo che in particolari casi ci possa essere una forma di collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e magistratura. Ma, a mio parere, non ha fondamento la pretesa che un vescovo, ad esempio, sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il “segreto professionale” dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile».

    L’allora Segretario della Congregazione per la dottrina della fede era il numero due, e dunque strettissimo collaboratore di Ratzinger, ma era conosciuto e stimato come collaboratore fedele anche da Papa Wojtyla. Quelle affermazioni esprimono la «mens» della Santa Sede, non soltanto della Congregazione del clero.

    Certo, dobbiamo ricordare che proprio il cardinale Ratzinger aveva sempre dimostrato una sensibilità particolare verso il grave fenomeno degli abusi, tanto che, fin dal 1988, aveva denunciato al cardinale José Rosalio Castillo Lara, presidente della Pontificia Commissione per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, alcune negative conseguenze che stava producendo l’applicazione del nuovo Codice in merito a questi scandali. Il futuro Papa chiedeva «di prevedere, in casi determinati, una procedura più rapida e semplificata» per arrivare alla dimissione dallo stato clericale di chi si era macchiato di questi reati. Gli venne risposto da Castillo Lara che cambiare la procedura non «sembrava affatto conveniente».

    Ma la percezione generale del problema, fino all’inizio del nuovo millennio, non era la stessa di oggi. C’è stata la svolta importante del motu proprio del 2001 e del trasferimento della competenza a Roma, proprio per impedire insabbiamenti o risposte inadeguate. C’è stato un cammino, la crescita di consapevolezza, il dotarsi via via di strumenti più adeguati. C’è stata, soprattutto, grazie a Benedetto XVI, maggiore consapevolezza della necessità di essere vicini alle vittime. E si è arrivati oggi a nuove regole che permettono interventi più celeri al punto da mettere in discussione persino – secondo alcuni canonisti – le garanzie previste per chi è accusato. Nessuno può mettere in dubbio che l’attuale Papa sia sempre stato in prima linea nel combattere il fenomeno. Ma non si può nemmeno dimenticare, di fronte all’emergere di certi documenti – più che «pistole fumanti» pistole caricate a salve - quale fosse l’atteggiamento seguito e condiviso dalla Curia all’epoca.

    L’esempio e l’insegnamento di Bendetto XVI in quest’ultimo anno, di fronte ai casi emersi, non è stato quello di sottovalutare il fenomeno né di scaricare le responsabilità sulla Curia vaticana di dieci anni fa. Per questo bisogna dire che la lettera non rappresenta una «smoking gun». Ma bisogna dire anche che appare difficile scaricare ogni responsabilità sul solo cardinale Castrillón trasformandolo in un capro espiatorio. Operazione che appare sinceramente incomprensibile proprio nel momento in cui Papa Ratzinger, per sua personale decisione, si appresta a beatificare il predecessore.

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  7. P.S. Guarda che nessuno usa il termine "violentatore" giacché in gran parte dei casi (qui centra la viltà di chi questo lo sa bene ma si tura le orecchie e fa di tutta l'erba un fascio) si tratta di altro. Nei restanti casi dove vi fu "stupro" si è già provveduto da tempo.
    E poi... la Chiesa ha un determinato mandato di accoglienza, non è moralista e non è un boia: se un prete che ha toccato con malizia un bambino mostra pentimento, il massimo che può fare è di invitarlo a porre rimedio al suo stesso atto costituendosi.

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  8. Ti ringrazio per l'articolato e informato riepilogo dei fatti, che meriterebbe un interlocutore migliore del sottoscritto.

    Ti sarei debitore di una risposta più articolata, ma accontentati di questa.

    Scrivi «la Chiesa ha un determinato mandato di accoglienza, non è moralista e non è un boia: se un prete che ha toccato con malizia un bambino mostra pentimento, il massimo che può fare è di invitarlo a porre rimedio al suo stesso atto costituendosi».

    Se un prete ha usato violenza su un minore (se credi che «violentare» sia fuori luogo, ti invito a leggere ciò che fece il prete protetto da Ratzinger in persona) va denunciato alle autorità giudiziarie; che si penta o meno sono cose che riguardano il giudizio della Chiesa (che, ricordo, ritiene più grave l'aborto che la molestia dei minori), che a me non interessa, ma non vanno a toccare l'obbligo morale di denunciare i sospettati.

    E, ricordo, qui non stiamo parlando di preti che in confessione confidano di aver «toccato con malizia» un bimbo, ma di famiglie che denunciano alle autorità ecclesiastiche gli abusi subiti dai bambini, e autorità ecclesiastiche che le invitano a non dire nulla alle autorità.

    La Chiesa ha scelto di proteggere il proprio buon nome sulla pelle dei bambini; che Dio mandi all'inferno o meno i colpevoli non mi interessa, mi interessa che chi ha abusato di bambini e minori, e soprattutto chi li ha coperti non denunciandoli, vada in galera a pagare il giusto prezzo dei propri reati.

    IlCensore

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